... Italia, Custoza, luglio 1848, battaglia di Custoza:
l'ufficiale è sugli attenti, ritto, mano destra alla fronte, ha dichiarato: "Io non sono che un capitano. Tu sei un eroe". Lui che mai aveva rivolto a un suo sottoposto, parola che non fosse di comando, ora al capezzale di quel ragazzino, non riusciva a distogliere sguardo e dolore dal corpicino inerme, abbandonato e monco di una gamba su di un materasso in terra fra tanti, in quella chiesa ospedale da campo. Non riusciva a proferire altre parole dopo il flebile richiamo che aveva attirato la sua attenzione. Il piccolo eroe di De Amicis, quello passato alla storia, la nostra, come "il tamburino sardo", quello della Prima Guerra d'Indipendenza, quello a cui poche ore prima aveva affidato un dispaccio da consegnare, era lì. Aveva messo a repentaglio la propria vita, il tamburino, aveva corso lungo la collina, e colpito s'era rialzato, e colpito ancora s'era rialzato ancora per correre ancora e ancora fino al massacro della gamba, al compimento della missione: consegnare allo squadrone dei carabinieri a cavallo il foglietto segnato a matita dal suo capitano, il foglietto con la richiesta d'aiuto, di rinforzi contro gli austriaci, il foglietto custodito, ripiegato sul cuore.
E' episodio del passato, questo, quando l'Italia, non ancora una, aveva preso a combattere per la libertà. E allora, malgrado i rinforzi giunti, la battaglia non era stata vinta dai piemontesi, ma un intero battaglione era stato salvato dal fuoco nemico e quel tamburino di quattordici anni ne era stato artefice.
Italia, Campoferro, maggio 1859, battaglia di Montebello:
un bambino di dodici anni, Giovanni Minoli, un grande albero, un drappello di soldati piemontesi e francesi seguiti da sodati austriaci. Il pericolo era grande. A Giovanni viene chiesto di salire sull'albero per scorgere il nemico, gli austriaci, calcolare la distanza. Giovanni sale, li scorge, avverte. Gli viene detto di scendere, la missione era compiuta, ma Giovanni vuole essere sicuro della distanza, di più, si sporge dalle fronde, viene scorto dal nemico, colpito ad un polmone, cade. La "piccola vedetta lombarda" come De amicis lo chiamerà nel suo libro "Cuore", non morirà sul colpo, prima attraverserà sei mesi di atroci sofferenze vegliato giorno e notte da soldati piemontesi e francesi, come angeli custodi a cui aveva salvato la vita in cambio della propria. Anche quella battaglia non fu vinta, si era nella Seconda Guerra d'Indipendenza, ma lui aveva vinto la propria.
Pakistan, Ibrahimzai, gennaio 2014, distretto di Hangu, Provincia di Khyber Pakhtunkhwa:
quattro giorni fa, una scuola con più di mille allievi, la Boys High School di Ibrahimzai, un'assemblea, tre allievi in ritardo nel cortile della scuola, si affrettano. Uno di loro è Aitzaz Hasan, poco più di quattordici anni. Un giovane con la loro stessa divisa scolastica chiede informazioni. E' uno sconosciuto. Aitzaz si insospettisce, intuisce il pericolo, lo affronta. Lo sconosciuto si divincola, prova a continuare l'azione, Aitzaz è deciso a fermarlo. Lo sconosciuto si fa esplodere. Aitzaz è con lui.
Zahidullah Bengash, uno dei tre ritardatari, cugino e coetaneo di Aitzaz, rimasto lievemente ferito, in un'intervista telefonica dice: " mio cugino ha avuto un sospetto, ha chiesto la sua identità e come mai non l'avesse mai visto prima. Lo straniero ha cercato di scappare e Aitzaz lo ha affrontato. Nella lotta l'attentatore si è fatto esplodere..." e ancora:" Aitzaz era molto vivace e cordiale, amava il suo paese e i suoi amici. Ha sacrificato la sua vita per loro."
Centinaia erano gli studenti presenti all'assemblea quella mattina, centinaia sarebbero saltati in aria, Aitzaz ha salvato loro la vita. Ora riposa in quel luogo ultimo e ricolmo di fiori come i cimiteri sono in quelle terre. L'azione bellica, ché tali sono queste, rientra negli attentati settari contro gli sciiti. Il nemico era un militante del gruppo estremista sunnita Lashkar-e-Jhangvi, da noi citato più e più volte a proposito del genocidio del popolo Hazara. Ma non di questo vogliamo parlare, non ora, non stavolta, non di quel che andiamo ripetendo da un tempo che s'è fatto troppo. Né vogliamo sottolineare quel che si cela dietro queste azioni criminali, quel che le muove, non vogliamo ripeterci, no. Stavolta vogliamo ricordare tre piccoli eroi, soltanto, tre piccoli eroi apparentemente distanti nel tempo e nello spazio, eppure così vicini da annullare la dimensione spazio temporale, da confermarne l'illusione. Così vicini da sottolineare quanto in alcuni paesi, che non sono più quelli del nostro occidente, la forza degli ideali viva ancora nei ragazzi o poco più che bambini, fino al sacrificio della vita. Malgrado tutto. Di null'altro vogliamo trattare, ora, di null'altro.
Marika Guerrini
foto dal web
l'ufficiale è sugli attenti, ritto, mano destra alla fronte, ha dichiarato: "Io non sono che un capitano. Tu sei un eroe". Lui che mai aveva rivolto a un suo sottoposto, parola che non fosse di comando, ora al capezzale di quel ragazzino, non riusciva a distogliere sguardo e dolore dal corpicino inerme, abbandonato e monco di una gamba su di un materasso in terra fra tanti, in quella chiesa ospedale da campo. Non riusciva a proferire altre parole dopo il flebile richiamo che aveva attirato la sua attenzione. Il piccolo eroe di De Amicis, quello passato alla storia, la nostra, come "il tamburino sardo", quello della Prima Guerra d'Indipendenza, quello a cui poche ore prima aveva affidato un dispaccio da consegnare, era lì. Aveva messo a repentaglio la propria vita, il tamburino, aveva corso lungo la collina, e colpito s'era rialzato, e colpito ancora s'era rialzato ancora per correre ancora e ancora fino al massacro della gamba, al compimento della missione: consegnare allo squadrone dei carabinieri a cavallo il foglietto segnato a matita dal suo capitano, il foglietto con la richiesta d'aiuto, di rinforzi contro gli austriaci, il foglietto custodito, ripiegato sul cuore.
E' episodio del passato, questo, quando l'Italia, non ancora una, aveva preso a combattere per la libertà. E allora, malgrado i rinforzi giunti, la battaglia non era stata vinta dai piemontesi, ma un intero battaglione era stato salvato dal fuoco nemico e quel tamburino di quattordici anni ne era stato artefice.
Italia, Campoferro, maggio 1859, battaglia di Montebello:
un bambino di dodici anni, Giovanni Minoli, un grande albero, un drappello di soldati piemontesi e francesi seguiti da sodati austriaci. Il pericolo era grande. A Giovanni viene chiesto di salire sull'albero per scorgere il nemico, gli austriaci, calcolare la distanza. Giovanni sale, li scorge, avverte. Gli viene detto di scendere, la missione era compiuta, ma Giovanni vuole essere sicuro della distanza, di più, si sporge dalle fronde, viene scorto dal nemico, colpito ad un polmone, cade. La "piccola vedetta lombarda" come De amicis lo chiamerà nel suo libro "Cuore", non morirà sul colpo, prima attraverserà sei mesi di atroci sofferenze vegliato giorno e notte da soldati piemontesi e francesi, come angeli custodi a cui aveva salvato la vita in cambio della propria. Anche quella battaglia non fu vinta, si era nella Seconda Guerra d'Indipendenza, ma lui aveva vinto la propria.
Pakistan, Ibrahimzai, gennaio 2014, distretto di Hangu, Provincia di Khyber Pakhtunkhwa:
quattro giorni fa, una scuola con più di mille allievi, la Boys High School di Ibrahimzai, un'assemblea, tre allievi in ritardo nel cortile della scuola, si affrettano. Uno di loro è Aitzaz Hasan, poco più di quattordici anni. Un giovane con la loro stessa divisa scolastica chiede informazioni. E' uno sconosciuto. Aitzaz si insospettisce, intuisce il pericolo, lo affronta. Lo sconosciuto si divincola, prova a continuare l'azione, Aitzaz è deciso a fermarlo. Lo sconosciuto si fa esplodere. Aitzaz è con lui.
Zahidullah Bengash, uno dei tre ritardatari, cugino e coetaneo di Aitzaz, rimasto lievemente ferito, in un'intervista telefonica dice: " mio cugino ha avuto un sospetto, ha chiesto la sua identità e come mai non l'avesse mai visto prima. Lo straniero ha cercato di scappare e Aitzaz lo ha affrontato. Nella lotta l'attentatore si è fatto esplodere..." e ancora:" Aitzaz era molto vivace e cordiale, amava il suo paese e i suoi amici. Ha sacrificato la sua vita per loro."
Centinaia erano gli studenti presenti all'assemblea quella mattina, centinaia sarebbero saltati in aria, Aitzaz ha salvato loro la vita. Ora riposa in quel luogo ultimo e ricolmo di fiori come i cimiteri sono in quelle terre. L'azione bellica, ché tali sono queste, rientra negli attentati settari contro gli sciiti. Il nemico era un militante del gruppo estremista sunnita Lashkar-e-Jhangvi, da noi citato più e più volte a proposito del genocidio del popolo Hazara. Ma non di questo vogliamo parlare, non ora, non stavolta, non di quel che andiamo ripetendo da un tempo che s'è fatto troppo. Né vogliamo sottolineare quel che si cela dietro queste azioni criminali, quel che le muove, non vogliamo ripeterci, no. Stavolta vogliamo ricordare tre piccoli eroi, soltanto, tre piccoli eroi apparentemente distanti nel tempo e nello spazio, eppure così vicini da annullare la dimensione spazio temporale, da confermarne l'illusione. Così vicini da sottolineare quanto in alcuni paesi, che non sono più quelli del nostro occidente, la forza degli ideali viva ancora nei ragazzi o poco più che bambini, fino al sacrificio della vita. Malgrado tutto. Di null'altro vogliamo trattare, ora, di null'altro.
Marika Guerrini
foto dal web
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