... Quetta,
Baluchistan, ora locale: 24 circa, in Italia 21, notte tra il 24 e il 25 c.m.,
un giorno fa. Al “Police Training College“, Accademia di Polizia a 20 kilometri
dalla città, i cadetti dormono. Tre attentatori con giubbotti esplosivi
irrompono nelle camerate, all’impazzata scaricano i kalashnikov. L’immediato
intervento delle forze di sicurezza pakistane, armate di mitragliatori e bombe
a mano, non riuscirà ad evitare il peggio. Lo scontro a fuoco durerà quattro
ore. Il numero delle vittime sarà di 61 morti e 160 feriti tra cui molti
tuttora in pericolo di vita. La maggior parte saranno cadetti, i tre
attentatori saranno vittime anch’essi, due suicidi, il terzo ucciso dalla
polizia.
A
comunicare il fatto è l’Aamaq, agenzia vicina al Daesh che rivendica l’azione.
Anche lo scorso mese di agosto, miliziani del Daesh hanno attentato a Quetta,
“assassinio di avvocati”, provocando più di 80 morti. Eppure questa volta
qualcosa ci sfugge. Conoscendo più che bene la situazione laggiù, avvertiamo
una strana sensazione, come di notizia incompleta o inesatta. Riflettiamo
insieme.
Per
agire a questi livelli a Quetta, quindi nel martoriato Baluchistan quindi in
Pakistan, bisogna supporre un aggancio tra Daesh e Lashkar-e-Jhangvi o suoi affiliati, oppure tra Daesh e Tehreek-e-Taliban,
gruppi terroristici che spesso abbiamo incontrato nelle nostre pagine quali
autori di attentati e stragi quasi sempre perpetrati nei confronti dell’etnia
sciita Hazara che, proprio nella capitale del Baluchistan, è presente con una
città nella città. I Tehreek-e-Taliban poi, sono coloro che nel 2014, dicembre,
attaccarono la Scuola Pubblica Militare di Peshawar provocando 80 morti di età
tra i 10 e i 18 anni.
Sta
di fatto che gli attentatori, miliziani del Daesh, si dice, per via di alcune
telefonate, siano giunti dall’Afghanistan, il che sarebbe anche ovvio, ma
sappiamo che cellule del Daesh in Afghanistan sono nella regione del Kyber
Pass, zona di Nangarhar, distretto di Haska Mina, dove i miliziani si
addestrano, nord-est per l’Afghanistan, sud-ovest per il Pakistan, sulla Linea
Durand, confine che corre in perpendicolare combaciando i due paesi. Non
dimentichiamo anche che a pochi kilometri da Quetta, oltre il confine che dalla
città si vede quasi ad occhio nudo, ovvero in Afghanistan, vi è Kandahar, da
sempre, quasi, base Nato. E sappiamo che, tranne alcuni elementi quali
Abdul Khaliq, Bajahur Hafiz Saeed
Khan, il portavoce di Saeed Khan
di cui ci sfugge il nome ed altri quattro o cinque elementi usciti dalle fila
dei Taliban per aderire al Daesh, questi gruppi combattono la presenza del Khilafat, Califfato di Al Baghdadi, nella regione, in cui,
con il beneplacito Nato, è penetrato.
Quel che si dice anche e non da ora, è
che obiettivo del Califfato sia la nascita di un Emirato Islamico del Khorasan,
dal nome dell’antica provincia estremo orientale dell’impero persiano, che oggi
corre dal subcontinente indiano al nord-est dell’Iran, attraverso Afghanistan,
Pakistan, Uzbekistan, Turkmenistan e Tajikistan.
Pensando a quelle terre e alle loro genti nonché alle grandi messe in scena del Califfato
poniamo anche a questo un grosso punto interrogativo, troppo lungo da spiegare.
Da
dove sono giunti gli attentatori del College di Quetta? A cosa, a chi erano
collegati? La motivazione sunniti-sciiti non regge: il College era aperto a
tutti. Quel luogo è un brulicare di spie prezzolate d’ogni tipologia e d’ogni
dove. Come sappiamo, le risorse minerarie sono enormi e non ancora sfruttate.
Come sappiamo Multinazionali straniere sono presenti per lo sfruttamento. Che
ci sia stata una rivendicazione lascia il tempo che trova. Peccato che sempre,
proprio sempre, questi attentatori muoiano sempre proprio sempre prima che li
si costringa ad una confessione. Chissà se hanno urlato: Allah-u- Akbar!
Quel
che è triste, molto più che triste, è che ancora una volta, come in
un’emorragia del pianeta, siano state giovani vite innocenti ad essere
spezzate.
Marika
Guerrini
immagine: quotidiano.net