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mercoledì 18 marzo 2020

il vero virus

... il mondo si trova ad una crisi in apparenza materiale in realtà immateriale. La scienza ci ha portato, e ci porta a conoscere, controllare e manipolare forze fisiche tali da permetterci di forgiare armi d'ogni tipo e fattura, comprese le biologiche, potenzialmente capaci di distruggere l'intera Umanità. Basta volgere lo sguardo, che non sia mera curiosità d'informazione ma vera attenzione, ai luoghi teatro di conflitti bellici. La prima azione che viene perpetrata è la distruzione materiale di antiche storiche testimonianze poste lì a ricordare un passato evocativo di Civiltà, evocativo delle origini sacre dell'Umanità. 
Il solo fatto di perpetrare una tale distruzione così come di permetterla, è emblematico di una totale decadenza dei tempi, quelle azioni distruttive sono il tentativo di annientamento dei principi portanti atti a guidare l'esistenza degli individui tutti. Questo è quel che sorge allo sguardo indagatore di verità. Non è un caso che la Bibbia, così come tutti gli antichi misteri, riporti all'immagine dell'Albero primordiale l'origine della vita, bene, noi, a quell'Albero, stiamo recidendo le radici, in tal modo impediamo a noi stessi di suggere la sua linfa vitale. Intimamente parlando oggi l'uomo sembra aver perduto ovunque gli ormeggi rappresentati dal suo senso dei valori permanenti, sembra andare disperatamente alla deriva. Siamo pieni di paure e di dubbi che non sono costruttivi interrogativi di ricerca, bensì annullamento di certezze. Stiamo disperatamente cercando, consapevole o inconsapevole che sia la disperazione, di emergere dalle tenebre alla luce.
L'uomo, fin qui, ha voluto un'organizzazione materiale-ideale della civiltà, dell'agiatezza, applicando la scienza e l'istruzione per fare dell'individuo un essere sociale perfetto in una perfetta società. Ma abbiamo ignorato quanto questo sia un concetto esclusivamente "umano" alieno ad ogni fonte immateriale del potere, intimo o manifesto che sia, cosa che, invece, dovrebbe considerarsi essenziale negli ideali umani della vita, fondamentale.
La conseguenza di questa esclusione ha portato l'uomo a vivere nel caos in cui si trova, caos che ha travolto i suoi valori eterni, ha privato di ogni supporto morale la sua cultura, quindi la sua condotta, quindi la sua organizzazione, quindi l'organizzazione della società e dello Stato preposto a guidarla.
Questo concentrarsi dell'uomo esclusivamente su problemi materiali ed economici della vita, l'ha condotto ad una involuzione, ad un imbarbarimento. Le nostre capacità pensanti sono aumentate solo per divenire quasi del tutto schiave del nostro ego offuscato da errori pragmatici, reso cieco da propositi e desideri riguardanti solo se stesso. In questo caso basta guardare all'ambiente naturale, alle sue risorse e alla possibilità delle sue naturali risorse e, benché in questa sede si sia lungi da ogni propaganda, non si può fare a meno di constatare l'immane accelerazione degli ultimi anni verso il suo sfruttamento, avvelenamento, depauperamento delle forze in esso insite, a scopi non già di aiuto e/o supporto alla vita, il che non sarebbe stato depauperamento, ma a scopi esclusivamente di profitto in varie forme e sfaccettature. Questo è strettamente collegato alla recisione di quel sottile fil rouge che unisce, sul pianeta, ogni essere vivente. L'uomo ha dimenticato, o zittito in sé, il collegamento con le forze sottili viventi nella natura stessa, compresa la propria, così facendo sta intaccando la possibilità della propria sopravvivenza. Tutto questo in nome del "dio" Mammona che, nutrendo il suo ego lo priva della sua coscienza.
Vi è un bel proverbio tramandato a tutt'oggi tra gli aborigeni dell'Australia di nord-ovest che così canta: La terra non ci appartiene, noi apparteniamo a lei. Il cielo non ci appartiene, noi proveniamo da lui. E sempre ci viene incontro l'antica saggezza.
La dimenticanza di questi semplici principi di vita, ha fatto anche sì che l'uomo abbia usato le forze che la scienza ha messo a sua disposizione, per rendere la vita dell'Umanità materialmente una, ma la ragione a cui l'uomo si è appellato, le ragioni a cui si è appoggiato, ormai prive degli eterni valori di cui sopra, gli hanno impedito, e gli impediscono, di creare, tramite il potere insito in lui, reso claudicante, quella reale unità sociale che sarebbe giusto, rispetto all'esistenza stessa, si desse quale mèta. Questo concetto viene reso evidente dal fenomeno della Globalizzazione che ne è lampante esempio. 
Predicata ed attuata quale unità, la Globalizzazione è risultata "guerra tra poveri", guerra prevedibile ad un pensiero libero per via delle sue fondamenta non già poggianti su principi di conoscenza, di cultura, di scambi in tal senso, principi di incontro, di compensazione tra le genti, in varie forme e a vari livelli, ma esclusivamente su principi di profitto in ogni senso. E si ripresenta Mammona. La falsa unità globalizzata ha ulteriormente posto l'uomo in balia dei propri impulsi, dei propri istinti, delle proprie contrastanti rivendicazioni, al fine di soddisfazioni materiali avanzate da individui, comunità, nazioni, quasi sempre attraverso ideologie politiche, sociali ed economiche. Ha portato ancor più l'uomo, indebolito da se stesso, ad accettare, quando non obbedire, a parole d'ordine in nome delle quali è pronto ad opprimere e ad opprimersi, uccidere e farsi uccidere. E' questo che muove oggi il cammino dell'esistenza che, in apparenza, si fregia di buone parole che spesso traduce in "buone" azioni, vedi svariate Ong che girano per il mondo a "far del bene", ovviamente il mondo non "civilizzato" e in attesa di un loro contributo, ma che in realtà si fanno veicolo, dietro la "buona" facciata, di movimenti illeciti e illecite azioni, quali, ad esempio, organizzazioni terroristiche, per dirne una, ma anche sperimentazioni di farmaci su quello che ci si ostina a mantenere Terzo Mondo (e il Primo e il Secondo quali sarebbero?) privandolo, derubandolo delle proprie risorse e possibilità di ricchezza, sì, certo, si dà loro del cibo, il più delle volte di sintesi, necessario per non farli morire di denutrizione. E poi ci sono le guerre. 
Le guerre provvedono a tutto perché in un sol colpo portano ricchezza a chi le gestisce, le vuole, le provoca, vedi la ricchezza dei sottosuoli occupati e sfruttati (petrolio, minerali d'ogni tipo e preziosità, tra cui oggi il litio, nonché i "tradizionali" diamanti, smeraldi, lapislazzuli, eccetera, si potrebbe continuare per ore). Non da ultimo le guerre arricchiscono i fabbricanti e i trafficanti di armamenti d'ogni tipo, anche biologico. Del resto le droghe non sono forse armi biologiche? E i così detti migranti, non sono forse armi biologiche di distruzione di massa e per loro stessi, costretti per i motivi di cui sopra ad abbandonare la propria terra e per chi è costretto a riceverli per via dei Diritti Umani. D'accordo sui Diritti Umani, peccato che questi diritti umani non vengano ricordati ed applicati in caso di occupazioni, guerre, sfruttamento dei popoli, mercificazione del corpo umano in varie forme, vedi pedofilia, vedi prostituzione, vedi sperimentazioni farmacologiche, trapianti quindi esportazione di organi, eccetera eccetera.
E così intere popolazioni, vengono a trovarsi alla mercé di genti così dette civili, di genti a cui quella civiltà ritorna. Noi.
In questo mare, anzi oceano, cosa volete sia un Covid-19 di cui probabilmente siamo tutti o quasi portatori anche se non nel corpo, nell'anima?

Quel che urge è una trasformazione. Quel che urge è la presa di coscienza di  noi stessi, quindi di tutto ciò. Quel che urge è un nuovo concetto di coscienza individuale atta a trasformare l'intero essere umano per creare una nuova vita. E' questo l'unico modo affinché, araba fenice, essa possa far sorgere dalle proprie ceneri, un'esistenza collettiva basata sulla vera unità, sulla reciprocità, sull'armonia, sullo scambio tra i popoli che sia reciproca ricchezza, oh no, non solo materiale, quella sarebbe infetta, ma culturale, morale, etica, di pensiero e così via, quella ricchezza che porta alla libertà dei popoli, all'autostima, alla loro sovranità, al libero desiderio di unirsi nel rispetto gli uni degli altri, al coraggio di tutto questo e di più. La ricchezza materiale seguirebbe tutto ciò e sarebbe sana. Allora e solo allora si potrebbe realizzare un'esistenza procedente da una verità più profonda e più ampia del nostro essere, sì da poter ricostruire quel che abbiamo non solo materialmente, ma intimamente distrutto. 

Sì, molto urge rivedere, ma l'impossibile non è scritto nell'agenda dell'Universo, bensì il contrario: è possibile, questo vi è scritto. Possibile per via di quell'insito potere individuale accennato all'inizio di questa pagina a cui si può principiare ad accedere col ricordare le origini immateriali dell'Umanità per riappropriarsene malgrado la distruzione dei simboli evocativi esteriori, dato che quelli interiori alcuno può distruggere se non noi stessi.  

Marika Guerrini

immagine wikipedia

venerdì 6 marzo 2020

Afghanistan e la macabra farsa senza plauso


... 
... la scorsa settimana, il giorno 1 marzo, in seguito alla firma di pace suggellata da una stretta di mano avvenuta a Doha ventiquattr'ore prima, tra Abdul Ghani Baradar e Zalmay Mamozy Khalilzad, rispettivamente inviato per gli Stati Uniti e diplomatico afghano di adozione americana, già Segretario di Stato nonché Ambasciatore per gli Usa sotto la presidenza G.W. Bush e B. Obama, ed il capo della delegazione talebana portavoce di quest'ultima, un mio amico, in una telefonata da Bruxelles, si chiedeva e mi chiedeva, come mai, data la lieta novella afghana, non avessi accennato alla cosa. L'interrogativo non celava il sottile rimprovero verso quel che riteneva una mia distrazione o peggio, una noncuranza, né sarebbe stata celata la sua delusione alla mia risposta: Non mi presto alle farse, scriverò qualcosa tra qualche giorno, quando l'accordo si rivelerà falso. 
Da qui era nata una discussione, lui difendeva a spada tratta il ramoscello d'ulivo, io apostrofavo le sue parole con ironia ed una certa fastidiosa apparente saccenteria circa l'aspetto antropologico a tutto tondo degli afghani e l'utilitaristica ipocrisia americana. Così dopo uno spiacevole scambio di opinioni, per fortuna intervallato da qualche risata, la telefonata si era chiusa sui saluti e gli: a presto pronunciati da entrambi. 
Con un intervallo di una manciata di minuti da questa telefonata, me ne giunge un'altra, stavolta da Kabul e la voce di un conoscente dice: L'accordo è saltato, Ghani non cede sulla liberazione dei prigionieri. Alla notizia pur scontata segue il mio: Ovvio, accordo previo accordo! Non c'è bisogno d'altro, ci siamo capiti. Intanto la notizia circolava sul web a conferma del falso e dell'ovvio. 
La prima guerra lontano dai propri confini gli Stati Uniti, formatisi da breve lasso, la combatterono poco più di duecento anni fa nel Mediterraneo contro un certo Yusuf Qaramanlì figlio del Pascià di Tripoli Alì Qaramanlì. Siamo alla fine del XVIII secolo e Yusuf Qaramanli è senza dubbio una figura controversa, Signore di Misurata, s'era fatto "strada" spargendo sangue ovunque andasse alla conquista, ma questo tutto sommato non si discostava dal modus vivendi che all'epoca riguardava un po' tutti i conquistatori erranti, né si discosta oggi da quel tempo il modo di agire americano, infatti anche allora, come sempre poi, il "pirata" del Mediterraneo aveva prosperato nelle sue angherie grazie all'aiuto occidentale, in special modo americano. Questa la tecnica tradotta in parole: ti aiuto, dopo di che se stai ai miei ordini ti uso, altrimenti ti ricatto o ti attacco. Questa è la tua libertà, la democrazia, e la civiltà di cui io AMERICA ti permetto, magnanimamente, di far parte! 
 Il commento è superfluo e banale ma, per chi avesse curiosità da soddisfare nonché tempo da perdere, basta che apra la finestra sulla storia e lanci uno sguardo sui vari paesi venuti in contatto ravvicinato con gli Stati Uniti, egli vedrà sempre snodarsi in cronologia sei fasi: 
1) fianco scoperto dato da problematiche interne del Paese nel mirino di conquista 

2) strisciante fomentazione straniera di manifestazioni, atti terroristici e fac-simili

3) guerriglia, sempre interna, o guerra civile, asseconda del popolo e del suo capo

4) intervento americano (a volte preceduto da intervento di un suo paese alleato) a         difesa  della salvaguardia dei diritti umani minacciati quasi sempre da dittatori e simili

5) bombardamenti sul paese in questione, elemento questo moderno per via dell'uso di             aerei ed ordigni esplosivi mentre prima tutto si svolgeva su vie d'acqua e di terra

6) inizio occupazione previo sbarco e ulteriore capillare distruzione via terra, oggi 
    azioni queste sempre accompagnate o precedute da bombardamento.

A questo punto gran parte del paese vittima in questione è spacciato.
La differenza tra ieri ed oggi è nell'ulteriore umano declino, poiché mentre in precedenza, fino al XIX inizio XX secolo le guerre, benché terribili, richiedevano comunque coraggio se non altro per il corpo a corpo, oggi c'è la viltà delle bombe a spianare la strada, modalità questa per cui gli Stati Uniti andrebbero insigniti del Nobel esattamente come il penultimo inquilino della Casa Bianca. Bisognerà pensarci.
C'è una speranza per l'Afghanistan? Mi viene chiesto di frequente. Non lo so, rispondo per non apparire illusa, ma forse ciò di cui sono convinta è che Speranza non sia l'ultima dea, ma la dea dei coraggiosi, di chi non s'arrende. E proprio questo è il punto dolens. L'Afghanistan nei millenni, da che non esisteva come nome neppure lontanamente negli odierni confini, è stato sempre popolato da guerrieri coraggiosi ed indomiti, le cui tracce, se pur pallide, si sono viste fino al 1989 con la ritirata dell'Armata Rossa sovietica, si sono viste con Ahmad Shah Massoud, assassinato, checché se ne sia detto, dai servizi segreti che è superfluo menzionare. Un Paese le cui tracce di coraggio emergono ancora da alcuni suoi giovani, figli silenziosi, che chi scrive ha avuto la fortuna di incontrare ed amare come propri figli, cosa che le ha permesso di toccare con mano il coraggio di quel popolo, cosa che ora, malgrado esso sia in parte venduto, in parte fiaccato e totalmente distrutto quando non ucciso ( 100.000 vittime civili a partire dal 2009, tralasciando gli otto anni dal 2001), fa sperare comunque, ma dovrà trascorrere tempo e tempo perché una nuova generazione possa sorgere e crescere nel grembo di quella terra. Ecco il punto più doloroso: quel terribile ottobre del 2001, per loro Rajab 1422, che gli afghani, se potessero, cancellerebbero dal loro calendario, non ha aperto soltanto una triste pagina della loro storia, ma da quel momento ha aperto il varco al dilagare della peggiore delle armi, ancor più infida d'ogni altra fino ad allora usata: l'eroina.
L'azione bellica straniera dopo aver costruito la prima raffineria d'oppio afghana, anno 2002, ha preso a potenziare la propria guerra con la distruzione della gioventù afghana, ovvero il futuro del Paese e del suo popolo. Ha preso a distruggere la possibilità della speranza, naturale in un popolo di antico coraggio guerriero, proprio per questo ancor più vulnerabile rispetto ad altri per le ferite dell'anima che vengono a farsi ancor più profonde. E questo non è un caso, ma uno studio deliberato e consapevole, perché chi pianifica certe strategie, non è il generale di turno o chi per, no, loro sono esecutori di disegni di grande intelligenza tracciati da conoscitori dell'animo umano e delle possibili fragilità da procurare o usare.
Certo non tutti i giovani afghani sono vittima dell'eroina, ma molti di quelli che popolano la massa, coloro troppo poveri per avere mezzi per studiare, troppo poveri anche per fuggire dall'inferno della distruzione pagando trafficanti di uomini che procurino loro una via di fuga, a quei giovani viene offerto un inferno gratuito, lì, a portata di mano, un inferno inebriante, un inferno che fa dimenticare di stare vivendo in esso. e cosa c'è di più bello del perdere la coscienza degli affanni se non lasciarsi andare alle illusioni che si fanno credere realtà. Il fatto che siano allucinazioni non ha alcuna importanza. Arma di grande intelligenza questa. Ma occiriente ed i libri di chi scrive hanno già trattato l'argomento in pagine e pagine.
"Sai, signora, io così sono felice, non penso più, è tutto bello", queste parole scolpite in me, furono pronunciate un giorno da un giovane afghano, La pronuncia di esse mostrava l'assenza di denti su un volto che s'intuiva dovesse essere stato bellissimo. Non seppi rispondere. La mia comprensione nei suoi confronti era totale. Mi allontanai a nascondere le lacrime. Sono cose che fanno male queste. Molto. Troppo. 
Sì, questa è l'arma in assoluto più micidiale che si possa usare, arma diabolica: la distruzione dell'essere umano, con esso del coraggio, della possibilità di rialzarsi, del futuro di un Paese, di un popolo. E' questa l'arma terrifica che viene usata contro il popolo afghano. In silenzio.
Strette di mano, accordi, pace, null'altro che farsa, macabra farsa a coprire ogni verità!

Marika Guerrini

immagine: mostra fotografica "C'era una volta l'Afghanistan" scatto di Barat Alì Batoor -collezione privata-