...c'era una volta, tanto ma tanto tempo fa, un gabbiano. Wolf era il suo nome, per via del suo amore per la solitudine. Wolf infatti amava librarsi in volo verso altezze che i suoi simili non riuscivano neppure a sfiorare. E, quando si trovava lassù, amava farsi dondolare dai venti sottili e tuffarsi in picchiata nella luce del sole e ascoltare il rombo dei fulmini prima che dalla terra potessero vederne il lampo saettante e udirne il tuono. Sì, Wolf, malgrado il nome suscitasse un qualche timore tra gli altri gabbiani, era proprio un gabbiano speciale e davvero le altezze e la solitudine erano il suo regno. Quando sono quassù da solo nello spazio, diceva spesso a se stesso, vedo molte più cose del mondo degli uomini, di quante ne possa scorgere sfiorando i mari e le terre. E, il mondo degli uomini, come Wolf chiamava la vita umana, lo incuriosiva molto, anche se, quando vedeva gli uomini, appunto, dibattersi tra le avversità, si chiedeva come mai non fosse stata data loro la possibilità di volare, come mai il buon Dio, non li avesse forniti di ali sì che potessero librarsi in volo sulle loro angustie, sui loro dispiaceri per guardare tutto dall'alto. Ma non era questo che stava pensando quel giorno d'inverno quando, dalle sue altezze, guardando giù al mondo degli uomini, aveva scorto in un piccolo villaggio sulle rive dell'oceano, oltre i vetri d'una piccola finestra d'una piccola casa, occhieggiare una luce.
Subito la curiosità l'aveva spinto alla discesa, anche perché l'occhieggiare di quella luce, aveva tutto l'aspetto d'un segnale, d'un richiamo. Intanto sul piccolo villaggio la neve stava danzando in larghi fiocchi a coprire ogni cosa, il che non dispiacque a Wolf che, spiegando le ali in discesa, si lasciava accarezzare da quel morbido candore. Giunto che fu nel villaggio e sulla casa della luce, s'avvicinò alla finestra e sbirciò all'interno. Ma, guarda che ti riguarda, non riusciva a scorgere nulla che assomigliasse ad una lanterna, ad una candela, lì, dietro i vetri della finestra v'era solo una donna, una giovane donna che parlava ad una pianta di rose senza vita. Se solo potessi darmi un segno che il mio bimbo m'ascolta, diceva, che sente il mio amore, se solo potessi darmi un segno.
E mentre le parole le si scioglievano dalle labbra, copiose lacrime le rigavano il volto risplendendo come soli alla fredda luce della neve. A Wolf non fu difficile capire da dove giungesse a quella madre il suo immenso dolore, sapeva che nel mondo degli uomini cose ben tragiche si stavano verificando da tempo, troppo tempo, cose che avevano sapore di sacrifici innocenti. E allora fu lui a pregare. Volò su, su, in alto, alle sue altezze e, pregò.
Sul volto di quella madre le lacrime lanciavano ancora bagliori dorati quando una splendida rosa rossa sbocciò dalla pianta senza vita e un vento sottile spalancò la finestra. Decine e decine di petali rossi si librarono nell'aria confondendosi con i fiocchi di neve mentre i bagliori dorati si moltiplicarono così tanto da riscaldare i raggi di quel pallido sole nevoso, poi, come leggere ali di farfalla, i petali presero a salire verso l'alto, su, su, sempre più su, molto più delle lontane altezze amate da Wolf.
Fu allora, in quel giorno di Natale in cui il cielo si tappezzò di rossi petali, che Wolf il gabbiano poté vedere le ali degli uomini, le loro ali bambine librarsi in volo verso il cielo, su, su, sempre più su. Su fino a scomparire ad ogni vista anche alla sua stessa.
a tutti i bambini, dall'America all'Afghanistan, al Pakistan
passando per l'Africa, costretti dalle nostre guerre a popolare i cieli,
questa fiaba.
Marika Guerrini