Il colore nero non appartiene all'Afghanistan. Gli giunge da ovest, dal suo vicino occidente. Il colore nero troneggia nei paesi costieri del Golfo, del Mare Arabico.
Al tempo del mio primo incontro con quella terra, dopo aver lasciato la corriera che mi aveva portato ad Héràt, nella mia prima passeggiata verso la piazza della Masjid-i-Jāmi', la grande moschea, quel che mi venne incontro furono colori, furono le ampie gonne multicolori delle donne, i loro veli, colorati anch'essi, i volti fieri dallo sguardo sorridente, intelligente, e furono i burqa, sì, anche i burqa, che vedevo per la prima volta, quei burqa azzurri che, pur celando il volto dietro il ricamo d'una rete, le facevano regine. Per via della postura eretta, del passo calcante la terra. Sono vent'anni che non vedo più quel passo, né la postura eretta, se non di rado. No, il nero non appartiene all'Afghanistan.
Il colore nero è arabo, di quell'Islam che invase quella terra oltre un millennio fa, ma non l'assoggettò mai. Il nero oggi viene a camuffare il perpetrarsi d'una menzogna, usata per invadere, conquistare, annientare una terra strategica ad uso geopolitico, una terra ricca d'ogni preziosa risorsa. Terra un tempo guerriera e fiera come le sue donne. Le stesse donne che l'occidente ha mostrato sempre e comunque in veli integrali, ora per di più neri. E' così che le vogliamo raccontare, velate da un Islam a loro estraneo fino a poco fa, storicamente pensando. Un Islam che, anche nei periodi bui della storia afghana, sempre presenti nella storia d'ogni Paese, non le aveva mai rese schiave, anche perché, non mi stancherò di ripeterlo, il burqa, pur se colorato, è sempre, da sempre, stato indossato dalle donne di etnia pashtun, soltanto, etnia di credo sunnita, la stessa a cui appartengono i taliban, originali o mercenari che siano.
"I taliban non sono musulmani" nell'urlo di quella giovane donna dal volto scoperto, la verità. Lei ha inteso dire: non sono del credo islamico da noi conosciuto, osservato, non sono afghani. A completare il suo pensiero si può dire: se pur alcuni dovessero esserlo, sono traditori al soldo di chi li ha voluti lì negli anni '90, poi ancor dopo ed ancor oggi, a proseguire la distruzione di quel paese per i motivi geopolitici sopra accennati, non certo per la sbandierata civiltà prima, religione islamica ora. Due aspetti della stessa falsa medaglia.
A questo punto, la chiosa della pagina vuole tornare al femminile, al velo. Qualcuno giorni fa, a tal proposito mi ha chiesto: dovrebbe essere abolito?, No, ho risposto, decideranno loro, le donne afghane il momento opportuno, so che lo faranno, così come l'abbiamo fatto noi, donne mediterranee, luogo d'origine del velo femminile, sin dall'età classica, quando, nell'antica Roma, il velo indossato a coprire il capo delle donne, era simbolo di aristocrazia, quindi vietato alle schiave, mentre in medio Oriente e India, simbolo di rispetto verso il sacro. Poi lo scorrere del tempo, la trasformazione, la nostra cristianità mantiene il significato di rispetto verso il sacro nello svolgersi della liturgia, il senso è lo stesso per via della sommità del capo, punto ritenuto, da alcune religioni, di incontro con le forze superiori alla terra. Da qui la tradizione, il costume. Poi ancora il tempo e l'ulteriore trasformazione.
L'occidente farebbe bene a farsi da parte, riflettere sul proprio tramonto. Ce lo indicano al femminile le donne afghane, che, e non nutro alcun dubbio, sono fondamentalmente più libere delle occidentali, queste ultime, malgrado l'apparenza, in gran parte, hanno perso il concetto di Donna con la D maiuscola, per farsi imitazione dell'essere maschile. Un fac-simile. Dimenticando la loro superiorità in molti campi della vita interiore ed esteriore. Le donne afghane, quando non inquinate da noi occidentali, ne sono consapevoli, per questo ce la faranno se le lasceremo libere di essere se stesse. Di camminare incontro alla loro trasformazione. Se lo vorranno. Quando.
Marika Guerrini
immagine -vedi prima parte-