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mercoledì 26 ottobre 2016

Quetta terrore nella notte

... Quetta, Baluchistan, ora locale: 24 circa, in Italia 21, notte tra il 24 e il 25 c.m., un giorno fa. Al “Police Training College“, Accademia di Polizia a 20 kilometri dalla città, i cadetti dormono. Tre attentatori con giubbotti esplosivi irrompono nelle camerate, all’impazzata scaricano i kalashnikov. L’immediato intervento delle forze di sicurezza pakistane, armate di mitragliatori e bombe a mano, non riuscirà ad evitare il peggio. Lo scontro a fuoco durerà quattro ore. Il numero delle vittime sarà di 61 morti e 160 feriti tra cui molti tuttora in pericolo di vita. La maggior parte saranno cadetti, i tre attentatori saranno vittime anch’essi, due suicidi, il terzo ucciso dalla polizia.
A comunicare il fatto è l’Aamaq, agenzia vicina al Daesh che rivendica l’azione. Anche lo scorso mese di agosto, miliziani del Daesh hanno attentato a Quetta, “assassinio di avvocati”, provocando più di 80 morti. Eppure questa volta qualcosa ci sfugge. Conoscendo più che bene la situazione laggiù, avvertiamo una strana sensazione, come di notizia incompleta o inesatta. Riflettiamo insieme.
Per agire a questi livelli a Quetta, quindi nel martoriato Baluchistan quindi in Pakistan, bisogna supporre un aggancio tra Daesh e Lashkar-e-Jhangvi o suoi affiliati,  oppure tra Daesh e Tehreek-e-Taliban, gruppi terroristici che spesso abbiamo incontrato nelle nostre pagine quali autori di attentati e stragi quasi sempre perpetrati nei confronti dell’etnia sciita Hazara che, proprio nella capitale del Baluchistan, è presente con una città nella città. I Tehreek-e-Taliban poi, sono coloro che nel 2014, dicembre, attaccarono la Scuola Pubblica Militare di Peshawar provocando 80 morti di età tra i 10 e i 18 anni.
Sta di fatto che gli attentatori, miliziani del Daesh, si dice, per via di alcune telefonate, siano giunti dall’Afghanistan, il che sarebbe anche ovvio, ma sappiamo che cellule del Daesh in Afghanistan sono nella regione del Kyber Pass, zona di Nangarhar, distretto di Haska Mina, dove i miliziani si addestrano, nord-est per l’Afghanistan, sud-ovest per il Pakistan, sulla Linea Durand, confine che corre in perpendicolare combaciando i due paesi. Non dimentichiamo anche che a pochi kilometri da Quetta, oltre il confine che dalla città si vede quasi ad occhio nudo, ovvero in Afghanistan, vi è Kandahar, da sempre, quasi, base Nato. E sappiamo che, tranne alcuni elementi quali Abdul  Khaliq, Bajahur Hafiz Saeed Khan, il portavoce di  Saeed Khan di cui ci sfugge il nome ed altri quattro o cinque elementi usciti dalle fila dei Taliban per aderire al Daesh, questi gruppi combattono la presenza del Khilafat, Califfato di Al Baghdadi, nella regione, in cui, con il beneplacito Nato, è penetrato.
 Quel che si dice anche e non da ora, è che obiettivo del Califfato sia la nascita di un Emirato Islamico del Khorasan, dal nome dell’antica provincia estremo orientale dell’impero persiano, che oggi corre dal subcontinente indiano al nord-est dell’Iran, attraverso Afghanistan, Pakistan, Uzbekistan, Turkmenistan e Tajikistan.
Pensando a quelle terre e alle loro genti nonché alle grandi messe in scena del Califfato poniamo anche a questo un grosso punto interrogativo, troppo lungo da spiegare.
Da dove sono giunti gli attentatori del College di Quetta? A cosa, a chi erano collegati? La motivazione sunniti-sciiti non regge: il College era aperto a tutti. Quel luogo è un brulicare di spie prezzolate d’ogni tipologia e d’ogni dove. Come sappiamo, le risorse minerarie sono enormi e non ancora sfruttate. Come sappiamo Multinazionali straniere sono presenti per lo sfruttamento. Che ci sia stata una rivendicazione lascia il tempo che trova. Peccato che sempre, proprio sempre, questi attentatori muoiano sempre proprio sempre prima che li si costringa ad una confessione. Chissà se hanno urlato: Allah-u- Akbar!  
Quel che è triste, molto più che triste, è che ancora una volta, come in un’emorragia del pianeta, siano state giovani vite innocenti ad essere spezzate.
Marika Guerrini

immagine: quotidiano.net

lunedì 10 ottobre 2016

"Sulla Siria i media internazionali calpestano la verità" parole di Joseph Tobji

... "ora, adesso come ieri, prima e forse poi, l'impulso che si ripete nel prendere la penna e segnare quel che continua ad accadere interessando tragicamente i mondi d'oriente e d'occidente, è tacere. Seguire le parole segnate da K. Kraus nel suo Gli ultimi giorni dell'umanità: Chi ha qualcosa da dire si faccia avanti e taccia . Tacere.". E ancora:
"Alla Siria, dall'economia dell'universo, potrebbe essere stato affidato un gravoso, ma di grande utilità storico-evolutiva, compito: la rinascita dell'occidente. La Siria con il sacrificio di sé, il dolore della  sua gente, il dolore di migliaia e migliaia di sue anime bambine a cui  è stata strappata l'infanzia oltre che la loro storia, questo tutto così incredibilmente evidente, così manifesto al mondo, per motivi e movimenti che sfuggono all'umana misera ragione, potrebbe riordinare la storia. Il sacrificio della Siria potrebbe essere quell'illusione, quel qualcosa che accade nell'animo umano ad arrestare il corso dell'occidente nella discesa agli inferi. 
Stralci di una pagina di occiriente, una di queste pagine, parole tracciate il 7 febbraio di questo stesso 2016.  
Avremmo potuto fermarci prima, dovuto, non l'abbiamo fatto. 
Pagine e pagine abbiamo scritto sulla Siria, abbiamo scritto anche, come ora, d'aver scritto, lì avevamo un amico un tempo, le sue telefonate all'alba, chi ci segue lo sa, sa che Youssuf era il suo nome, ora non è più. Ma le pagine dell'alba, quelle da lui "dettate" sulla sua Siria, ci sono, ci saranno e continueranno ad essere finché la Siria sarà liberata dall'infamia di questa guerra. Stavolta però lasciamo ad altri la parola, una parola di sei giorni fa, parola pronunciata in sede del Senato d'Italia, alla III Commissione Esteri, pronunciata dall'Arcivescovo cristiano maronita di Aleppo. Parola segnalata ma non abbastanza. Lasciamo la parola ad una voce umana, veritiera, pulita, che giunge dalla guerra, non una guerra, la guerra. Chi non l'abbia già ascoltata o chi l'abbia, clicchi sul sito segnalato di seguito, si liberi da qualsivoglia pregiudizio o idea o quel che sia di qualsivoglia natura e ascolti quel che già sa, quel che  il mondo continua a fingere di non sapere, come il Ministro Gentiloni che condanna la Russia e al-Assad, ovvero la risposta, mentre collabora con chi  ha procurato l'attacco, chi quest'inferno ha deciso, scatenato e mantiene in vita.

Arcivescovo di Aleppo: "Sulla Siria i media internazionali calpestano la verità". PandoraTV

E' quel che accade quando la politica si sottomette alla teocrazia finanziaria, la menzogna si fa padrona, l'umanità viene sacrificata al profitto. I suoi frutti si fanno amari.
Marika Guerrini
immagine:web


mercoledì 5 ottobre 2016

Afghānistān: Bruxelles parole vuote e criminali

Kunduz: la Valle
…giorno 4, giorno 5 di quest’ottobre del 2016, ieri, oggi, i due giorni di Bruxelles come quelli di Londra di due anni fa, come quelli di Tokio di quattro anni fa, come tutti gli incontri d’occidente e d’oriente in cui ci si riunisce per “parlare “ di Afghānistān. Parlare vuote parole, dall’astratto significato, ancor più astratta realizzazione, parole pericolose, anche.
Vetrina, questa di Bruxelles, fortemente desiderata da Ashraf Ghani, indegno Presidente di quella Terra. Ma Ghani come tutti gli indegni, è furbo, con lui, in qualità di Ministro degli Esteri, Salah’Uddin Rabbani, figlio di quel Rabbani, Buran’Uddin, che fu Presidente della Repubblica Islamica d’Afghānistān (1992-2001), Presidente legittimo, eletto per legittime elezioni, di quel Governo legittimo di cui A.S.Massoud fu Ministro della Difesa. Quel Governo legittimo che l’occidente non solo ignorò ma scavalcò invitando al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, 2001, i Taliban, il falso Governo dei Taliban, anche se, per salvare la faccia, finse di negare loro la legittimità, anche perché nel frattempo il neo Presidente G.W.Bush formava la squadra del proprio Governo con la Condoleezza Rice, ex dirigente Chevron-Texaco e la Gale Norton rappresentante della Delta-Oil e della BP-Amoco, dopo di che avrebbe sovvenzionato i Taliban con svariati milioni di dollari al fine, ufficiale, di “riconvertire”, tramite i contadini locali, i campi coltivati ad oppio, mentre commissionavano ordinazioni e facevano acquisto, attori: Usa-Europa. Uniche cose ad essere, in verità, “riconvertite” fu la direzione delle bombe statunitensi che mai avrebbero colpito, né allora né poi, i campi di oppio, e lo stesso oppio trasformato in eroina, con la fabbricazione di una raffineria proprio in quel di Kandāhār, lì, sotto l’occhio vigile prima british poi Usa. 
Ma il Ghani di facciata, ieri, oggi, si fa accompagnare dal figlio dell’unico Presidente aghano legittimo, perché eletto senza trucco prima della frantumazione del Paese, non come  Hamid Karzai dal marchio americano o, appunto, idem, Ghani. Eppure, l’asino casca, perché con Ghani, a Bruxelles, ci sono anche due tra i peggiori sanguinari afghani, non perché Signori della Guerra, perché traditori: Galbuddin Hekmatiar e Rashid Dostum. Ma l’ignoranza permette la menzogna, e il sonno anche e l’Occidente continua a scegliere entrambi. E a Bruxelles le parole saranno, sono, vuote e criminali. Vuote perché  il piano di riforme, presentato discusso: economico, servizi pubblici, diritti delle donne, riduzione del traffico di oppio e derivati, lotta alla corruzione, alla speculazione in ogni ramo sociale, compresa sanità, istruzione eccetera eccetera, non potrà mai e poi mai essere realizzato finché non si “pulisca” il Paese dallo straniero e si "converta" la società tutta attraverso un lento cammino di conoscenza e modernizzazione, cammino che Re Aman’Ullah (Regno 1919-’29) aveva intrapreso e realizzato, per poi trovarsi in esilio per rivolte interne fomentate dall’allora Impero Britannico, confinante in India. Cammino che può iniziare a muoversi solo ed esclusivamente all’interno del paese stesso, non con stranieri o sotto la guida o la minaccia di afghani venduti, legittimati da dollari ed euro.
Parole criminali perché, con l’ipocrisia propria al contemporaneo occidente, Europa in questo caso, prima ancora che prendesse avvio questa buffonata bruxelliana sul Paese, l’UE si era già accordata, domenica 04 c.m., sul rimpatrio dei migranti afghani previo denaro allo Stato afghano. I trenta denari.
Così sono stati venduti i migranti afghani. 
Cosa importa se laggiù la guerra sta subendo un progressivo peggioramento. Cosa importa se il Paese è più che mai insicuro. Cosa importa se si fa un passo e non sai se ci sarà il secondo. Cosa importa se molti di loro non hanno più casa lavoro vita civile parenti, né possibilità di…, nulla. Sì, certo, c’è un’eccezione in quest’Accordo, riguarda i minori non accompagnati o orfani, forse sì forse no, bisognerà informarsi sulle condizioni locali, sì, certo, chi scrive ne ha viste tante di Organizzazioni Umanitarie, arricchitesi con il denaro stanziato per: Assistenza e Accoglienza ai Minori, laggiù.
L’accordo di Bruxelles dal nome: Joint way forward on migration issues between Afghānistān end EU, vale a dire: Prossimi passi congiunti, tra Afghānistān e UE, sulla migrazione, validità quattro anni, contempla gli stessi impegni presi a Londra nel 2012. Ovvero tutto come prima com’è ora come sarà domani. La fobia dei migranti è riuscita anche a stilare una carta di condanna, a morte, non certa ma probabile, per quei migranti che verranno rimpatriati in una patria che non c’è più.
Nulla cambia, in Afghānistān va tenuta invariata l’attuale condizione: è potere di controllo, innanzi tutto, potere esercitato dalle nove basi Nato presenti, potere che, oltre alla posizione strategica geopolitica, vuol dire continuare lo sfruttamento di suolo e sottosuolo, da cui denaro denaro denaro, il che rende opportuno il denaro stanziato a Bruxelles anche per le riforme di cui sopra, denaro stanziato inutilmente rispetto agli obiettivi dichiarati, denaro che entrerà nelle solite tasche, che siano corrotti locali o stranieri, a qualsiasi livello e coprenti qualsiasi ruolo istituzionale e non.
Tutto questo Bruxelles, sinonimo di ipocrita Europa, lo sa. L’Afghānistān va tenuto in ginocchio, sì è fatta parola d’ordine quest’espressione, ma l’Afghānistān non ha più ginocchia su cui poggiare.
Marika Guerrini