… era il 3
luglio 1979 allorché Jimmy Carter, al tempo Presidente degli Stati Uniti
d’America, firma la prima direttiva per gli aiuti segreti agli oppositori del
regime filo sovietico di Kābul. Quello stesso giorno
Robert Gates, allora Consigliere per la Sicurezza Nazionale, poi direttore
della Cia, scrive al Presidente Carter: “abbiamo l’occasione di dare ai
Sovietici il loro Vietnam”. Calcolo politico quanto mai preciso, infatti il corso di quello stesso anno sarebbe
stato preludio all’avanzata sovietica.
Più di trentotto anni da allora e circa
trenta da che si concluse per i Sovietici “il loro Vietnam”. Eppure sappiamo
quanto l’invasione sovietica, tramutatasi in dieci anni di occupazione, sia
stata, per assurdo, meno invasiva e distruttiva di quanto lo sia stata e lo sia
la presenza americana in terra afghana. Ma, ab uno disce omnis, basta infatti guardare al primo atto per capire il tutto.
Per quel che concerne i sovietici basta guardare
a quella notte del 26 dicembre del 1979, ai mezzi blindati delle truppe
sovietiche di Breznev che attraversarono gli antichi confini afghani
principiando lo scontro terrestre, uomo contro uomo. Per quel che concerne gli
americani, basta guardare a quel 7 di ottobre del 2001, ai bombardieri
B2Stealth, invisibili ad ogni radar, decollati dal Missouri (Usa) che in sole
tre incursioni bombardarono Kābul, Kandāhār, Kunār, Farāh, Herāt,
Mazār-i-Sharif. I motivi li conosciamo, quelli sovietici di conquista e
laicizzazione del Paese, quelli americani di vendetta costruita a tavolino su
di una menzogna il cui leitmotiv era: colpire Al Qaeda e le basi dei Taliban.
Peccato che il capo di Al Qaeda, il noto Bin Laden, fosse o fosse stato, il che
non cambia, un agente della Cia e che, esclusa Kandāhār e qualcosa a Kunār, i
Taliban non avessero basi.
Eppure oggi 19 ottobre 2017, a qualche giorno
dal sedicesimo anniversario di allora, malgrado le dichiarazioni del capo del
Comando Centrale, Gen. Joseph Votel, vogliano farci credere in una escalation positiva degli Stati
Uniti in Afghānistān, in un crescendo dovuto all’incremento di truppe americane
terrestri sul territorio, sappiamo per certo che, così come l’Impero Britannico
prima e l’Unione Sovietica poi, gli Stati Uniti d’America non hanno avuto e non
hanno la meglio sulla resistenza afghana, gli Stati Uniti non vogliono
arrendersi al loro secondo
Vietnam.
Il saperlo però è una ben magra soddisfazione,
poiché mentre chi prima di loro si allontanò da quella terra, gli States, non
vogliono accettare, tanto meno mostrare la sconfitta, tanto meno arrendersi ad
essa, gli States continuano così la strategia di sempre sperando in un diverso
risultato. E’ un misto di idiozia e pura follia, nonché la dimostrazione, se
mai ce ne fosse bisogno, di una degenerata e degenerante mania d’onnipotenza.
Intanto i Taliban, come da tempo andiamo
dicendo, non sono più la macchina da guerra costruita dagli americani in
Pakistan negli anni fine ’80/’90, sono, ripetiamo, per lo più mujaheddin
nemici degli occupatori così come degli estremisti islamici fatti entrare nel
paese dallo straniero e al suo soldo. I Taliban, ora come ora, nel Paese, sono
gli unici reali avversari dei mercenari assoldati dalle truppe straniere per
sterminare. Né interessa ai Taliban, questi Taliban, la feroce islamizzazione
dell’Afghānistān, tanto meno interessa loro il jihad internazionale, tanto meno
l’occidente e lo dimostra il fatto che mai attentato in occidente sia stato
opera loro e se si dovesse verificare e dichiarare loro, sarebbe mentire sulla matrice. Ma i media tralasciano
questi passaggi mentre, puerilmente, si continua a blaterare su quell’11
settembre del 2001, dichiaratamente condannato dai Taliban di allora e di ora.
Così, poggiando sul Governo di Ashraf Ghani, non a caso voluto dal Governo
americano a capo del Paese e delegittimato agli occhi degli afghani dal suo
dipendere economicamente e militarmente dagli States, gli States al delirio
dell’inaccettabile disfatta, rispondono rafforzando, non solo la presenza di
soldati americani tra le truppe governative di terra afghane, come si diceva,
ma, dopo aver dichiarato: “rimosso ogni restrizione e ampliato il potere che ci
impedivano di usare appieno la nostra potenza aerea”, rafforzando l’azione bellica dei bombardieri, vile nota
dell’esercito a comando Nato, e i cieli, un tempo tersi, che ammantano
l’Afghānistān, indugiano nel farsi portatori di morte. Questa l’azione degli
Stati Uniti di Trump, non dissimile da quella di Bush, non dissimile da quella
di Obama. Per cui delle parole del Segretario alla Difesa James Mattis,
pronunciate una decina di giorni fa, secondo cui sarà fatto tutto ciò che sia
“umanamente possibile” per evitare le morti dei civili afghani, non sappiamo
che farcene. Sono anch’esse menzogna. Pura menzogna così come sopra pura
follia, anche perché di contro, alcuni esperti militari e politici statunitensi
stanno dichiarando l’errore nel perseverare questa guerra a funzione
esclusivamente geostrategica, questa presenza nella regione al fine di opporre
resistenza a possibili espansioni di potenze confinanti o limitrofe.
E allora noi, partendo da quel 7 di ottobre del
2001, ricordiamo le morti innocenti riportando dati quanto mai in difetto se si
pensa che solo nei primi sei mesi di quest’anno 2017 si sono registrate tra i
civili 1.662 morti e 3.851, con un incremento del 23% rispetto allo scorso
anno, per cui i dati riportati in seguito sono indicativi solo in minima parte
ché di molti, di troppi, altre migliaia, non si sa né mai si saprà.
Comunque ad oggi, ufficialmente, oltre 49mila vittime si sono
avute per morte diretta, ovvero bombardamenti e similari, circa 360mila, sempre
sottostimate, provocate dall’emergenza umanitaria dovuta al conflitto, oltre 140mila tra soldati afghani e
Taliban afghani, senza contare le migliaia di bambini nati deformi a causa
dell’uranio arricchito e morti subito dopo il parto o nei primi mesi o anni o
condannati ad una vita drammatica. Senza contare le migliaia di decessi
infantili causati dalla povertà acuita dallo stesso conflitto. Senza contare le
migliaia di donne, bambini e adolescenti distrutti dall’eroina diffusa e
offerta dallo straniero, senza contare le centinaia di afghani uccisi, per lo
più adolescenti, dalle torture della Cia in stanze segrete delle prigioni nel
Paese, modalità questa non nuova, da tempo conosciuta, con l'unica differenza che solo ora, a distanza di anni, il
britannico “The Guardian” ne fa denuncia costringendo Washington a renderla nota. Ed anche questo porta a chiederci e a pensare sul perché ora la denuncia.
Ma, tornando alle statistiche, malgrado il difetto
numerico, sono soltanto i morti nel corpo, ché a quelli nell’anima non bada più
nessuno, a quei fuoriusciti
costretti a viaggi infernali verso Europa e Australia, esilio in cui la vita,
in una qualche forma, si perde comunque.
E l’Italia in tutto questo? La sua missione? La guerra più lunga della sua storia? L’Italia cosa fa?
Se da un lato l’Italia, dopo l’attentato dello
scorso maggio, diminuisce il personale presente all’Ambasciata Italiana di
Kābul, diminuisce il personale della Cooperazione, diminuisce i militari della
missione Resolute Support, tutte azioni dichiarate dalla Farnesina, Ministero
Affari Esteri, ”misure cautelative”, dall’altro mantiene il contingente di stanza ad Herāt, all’incirca un
migliaio di uomini, e permette che combatta sul campo. L’Italia continua la sua
vita da vassallo, e, in quest’assenza di dignità, può fregiarsi d’essere, in
Afghānistān, seconda solo agli Stati Uniti d’America nell’appoggiare, se pur
spesso soltanto con funzione di alleato, il che la priva di ulteriore dignità,
il perpetrarsi di crimini contro l’umanità. E allora ci chiediamo: cosa farà
l’Italia se gli Stati Uniti d’America renderanno permanente la loro presenza
nel Paese come proposto e affermato da funzionari di Stato d’oltre oceano? Continuerà l’Italia a
coprire il suo ruolo servile?
Uno storico ha il dovere verso il mondo di
osservare con distacco le vicende se pur di cronaca, quindi in questa pagina si
afferma senza dubbio alcuno che gli Stati Uniti d’America, dal punto di vista
militare bellico, hanno già rinnovato il loro Vietnam e che l'Italia dovrebbe trovare il coraggio di uscirne malgrado la fragilità in cui si è cacciata con il rafforzamento delle basi Nato sul suolo italiano e malgrado il suo essersi fatta trampolino di lancio per le missioni aeree belliche nelle regioni medio orientali.
A conferma della disfatta occidentale, tra l’altro, il fatto che
le truppe americane siano uccise da soldati afghani che loro stessi addestrano,
il che sottolinea sempre più quanto non siano i così detti Taliban a
ribellarsi, ma Taliban stiano diventato un po’ tutti gli afghani patrioti che
vogliono liberarsi dalla violenta presenza straniera, tanto che ora come ora il
50% del territorio afghano è in mano ai Taliban, proprio perché sostenuti o
comunque tollerati da una larga fetta del popolo più che altro di etnia
pashtun.
Concludiamo questa pagina scusandoci con il lettore per la lunghezza dello scritto, ma non prima d'aver sottolineato di non dimenticare il senso del riportato
iniziale: sempre nella storia, a prescindere dal tempo
impiegato, concetto di tempo che in quel costume ha un’ importanza davvero
effimera nella misurazione, gli afghani hanno scacciato lo straniero, pur se,
come si diceva, il recente straniero sia caratterizzato, in guerra, dalla viltà
oltre che dall’ignoranza, e perseveri nella follia.
No, alcun dubbio circa il Vietnam, ora o in
futuro non importa, il tempo misurato è illusione in Afghānistān.
Marika Guerrini
immagine: scatto di Barat Alì Batoor (collezione privata)