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martedì 28 maggio 2013

l'urlo hazara s'è fatto esodo - II parte












... abbiamo atteso a segnare questa seconda parte, atteso che giungessero nuove da quei mari che s'allargano tra l'Indonesia e l'Australia. E sono giunte luci da chi ha trovato l'approdo sui lidi di quella terra promessa per costrizione...e sono giunte ombre. Delle luci abbiamo ringraziato lo Spirito dei popoli. Le ombre le abbiamo accolte. 
Ombre di chi le acque hanno inghiottito a farsi culla. E bambini sono tra le ombre, molti, e giovani madri e padri che da mesi risultano risucchiati nel vortice del nulla. E' terribile questo   trail of tears della gente hazara. Terribile ancor più perché silenzioso. Estremamente. Silenzioso perché il silenzio è nella natura di quella gente e perché il mondo dinanzi al loro trail of tears  continua a voltare lo sguardo altrove. E noi non possiamo raccontare ché le parole sono ben poca cosa, sono nulla anch'esse. Molti sono pakistani tra loro, altri afghani, tutti sono hazara questi uomini del silenzio. Assordante ancor più in questo mondo di tam tam mediatico continuo, che trasmette anche ogni infinitesimale idiozia, ma non di loro. Mai.
Pakistan, Afghanistan ridotti in brandelli, se pur in diversa forma, da noi. Noi che ci nascondiamo dietro "loro" fondamentalismi, settarismi religiosi, tradizioni, costumi, tutto sempre loro. Che ci nascondiamo nella tana della nostra sporca ipocrisia. Tana  dalle pareti che trasudano ignoranza voluta, istintiva, asseconda dei casi. E lì dove l'ignoranza si coltiva non per inconsapevole semplicità d'intento ma per bieco opportunismo, e alla "civiltà" d'occidente associamo le forze deviate d'oriente, lì, prendono a sfilare, come in macabro corteo, sacrifici umani. La storia insegna a chi la conosce. E varie sono le forme, varie le sembianze mostrate nei sacrifici, e... non hanno confini. Così a Londra si uccidono soldati in nome di quelle morti provocate in luoghi solo apparentemente lontani mentre le insanguinate macerie afghane producono insanguinate macerie. E sacrifici sono su sacrifici. E le primavere arabe sobillate, procurate, sostenute non fioriscono né sbocciano in calde estati. E Siria e Gaza e...il Pakistan. 
A solo una manciata di giorni, il Pakistan s'affaccia con le sue elezioni governative. Con i suoi brogli. Nulla o poco di diverso dall'Afghanistan prima di esso al tempo delle elezioni Karzai. E la storia continua immutata, il suo deviato corso. E Nawaz Sharif, il neo leader pakistano, che di "neo" ha solo, in altro senso, l'oscurità poiché è il riciclo d'un passato da leader ( 1990-'93 e '97-'99), dichiara di voler intrecciare novelli rapporti con l'India, creare intese arabe, ritessere la trama statunitense mentre tiene al caldo i rapporti con la Cina e strizza l'occhio alla Russia. Poi, sicuro nella danza, chiede agli States la sospensione dei bombardamenti dei droni. A questo Obama, Giano bifronte, dopo le congratulazioni di prassi per la vittoria,  dice "si" mentre con l'International Crises Group di Bruxelles, che aveva avanzato la stessa richiesta, si esprime: " i bombardamenti con i droni sono necessari alla lotta al terrorismo".  
Il fatto è che siamo saturi di questa fandonia della guerra al terrore. E' che ancora non si capisce a cosa vada riferito il termine "terrore". E sì che sono anni che diciamo cosa da noi detta e ridetta: quale terrore? E la filastrocca, stessa, solita si sciorina: quello che invade paesi, bombarda, distrugge, addestra gente locale puntando su fanatismo e povertà. per farne macchine da guerra a proprio uso e consumo. Quello che occupa terre sguinzagliando le proprie multinazionali avvezze ad ogni campo che sia profiquo, sfruttamento del suolo e disboscamento, innanzi tutto, per desertificare, distruggere, succhiare energie fisiche e morali, indi abbandonare al macello di se stessi i locali come poveri cani ammaestrati al combattimento per uccidere. O forse il terrore specificamente detto islamico ma che prende vari nomi, quel terrore costituito da una miscellanea di individui tra cui gli addestrati di cui sopra, la delinquenza indigena, gli agenti dei servizi segreti d'ogni dove, ma anche mujaheddin ovvero coloro che nel nostro emisfero della "civiltà" verrebbero denominati nazionalisti o partigiani, asseconda delle politiche, quelli che, a sacrosanto diritto-dovere, difendono la propria terra, la propria patria dalle orde barbariche.  Quale terrore?
Ci siamo cacciati in una logica perversa. Questo è. E' davvero una logica contro l'uomo che altro non può fare che partorire perversione. E non è un J'accuse, questo, è semplicemente constatazione di fatti.     
Ma qualcos'altro vogliamo ancora mostrare a proposito di questo tutto, qualcosa che le elezioni pakistane,  manovrate dalle multinazionali di cui sopra, ci hanno mostrato: una macchinazione a sfondo disumano, qualcosa che vede vittime ancora la gente hazara, il loro urlo, il loro esodo.
Un nuovo partito politico s'è fatto avanti in Pakistan. Un partito, prima organizzazione religiosa della zona di nord-ovest, costituitosi partito ora, lo scorso marzo e lo scorso marzo riconosciuto tale dal Governo Centrale: il Majlis-e-Wahdat-ul-Muslimeen. Caratteristica: ortodossa rappresentanza sciita filo iraniana. All' MWM è stato permesso di presentarsi alle elezioni per uno scopo, ovviamente nascosto, sottrarre voti all'HDP, quell'Hazara Democratic Party, costituitosi nel 2003, unica voce politica della comunità hazara che sappiamo essere da sempre sciiti non ortodossi. Voce libera. Voce dai reali principi democratici, di integrazione politica, armonia sociale, reale tolleranza religiosa, fedeltà allo Stato (è risaputa la storica presenza hazara anche in alte cariche dell'esercito).
Ora, con la presenza dell' MWM che parla parole simili ma esaspera la libertà del paese "contro" lo straniero, esaspera la difesa puntando sulle armi nucleari, che punta sulla ricostruzione dello stato basandosi sulla Magistratura quindi sulla ricostruzione giudiziaria e giurisdizionale  basate sulle leggi islamiche prescritte nel Corano, ecco che gli hazara, che nulla hanno a che vedere con tutto questo, ma sono in maggior numero sciiti, verranno accomunati a quest'ortodossia. Vale a dire renderli ancor più bersaglio di morte per i vari " terroristi" di parte fondamentalista sunnita. Ecco l'infame macchinazione. E al mondo si continuerà a giustificare così il loro genocidio, la loro  fine. E si "libereranno" così quelle terre baluchi che servono alla finanza internazionale.
Ma ora basta. Ora ci fermiamo chiedendo scusa per la dimensione, inusitata per occiriente, di questa pagina. Ci fermiamo sul silenzio del Popolo Hazara. Sulla sua decimazione. Ci fermiamo sul silenzio di chi tra loro s'è addormentato tra i flutti di un mare straniero per l'infrangersi d'una speranza di lidi raggiunti solo da alcuni. Per volere di Dio.
Marika Guerrini 
immagine dal web

giovedì 16 maggio 2013

l'urlo hazara s'è fatto esodo - I parte

la loro storia- frammento
...Karachi, aprile 2013 "...questa potrebbe essere l'ultima volta che vedo il Pakistan", lo sguardo fissa le onde di quel Mare Arabico che bagna la riva pakistana. A parlare è Hussein, ad ascoltare è un inviato del New York Times. 
E s'è fatta luogo di addio quella riva per la gente hazara, la gente di Hussein. E il giorno seguente lui, come altri, attraverserà quelle colonne d'Ercole oltre cui l'inferno e oltre ancora forse la libertà. Una nuova vita. Inch'Allah!
"...si può vivere senza le prime necessità, non si può vivere con la paura...preferirei morire in barca che sotto una bomba. Almeno avrei scelto." Ha venticinque anni Hussein e tutta la fierezza del suo popolo, fatto di silenzi e coraggio. 
Da tempo l'urlo hazara, lo stesso che abbiamo denunciato segnalato evidenziato in molte nostre pagine, l'urlo che mai smetteremo d'accogliere, che mai smetteremo d'urlare, s'è fatto esodo. Esodo verso l'Australia. S'è fatto esodo ancor più per chi, del popolo hazara, risiede o risiedeva a Quetta, Pakistan. S'è fatto esodo per non farsi morte. " ...i terroristi prendono il loro tempo. Selezionano. Poi sparano.", ancora parole di Hussein. E lui era lì. E lui ha visto. E porta i segni su di sé. "...non ricordo l'esplosione solo una sorta d'impulso sonico. Poi nulla.", ancora sue parole. E noi sappiamo chi sono i terroristi, tutti lo sanno. Sappiamo chi sono anche oltre l'apparenza del nome Lashkar-e-Jangvi, per quanto esso sia assoluta realtà. E noi sappiamo che il mondo continua a non vedere, a non voler vedere, a voltare lo sguardo il più possibile lontano dal genocidio degli Hazara. E noi sappiamo quanto sia doloroso assistere al loro sterminio, alla sistematicità. Quella sistematicità che rende tutto prevedibile, identificabile. Se lo si volesse. "Noi non temiamo nè le leggi del Governo né l'esercito pakistanio. Continueremo ad ucciderli nelle loro case". Così Abu Bakar Siddiq portavoce di Lashkar-e-Jangvi. Organizzazione con sede in Punjab dichiarata terroristica da Usa, Gran Bretagna, Pakistan, Australia. Eppure Lashkar-e-Jangvi decide, si muove, agisce, sparisce, come fosse inattaccabile. E lo è. E pubblica minacce sui giornali, stampa, distribuisce volantini, ha un numero di telefono libero a cui chiunque può segnalare la presenza di un hazara, uno qualunque, ovunque, fosse anche un bambino... e vanno ad ucciderlo. Sì, Lashkar-e.Jangvi o chi per o chi con, agisce indisturbata esattamente secondo le parole di Hussein: prendono il loro tempo, selezionano, sparano. E noi sappiamo perchè tutto questo sia possibile. E noi sappiamo che il settarismo religioso non c'entra, che questa pulizia etnica ha un solo scopo; alta finanza, lobby minerarie. Ma anche questo abbiamo più e più volte trattato in questo nostro emisfero occidentale della civiltà, mentre altri fingono di sfiorare temi sui diritti umani e dei popoli senza che nulla avvenga nella realtà dei fatti. Non ci sono diritti umani che si vogliano osservare in alcun luogo che sia scomodo ai profitti internazionali. Solo subumane finzioni di diritti. E non sono diritti.
Sì, s'è fatto esodo l'urlo hazara. S'è fatto il loro Trail of Tears. Parte da Karachi, approda in Malesia poi Indonesia o Thailandia tutto a bordo di barche treni auto qualunque mezzo di trasporto  o senza alcun mezzo, fra trafficanti di qualunque cosa, di esseri umani innanzi tutto. Lì dove la fine può affacciarsi ad ogni passo, attendere dietro ogni angolo, presentarsi sotto ogni aspetto, giovani hazara sono costretti a passare. E, sì, sono giovani e giovanissimi quasi tutti e tutti è questo che devono attraversare. Poi, dopo, quando, se: l'oceano. Aspetto acqueo di quell'inferno prima solido. E miglia e miglia e miglia verso l'Australia. E non c'è alcun ordine di partenza, e non si rispetta alcun turno e il motivo è uno: il turno non esiste, nessuno sa quando partirà, se, come, si può attendere anni. Neppure gli uffici dell'UNHCR  presenti, quando, se, rispettano l'ordine. UNHCR uguale "angeli per i rifugiati". Così ci dicono e vogliamo credere.   
E può accadere, prima di quella terra che s'è fatta promessa per costrizione non per iniziale desiderio, può accadere d'essere trattenuti sulla Christmas Island, l'isola australiana in cui gli hazara dovrebbero chiedere asilo politico. E può accadere d'essere trattenuti agli arresti, galera o campi simili, per il solo fatto d'essere clandestini o simili. e la galera o simile, alle indagini da noi svolte, risulta avere il disumano sapore di Guantanamo. Sì, è a questo che noi dell'emisfero occidentale, come spesso ci accade da tempo, stiamo collaborando voltando altrove lo sguardo oltre il genocidio di questo popolo come se non fosse.
Ma c'è qualcosa che può anche accadere, qualcosa d'imponderabile, qualcosa che può collegarsi alla loro storia, alla storia del popolo hazara, la stessa dei grandi conquistatori mongoli, la stessa di imperi, quella del Gran Moghul. E questo Hussein lo sa, lo porta con sé, era presente nel suo sguardo alle onde come nell'ostinato: "non vedo l'ora" malgrado tutto, nel suo andare avanti. Può accadere qualcosa come lo scorso anno, quando sei giovani hazara hanno acquisito un ruolo ufficiale al Victoria Youth Parliament della città di Victoria, appunto, in Australia, appunto, malgrado tutti i trails of tears. Appunto
 E questa si chiama  speranza.
Marika Guerrini
foto: Barat Alì batoor 

lunedì 6 maggio 2013

il gatto e la volpe

... nessuna sorpresa circa i raid su Damasco, sorprendersi sarebbe mentire. Due in quarantotto ore, le incursioni aeree israeliane effettuate un giorno fa domenica 5 maggio, altro non sono state che l'attuarsi di un accordo. Accordo israelo statunitense, accordo fissato lo scorso mese di aprile nel corso della prima "missione" all'estero di Obama al suo secondo mandato. Missione definita "di charme" dalla stampa israeliana. Accordo sulla temporalità dell'azione non certo sulla sua fattibilità, essendo questa già stabilita, da tempo. Accordo su cui non abbiamo alcun dubbio benché si continui a negare la sua costituzione dichiarando solo l'appoggio della Casa Bianca per via di quel "principio di difesa" per cui da sempre le bombe Nato sono "per la pace" le altrui contro civiltà e democrazia.
Così, mentre Israele dichiara "difensivo" l'attacco contro convogli mobili, a suo avviso diretti in Libano carichi di missili iraniani per gli Hezbollah, convogli che, dinanzi all'evidenza delle immagini, vengono dichiarati poi, sempre da Israele, siti depositi fissi di missili con stessa provenienza e per identico utilizzo, Usa e Regno Unito continuano ad insinuare sospetti circa l'uso del sarin su civili siriani da parte delle truppe governative, uso di quel gas nervino venti volte più letale del cianuro il cui contatto con una sola goccia può uccidere un essere umano. 
Eppure stavolta qualcosa è accaduto, qualcosa di insolito, una dichiarazione che, benché con clausola di ulteriore indagine se pur già per risultato di indagine, attribuisce l'uso del sarin ai ribelli. E' Carla del Ponte a fare la dichiarazione, è un magistrato svizzero, ex procuratore del Tribunale Penale per la ex Jugoslavia, ora membro della Commissione Internazionale e Indipendente d'Inchiesta dell'Onu, costituitasi per la Siria e i Diritti Umani ch'era l'agosto del 2011. Dichiarazione non estranea ad occiriente che l'afferma da mesi in molte sue pagine sulla tragica situazione siriana, dichiarazione che sta creando non poco imbarazzo lì dove c'è chi agisce sobillando, alimentando, ribellioni e guerre civili. E questo ci fa riflettere. Non vorremmo fosse un'ulteriore verità dichiarata per essere opportunamente smentita con tanto di prove addotte, non vorremmo fosse fatta passare come una prima affrettata ipotesi, non vorremmo che il tiro fosse riportato all'accusa delle forze governative siriane. Riportato alla menzogna. Ma tutto è aperto, tutto e il suo contrario. 
Ora, nel tempo di questa pagina, la Siria, nella persona del presidente Assad e nella sua compagine governativa, non ha risposto all'attacco, mostrando di saper resistere alla provocazione in nome d'uno Stato che continua a dichiarare al mondo la propria inviolabile Sovranità.  Malgrado tutto.
Ora, al tempo di questa pagina, una calma apparente aleggia sulle alture del Golan, su quella sottile linea di congiunzione e distinzione che si dipana tra Siria, Libano, Israele, pur se truppe e carri armati si sono moltiplicati e batterie di missili sono pronte all'azione. Ma per ora tutto tace. Per ora.
Marika Guerrini