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martedì 13 agosto 2013

come fosse una fiaba d'agosto

....pensiamola come fosse una fiaba. Perché quel che nella fiaba vive, la sorgente, sorge e vive per riportarci alle più profonde esperienze dell'anima. Lì dove alberga il senso di quanto accade in rapporto alla vita, oltre. E non fa alcuna differenza se l'uomo che vi giunga sia in età infantile, in quella di mezzo, o sia già vecchio.
Pensiamola come fosse una fiaba quest'ennesima tragedia nel Mediterraneo, sulla costa italiana. La tragedia dell'ieri prima dell'altro ieri. Pensiamola così ancor più perché i corpi che il mare ha adagiato sulla riva catanese erano di chi la vita non l'ha ancora vissuta, non abbastanza. E sì che giungevano da quella terra d'Egitto, da rivolte, da sommosse cha avevano attraversato, forse. Pensiamola come fosse una fiaba perché non a caso il lido sulla cui sabbia quei ragazzi sono giunti incamminandosi verso l'eternità, ha nel nome un colore, un colore a distinguerlo: verde. Lido Verde infatti si chiama.   Verde, il colore dei martiri dell'Islam, il colore del manto che copre la loro ultima dimora. E all'Islam appartenevano i ragazzi. E martiri sono.
Pensiamola così come fosse una fiaba questa tragedia perché i loro anni, tra i 17 e i 27, erano pieni di futuro, di sogni, di speranza, di voglia di vivere. E allora le poche bracciate dalla riva senza saper nuotare. Erano pieni di tutto i loro anni fino a qualche attimo prima, prima che ognuno di loro si trovasse ad annaspare, ad attraversare in solitarie immagini a ritroso, la propria vita. perché è questo che accade a chi muore per annegamento. E' così che fa la vita, si lascia attraversare a ritroso, poi, s'allontana. Se ne va. Ma breve è stato il tragitto di immagini per loro, molto breve, troppo.
Sì, pensiamola così, come una fiaba questa tragedia annunciata, perché ci porti al cospetto di quella disposizione indistinta che giunge dalle più elevate profondità dell'anima. Quella che a volte parla, a volte urla, che viene messa a tacere, spesso, ancor prima che parli, ancor più se urla. Quella raffinata disposizione indistinta a cui si dà nome coscienza.
Pensiamola, sì, come una fiaba questa ripetuta tragedia mediterranea. Lasciamo che, tragedia, ci porti a scorgere la potenza del gigante Destino. Quello che delinea intrecci di fili nelle esistenze di individui e popoli, sì che la tragedia si avvolga e si svolga. E, lasciamo che, fiaba, ci porti a scorgere la sorgente della raffinata disposizione indistinta di cui sopra, l'ammutolita coscienza, sì che le si lasci la voce, che la si ascolti. Sì che agli intrecci del gigante Destino, presentiti, si possa deviare il corso, si possa arrestare, persino.
Perché è questo che flebili sussurrano le loro voci, tutte le voci giovani, giovanissime, bambine anche. Tutte queste voci che s'involano in questi nostri giorni per nostra negata coscienza. Perché non sappiamo più guardare dietro ai segreti dell'esistenza, così, soggiacendo all'azione del drago, abbandoniamo alla deriva la coscienza. E lo facciamo anche quando, fingendo il contrario, neghiamo ogni responsabilità di tragedia, attribuendola ad altri. 
Pensiamola come fosse una fiaba questa tragedia caduta sotto i nostri occhi sulle rive d'una spiaggia d'agosto. Caduta sotto lo sguardo sonnolento di navi da crociera, lì, a far da contrasto ad un confine tra vita e morte. Sì, pensiamola come fosse una fiaba, nella sua dimensione, nella sua voce.
Marika Guerrini 

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