sabato 15 dicembre 2018

Strasburgo Damasco Parigi Baghdad Bruxelles Bamiyan Londra Mosul Madrid altrove... e le madri senza lacrime

Mosul- Chiesa di San Tommaso (1)
"...e un'ala del palazzo implodeva sbriciolandosi a due passi da voi, tutto in contemporanea. Calcinacci ancora, fragore ancora, ancora grida, ancora polvere come manto a coprire imbiancando la paura. 
Le sirene avevano preso a susseguirsi, e soldati s'erano moltiplicati. E uomini e donne a scavare tra le macerie mentre qualcuno usciva da esse bianco di tutto, qualcun'altro aiutava qualcun'altro a farlo, qualcun'altro ancora giaceva inerte lontano dalla vita. E tu lì e Ahmad non mollava la presa e tutto sembrava un film.
Era stato allora, da spettatore, che avevi realizzato di trovarti sul luogo di un attentato, di avere una macchina fotografica, una telecamera, e avevi preso a scattare, scattare e riprendere, come se la cosa non ti riguardasse, con il cinismo di chi informa per dovere di cronaca, sacrosanto cinismo chiamato in questi casi professionalità. Ma c'era qualcosa d'altro in te in quel momento, come a voler fuggire.
E avevi continuato a scattare mentre Ahmad aiutava ora questo ora quello e scavava anche lui e tu scattavi e riprendevi, riprendevi e scattavi e avevi continuato fino a vedere lei.
Bianca di polvere una giovane donna avanzava con passo regale e capo eretto, Come venisse fuori dal nulla accoglieva tra le braccia un piccolo corpo, piccolo, molto piccolo e immobile e lo portava così come un dono posto su di un vassoio, un'offerta. Non una lacrima le rigava il volto e lo sguardo era lontano, con il piccolo corpo, oltre la vita. E' lì che hai incontrato la guerra, per la prima volta, lì, tra le braccia di una madre senza lacrime.
Il dolore smisurato non sa sciogliersi in lacrime, non sa piangere. E avevi fermato i tuoi scatti, le riprese. e avevi riposto tutto nella sacca, sulla spalla, e avevi preso a scavare..." poi in un altro stralcio: ".. Avevi venduto bene i tuoi scatti al rientro, e le riprese s'erano fatte documentario... Ottimo lavoro, ti era stato detto da uno dei redattori del Washington Post...Solo uno scatto avevi tenuto per te: la madre senza lacrime. Quello non l'avevi venduto né mostrato, eh, sì, che avrebbe fatto colpo..." (2)
Non c'è confine, né colore, né bandiera. Non c'è credo, né tradizione, né ideale capace di argomentare, motivare, giustificare al cuore di una madre la perdita di un figlio, è contro natura. Così non ci sono parole né lacrime, ma silenzio, solo silenzio che accolga l'indescrivibile dolore e ne faccia dono al cielo. Ne faccia sacrificale offerta al Divino. Ne faccia preghiera, preghiera per tutte le madri di questi figli, questi Antonio, questi Sherif o qualunque sia il nome indossato per così breve tempo in questa vita. Se ne stanno andando a schiere, tutti giovani, giovanissimi, bambini, chissà, forse per guidare dall'alto l'uomo che oggi, ora, come altre volte nella storia, se pur con più circoscrizione, non riesce a trasformare la vita in conoscenza di sé e dell'intero umano scibile, sì da attraversarla in armonia. Per evolvere. Ma, ora chiudiamo questa pagina con altre immagini di stralci tratti, come sopra, dal romanzo il cui titolo si segnalerà in note:
"... era quasi Natale....Fu il Natale più bello della tua vita... il più bel dono sotto l'albero...Il giorno di quel Natale dell'89 eravate andati al Museo Nazionale e avevi incontrato i leoni dell'antica porta come fossero ancora lì a proteggere le mura. E reperti mesopotamici e babilonesi e achemenidi fino all'Islam ti erano venuti incontro, ma l'elmo d'oro di Ur era rimasto nel tuo cuore con il racconto di tuo padre che accompagnava la storia di Madinat al-Salama. Città della Pace, antico nome di Baghdad, questo vuol dire...E ti aveva raccontato del tempo di Arum al Mansur: fu lui  a voler che la pianta di Madinat al-Salama fosse circolare, quale richiamo all'universo. Era il centro del mondo allora..." (3)
Ora a Baghdad, così come a Damasco, così come a Palmira, cosi come a Bamiyan, così come a... gli occhi dei bambini non possono aprirsi alle meraviglie dell'antica Storia, alle meraviglie della loro stessa origine, la nostra. Alla meraviglia della memoria. Il perché non ha bisogno d'esser ricordato.
Marika Guerrini 

Note
(1)  Mosul, 2017:-la chiesa di san Tommaso tra calcinacci e piccoli crolli, come per miracolo, quasi risparmiata          dalle bombe. Fonte: "L'Orient Le Jour". Si ringrazia.
(2-3) Marika Guerrini, "Oltre le mura di Baghdad", ed. Jouvence 2017 







giovedì 8 novembre 2018

Dipawali e la leggenda della Luce che vince la tenebra


...  Dipawali, in sanscrito दीपावली, la vittoria della Luce sulla Tenebra, da una leggenda indiana. Ascoltiamo..
Nel tempo in cui gli dei amavano assumere sembianze umane, accadde che il dio Vishnu, eroe del Pantheon induista, si mostrasse agli uomini sotto le spoglie di Rāma, il coraggioso guerriero. Rāma amava di un amore più che terreno SĪtā, la sua shakti, ma si sa, e si sapeva anche allora, che l'invidia può invadere il cuore degli uomini, ancor più il cuore di un essere maligno, e fu così che Ravana, il demone dalle dieci teste e dalle venti braccia, noncurante  dell'amore di Rāma e SĪtā decise di fare di quest'ultima la propria sposa, la rapì e la portò via sul suo carro. SĪtā però non si perse d'animo e, come nella fiaba di Pollicino, tracciò una scia lungo il tragitto: sfilò la sua collana di gemme scintillanti e le lasciò cadere una ad una. Quando Rāma si accorse della sua assenza si guardò intorno, notò la prima gemma, poi la seconda e così via, capì quindi il segnale lasciato da SĪtā e prese a seguire la traccia di gemme. Cammina cammina, le gemme non finivano mai, era come se si moltiplicassero. Ad un certo punto però il nostro eroe fece un incontro particolare, si trovò dinanzi un enorme scimmia, era Hanuman, il Re delle scimmie, che di certo non godeva di una buona fama, in quel caso però, dopo aver ascoltato l'accorata storia di Rāma che aveva perso la sua shakti, decise di aiutarlo. Hanuman chiamò a raccolta tutte le scimmie e gli orsi della terra e tutti, proprio tutti insieme si misero sulle tracce lasciate da SĪtā. La ricerca fu lunga, molto lunga finché giunsero alla vista di un'isola sperduta, a quel punto le scimmie e gli orsi si accorsero che SĪtā si trovava proprio lì, imprigionata. Fu così che tutti insieme, uno accanto all'altro, formarono un ponte sì che Rāma potesse raggiungere l'isola e liberare la sua shakti. Ma Ravana di cui si può dire la cattiveria ma non che mancasse di intelligenza, aveva notato tutto e si era messo in attesa dell'eroe. Quel che accadde nella battaglia tra i due fu terribile, pareva che la terra volesse ingoiare il cielo, e di certo non starò qui a raccontarlo, quel che invece racconterò è che malgrado l'immane potenza del dio del Male, Ravana venne ucciso da Rāma, questi scagliò contro di lui una magica freccia di luce che colpì il demone al centro del suo cuore nero. Sulla sostanza di quella luce si sono dette tante cose, ma quel che i devoti raccontano è che fosse intrisa  d'Amore e per questo, invincibile. La voce della vittoria di Rāma su Ravana fece in breve il giro del mondo conosciuto e non, giungendo fino alla città di Ayodhya, lì, la gente del luogo illuminò il cammino di Rāma e SĪtā con migliaia di fiaccole accese affinché potessero giungere al più presto a coronare il loro amore. E' da allora che il Dipawali, ricorrenza festeggiata in questi giorni in tutta l'India qualunque sia il credo di appartenenza, con le sue mille e mille lucerne illumina il cammino degli uomini, ricordando loro la vittoria della Luce sulla tenebra, del bene sul male. E ricordando a chi si trova oltre quei confini i versi sacri che recitano così: e la luce risplende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno sopraffatta...
Marika Guerrini

venerdì 19 ottobre 2018

Platone, "La Repubblica"e la Democrazia

...  in giorni quali gli attuali, in cui, da un tempo quasi immemore, vediamo avvicendarsi Governi e Governi, governanti e governanti, sembra proprio che le idee di saggezza abbiano abbandonato gli organi preposti a guida del paese e del popolo. Accanto a questo, da tempo ancor più immemore, ogni azione viene canalizzata nella parola Democrazia che, malgrado le si dia significato sempre svariato asseconda dell'uso del momento, risulta essere l'unica forma atta a governare. L'uso spesso improprio, di questa parola fattasi ossessiva, può far sorgere il desiderio di volgere lo sguardo al passato, all'origine, al fine di trovare conforto in pensieri che permettano all'animo di respirare un liberatorio respiro. E' quel che è accaduto a chi scrive, da qui il riprendere dallo scaffale una vecchia edizione de "La Repubblica" spolverarlo e tuffarsi nella sua rilettura. 
Il solo fatto della errata traduzione latina di "Politéia", titolo originale più vicino al significato di Stato che non di cosa pubblica, Res Publica, appunto, è indicativo della diversità di intenti tra Platone e la Roma del tempo che spesso riduceva in materia quel che apparteneva allo spirito. Ma, riflettiamo e sorvoliamo. 
Dopo lo spolvero, la rilettura, l'ampliarsi del respiro e il silenzio dell'animo è giunta la riflessione, appunto, seguita da un altro desiderio, quello di tracciare una pagina di occiriente in merito a, questa pagina.
In "Politèia", usiamo il nome datogli dall'autore, egli delinea la visione del perfetto ordine politico. Sì, certo, nel rileggere la bellezza dell'opera, si è ripresentato il pensiero, in chi sta scrivendo, che la sua attuazione nel reale, sia possibile solo in un paese abitato da figli di Dei, ma poiché, bene o male, in un modo o nell'altro, a tutti è data questa derivazione, ecco che qualche spunto, se pur infinitesimale, potrebbe farsi socialmente utile anche qui, ora, oggi. Fosse anche solo, ancora una volta, una riflessione.
Quel che immediato in "Politéia" salta all'occhio, è l'armonia circa le prospettive contemporaneamente sempre umane e divine, e il giusto grado da attribuire, nello Stato, ai valori. Così, ci si immagina al Pireo immersi in una conversazione a cui è presente Socrate, oltre a due fratelli di Platone e a Trasimaco, il sofista. Lì, conversando, viene fuori che la prima funzione dello Stato è quella di provvedere al sostentamento materiale, vale a dire che vanno supportati operai, artigiani, agricoltori e così via, ognuno nel proprio lavoro, sì da garantire il benessere dei cittadini. Questa è la partenza, la prima classe, o casta. funzionale. 
Perché questa casta si possa realizzare, c'è bisogno di un'altra casta funzionale, una casta posta a difesa, i guardiani, che garantisca la sicurezza  a coloro che lavorano per il benessere del Paese. Platone identifica costoro in una sorta di ordine monastico, uomini e donne che vivono insieme come fratelli, come fosse in un grande convento. Sì, anche donne, ed anche qui la grande modernità dell'opera, infatti in Platone, le donne, nei diritti, vengono parificate agli uomini.
Momento  successivo a questo dei guardiani è la scelta dei filosofi che dovranno porsi a guida dello Stato, e la scelta avviene all'interno di questa élite di guardiani-soldato.
Abbiamo così lo Stato composto da una triade di virtù, ognuna corrispondente ad una classe o casta funzionale, in ordine: temperanza, coraggio e sapienza. Poi è il momento della Giustizia. Dove si troverà la Giustizia? La Giustizia è qui, consiste proprio nell'ordine e funzionamento della triade che alberga, allo stesso tempo, sia nell'animo umano che nell'animo dello Stato, ovvero all'interno di esso.
Ecco come Platone pone l'Aristocrazia, letteralmente: governo dei migliori, a guida dello Stato, ad essa il compito di mantenere l'ordine e l'armonia tra le tre classi. 
Ma tutto questo potrebbe nascondere però delle insidie, vediamo quali.
La prima insidia potrebbe essere l'instaurarsi di una Timocrazia, ovvero l'affermarsi della sete di potere dei nobili, sete di potere che, per deviazione, potrebbe essere appoggiata non già da guardiani-soldato puri, bensì soldati violenti, estremi, alla maniera spartana. Situazioni che oggi possono intendersi in vario modo e chiaramente.
La seconda, definita da Platone Oligarchia, sarebbe un governo in cui predomina il danaro, in cui tutto si svolge in sua funzione, quindi governo di pochi ricchi. Ed anche questo oggi non è difficile da intendersi, tanto meno è a noi remoto.
Infine, terza insidia dello Stato ideale è la Democrazia, vale a dire governo guidato dall'ignoranza o incompetenza che sia ed in qualunque ramo sia, in essa, per essa ed in funzione di essa, la vita si svolge senza alti ideali, senza obiettivi di alto valore, con un'apparenza di uguaglianza, in realtà livellamento in basso. In essa raramente si attende al reale benessere del cittadino che abbisogna di armonia tra materia e spirito, che abbisogna della triade di virtù di cui sopra, nessuna di esse esclusa. Sì perché, sempre secondo Platone, ma anche secondo chi scrive, nel momento in cui non esiste più una Aristocrazia, che nulla ha a che vedere con il comune odierno significato, ma intesa nell'accezione pura datagli dal filosofo, viene a cadere la guida scevra da interessi personali e protesa solo al bene dello Stato e dei cittadini, in questo modo agevolando il formarsi e/o l'esprimersi delle caratteristiche deviate e devianti dell'uomo, che si mettono in azione al fine di conquistare la  guida dello Stato. Degenerando anch'esso. Ben magra conquista!
Marika Guerrini
  



   

martedì 11 settembre 2018

11 settembre e il Ground Zero della verità.

Ground Zero 2008
... le pagine di occiriente varie volte hanno ricordato l'11 settembre del 2001, e varie sono state le forme. L'ultima volta è stata l'11 settembre del 2014, da allora, le pagine, si sono rifiutate di tornare sull'argomento. Coltivando la segreta speranza che nel frattempo un qualche bagliore di verità fosse reso pubblico dai media di massa? Può darsi, ma solo per eccesso di positività. Non è stato così. A diciassette anni di distanza, era di martedì anche allora, la menzogna su quel giorno fattosi indegnamente storico, da cui distruzione di Afghanistan, Iraq, Siria, Libia,  quel giorno di avvio a guerre che hanno sbriciolato la storia delle origini, continua ad essere manifesta anche sotto mentite spoglie, con varie tipologie di armi, da quelle propriamente dette, al terrorismo islamico, in realtà creato dagli Usa con apporto saudita, all'economia, ai flussi migratori, tutto malgrado molto si sia scritto, detto, malgrado siano state dimostrate le dinamiche da tecnici aeronautici, ingegneri edili, esperti d'ogni tipo, malgrado centinaia di testimonianze, dirette e indirette, abbiano attestato il contrario della versione ufficiale, malgrado lo abbiano fatto libri, articoli, conferenze, tra i tanti anche quelli di chi scrive, malgrado tutto, nulla si è ottenuto di ufficiale che smentisse l'iniziale menzogna.Tutto ha continuato a scorrere, ad essere divulgato secondo l'iniziale versione e sempre, o spesso, si è accompagnato il tutto con accuse, qui e là, di complottismo nei confronti di chi indicava, e indica, la verità dei fatti dietro l'ufficiale menzogna. E allora eccoci costretti di nuovo qui, costretti al punto di partenza nel tedio di dover tornare sul già scritto, già detto, senza alcuna pretesa circa il cambiamento della pubblica opinione, che in realtà sa e non vuol sapere o tace, eccoci qui per una sorta di onestà storica nei confronti delle nuove generazioni che, diversamente da quel che spesso si pensi, vogliono sapere, e ne abbiamo testimonianza tutte le volte che veniamo chiamati nelle scuole ad illustrare l'argomento. Allora il dibattito si fa sempre interessante, vivo, intelligente. Così, mentre nella nostra pagina di settembre 2014 fu riportato un brano del mio libro "Rossoacero- conosco il canto del muezzin-" a testimonianza di sensazioni, sentimenti, pensieri eccetera, sull'accaduto, ora si riporta, sempre accantonando ogni eleganza del citare se stessi, un brano di "Afghanistan - passato e presente", qualche stralcio della mia storia dell'Afghanistan dalle antiche origini ad oggi, stralci estratti dal penultimo capitolo, titolato "L'eco delle Twin Towers"..

" ... I media impazziscono quell'11 di settembre del 2001, ventiquattr'ore su ventiquattro proiettano sullo schermo in maniera ossessiva l'impatto degli aerei kamikaze sulle Torri Gemelle, su quel simbolo dell'economia mondiale che ora giace in frantumi. Si mandano in diretta pianti, grida, la disperazione del popolo americano, come fosse la bomba di Hiroshima e Nagasaki.
Dalle 8,48 di quel martedì, momento dell'attacco al World Trade Center di Manhattan, il mondo "civile" è rimasto incollato alle immagini del disastro, i titoli sui giornali sono stati tutti del tipo: Attacco all'America e alla Civiltà, molti giornalisti hanno usato definizioni quali: siamo tutti americani, dimostrando un corale indebolimento delle coscienze....".
Il capitolo poi continua riportando la situazione politica dell'Afghanistan di allora, continua accennando all'uccisione da parte dei servizi segreti internazionali, sotto controllo Cia, di Ahmad Shah Massoud, continua evidenziando il crimine americano contro l'umanità perpetrato sull'inerme popolo afghano spacciato, negli States, come taliban cosa agevolata da: " ...al popolo americano a cui, per inciso, dalla fine della II Guerra Mondiale è stato tolto l'insegnamento dell geografia internazionale dalle scuole primarie, lasciando solo lo studio di quella degli States, sono stati fatti risultare i taliban come afghani, questi sono stati identificati come autori e complici dell'attacco dell'11 settembre..." e così via. Ma nessuno disse allora, come dopo, come ora a diciassette anni di distanza, che Niaz Naik, al tempo già Ministro degli Esteri del Pakistan, a proposito di Osama Bin Laden, ricercato dagli Usa da tempo prima dell'attentato di cui si tratta, aveva rilasciato un'intervista in cui dichiarava che nel luglio di quello stesso anno 2001, alti ufficiali statunitensi, gli avevano detto che ad ottobre ci sarebbe stato un attacco all'Afghanistan, che sarebbe stato attuato anche se, per caso, i taliban, quelli veri,avessero consegnato Bin Laden agli Usa prima del mese di ottobre.       
Questo fu e fu con il consenso di tutto l'occidente ivi compreso l'Onu, chi poi fosse soggiogato dall'inganno e chi no, ai posteri l'ardua sentenza, per dirla con il condottiero corso. Sta di fatto che al grido: con noi o contro di noi, G.W.Bush, con la campagna Enduring Freedom, titolo da film, diede avvio alle tragedie ancora in atto, bombardando l'Afghanistan, bombardò il mondo, innescando, come sappiamo e ogni giorno constatiamo, la miccia dell'odio, che continua a bruciare, alimentata da una Enduring Lie, menzogna, che non cessa di essere. In realtà il vero Ground Zero è quello della verità. Ma questa è, come sempre diciamo, opinione di scrittore. Null'altro.
Marika Guerrini

immagine dal web

mercoledì 22 agosto 2018

Afghanistan- Indipendenza Perduta


19 agosto 2018
Kabul -S.A.R.India d'Afghanistan  si intrattiene con i soldati
nella ricorrenza del 99° anniversario dell'Indipendenza del Paese-

.... " Il dolore è una cosa 
che bisogna tenere ben cucita nel cuore
tenerla a disposizione
sì che forse se ne accorga
un certo giorno il Signore".

Giungono dal XVII sec. i versi di H'ùshal H'àn, poeta afghano (1613-1694), spesso citato in queste pagine. Poeta che ben conosceva lo spirito del suo popolo, ed è con lo stesso spirito che oggi, a tre giorni dal 99° anniversario della Dichiarazione di Indipendenza dell'Afghanistan, dedichiamo questa pagina a chi, per amore di quella terra ha voltato le spalle al futuro sacrificando la propria giovane vita. Così, nell'acre odore quotidiano  sprigionato dalle deflagrazioni, nella loro eco che non cessa di rincorresi tra monti, valli e fiumi mentre i figli di quella terra continuano ad immolarsi o venire immolati, condividiamo la ricorrenza riportando il discorso di colui che diede a quella terra l'Indipendenza: Sua Maestà Re Aman Ullah d'Afghanistan (regno 1919-1929). Ma prima di ascoltare le sue parole è d'uopo qualche brevissimo cenno storico in merito all'Indipendenza afghana.

19 agosto 2018

Kabul- S.A.R. India d'Afghanistan con il Presidente Ashraf Ghani

Siamo alle pendici dell'Himalaya, a Rawalpindi, al tempo città dell'India. E' il 26 luglio del 1919. Da questo giorno fino al giorno 8 di agosto una delegazione afghana, guidata da Alì Ahmad Khan, ed una delegazione inglese, guidata da Sir Hamilton Grant, si riunirono per stipulare un Trattato di Pace che benché provvisorio avrà gli stessi contenuti di quando poi, a circa due anni di distanza, sarà definitivo. Ma per entrare in quel momento storico facciamo un passo indietro. 
E' il 24 di febbraio di quello stesso anno quando, Aman Ullah, dopo la morte del padre , ucciso da mano ignota, sale al rango di Emiro. Le sue idee circa l'indipendenza del paese, diversamente dagli emiri precedenti, sono chiare sin dall'inizio. Il suo discorso di Investitura contiene questa frase: " Voglio essere capo di uno Stato totalmente indipendente", poi sguainata la sciabola conclude:" Non rimetterò questa sciabola nel suo fodero, finché la nazione afghana non sarà totalmente indipendente. L'Afghanistan agli afghani. Ya marg, ya esteqtal!" parole queste ultime che vogliono dire: O morte o Indipendenza.
In quello stesso momento viene decisa quella che sarà poi, di lì a qualche giorno, il 3 marzo 1919, la Dichiarazione di Guerra in quanto con una lettera, l'Emiro Aman Ullah, appena asceso al trono, comunica, in termini categorici, al viceré dell'India, Lord Chelmsford, quindi all'Impero britannico presente al di là del confine, in India, la decisione di Indipendenza e l'abrogazione di tutti i trattati precedenti che ne avevano impedito e ne impedivano la realizzazione.
Il 3 maggio sempre del 1919, prende corpo la Terza Guerra Anglo-Afghana. Per la prima volta nella storia dell'Impero britannico, l'Emiro, che poi sarà Re, di un Paese relativamente piccolo rispetto all'Impero, l'Afghanistan è due volte l'Italia,  avrà avuto l'ardire, noi diciamo il coraggio, di dichiarare guerra all'Impero britannico.
Il comportamento inglese durante il conflitto sarà come da sempre nella sua storia ed ancora oggi presente nello spirito anglo americano: indebolire il nemico con armi sleali ed approfittarne. Infatti mentre tutto pareva volgere a favore degli afghani, ecco che lo scarseggiare delle munizioni di questi ultimi, fa sì che dal fronte afghano, venga inviato un dispaccio al comando centrale per ricevere le armi. Gli inglesi intercettano il dispaccio, lo fermano e ne approfittano, così, con il nemico indebolito, avranno la meglio. Bombarderanno ovunque. La disparità di armamenti è davvero grande, la disfatta afghana inevitabile. Malgrado ciò a Jalalabad il coraggio delle truppe afghane, coadiuvate da truppe indiane contrarie all'occupazione britannica, siamo vicini al confine tra Afghanistan e India, danno scacco matto agli inglesi, e questi si ritirano.  
Ma in realtà questa guerra non conviene a nessuno, neppure agli inglesi che, benché toccati nell'orgoglio cosa che farebbe loro continuare la guerra, sono comunque appena usciti dalla Prima Guerra mondiale. Il saggio Aman Ullah quindi riunisce il Consiglio di Stato e propone di stipulare un Trattato di Pace con il governo del viceré inglese. E' il 3 giugno 1919.
Ecco, questo, in grandi linee, il retroscena di 99 anni fa, quando l'Afghanistan divenne indipendente, 8 agosto 1919. Infatti, come si è detto, a Rawalpindi, da cui ha preso inizio la narrazione di questa pagina, fu stipulato il Trattato di Indipendenza.. Inutile dire quanto il Trattato di Rawalpindi, firmato comunque anche dagli inglesi, fosse ritenuto da questi una umiliazione, inutile dire che, malgrado la firma, in un certo senso convinta, di Lord Chelmsford, in seguito continuassero a giungere da Londra in India, ordini di tradimento. Ma questo fa parte del firmamento bellico inglese, come si diceva, da sempre, è una sorta di DNA infettato alle terre di oltre oceano, per cui si creano o fomentano o rafforzano due forze contrapposte, per farle poi scontrare tra loro, vedi oggi Daesh o Isis e Taliban, in modo da intervenire per apparentemente riportare la pace a favore del popolo o dei popoli o comunque di chi è in difficoltà o distrutto dalla guerra eccetera eccetera, in realtà distruggere per poi prenderne possesso. Altro che indipendenza e rispetto dei popoli. L'ha detto e lo dice la Storia, lo conferma la cronaca.
Al tempo dell'annuncio di Indipendenza però le cose non andarono così, deludendo coloro che avevano fomentato una sommossa, comprata una sommossa e che quindi se l'aspettavano, all'annuncio dell'Indipendenza da parte della delegazione afghana che aveva partecipato al Trattato, un unico grido si alzò dalle pendici dell' Himalaya a Kabul, echeggiò sui deserti e sulle città, ovunque, si levò al cielo: Allah-u-Akbar, Dio è Grande. 
L'Afghanistan aveva dichiarato guerra e attaccato gli inglesi e non viceversa come sempre era accaduto nelle precedenti guerre anglo-afghane. E aveva vinto.
Ma ora ascoltiamo il discorso di Indipendenza pronunciato da Re Aman Ullah alla Nazione. Egli dopo aver mostrato al popolo il fodero vuoto della sciabola mentre un soldato gli tendeva la sciabola disse: " Vi avevo promesso che non avrei riposto la mia sciabola nel suo fodero, prima che la nostra Nazione non fosse stata totalmente libera e indipendente. Ora posso farlo" e poi " La totale indipendenza è per un popolo la necessità assoluta e imprescrittibile ed è dovere di ogni popolo liberarsi da ogni tutela straniera. Giuriamo davanti a Dio Onnipotente di restare tutti uniti per difenderci dagli invasori da ovunque giungano. Viviamo in un paese formato da diverse etnie: pashtun, hazara, uzbeki e turcomanni, ma siamo tutti fratelli di una sola Nazione, Afghanistan unica patria, yek Watan , ed è mio desiderio di unire tutti gli afghani delle montagne, delle vallate e delle pianure, al benessere e al progresso comune dello Stato. Non bisogna mai dimenticare nella nostra vita e nella Storia della Nazione, coloro che sono caduti in questa guerra Santa. E' solo grazie a loro e al loro sacrificio se oggi siamo veramente liberi e allo stesso rango delle altre Nazioni del mondo. Ed ora preghiamo per loro".
Marika Guerrini

* per chi volesse saperne di più:
- Ehsanullah d'Afghanistan,  AmanUllah il Re Riformista, Jouvence  2018;
- Marika Guerrini, Afghanistan Passatp e presente, Jouvence 2014.
Immagini private.




mercoledì 8 agosto 2018

Gender: la Scozia traduce in legge la follia contro l'umanità



...E' più difficile rispondere alle domande di un bambino che a quelle di uno scienziato. Queste sagge parole di Alice Miller, si sono affacciate alla mente mentre, letto l'articolo pubblicato su "Tempi.it", di getto abbiamo acceso il computer con l'impulso di  esprimere tutto lo sdegno possibile, l'indignazione, con l'impulso di affermare con forza, di urlare: ADESSO BASTA!.E una domanda anche si   è affacciata: se lo chiedessimo ai bambini prima del nostro inquinarli, i bambini rispettati davvero, quelli saggi, profondi, cosa direbbero di questa follia?     
Titolo dell'articolo: "Scozia. Lezioni di gender a bambini di cinque anni:- Il sesso lo decidi tu-" e l'articolo prende avvio: "La scuola pubblica insegnerà dall'anno prossimo ai bambini a partire dai cinque anni che l'essere maschio o femmina non dipende dalla biologia, ma -da ciò che decidi-. Poi va avanti riportando quanto stabilito dal Servizio sanitario ed educativo scozzese, le linee guida della legge per chiudere su: "tu sei una persona unica, solo tu sai chi sei-.Ed ecco la tipica, immancabile parvenza di libertà spuntare tra le righe a sottolineare la giustezza della legge, il "rispetto" per l'individuo. 
Come non bastasse, a coronare il tutto due voci, quella di Liz Smith, parlamentare del partito conservatore, perplessa per le reazioni dei genitori circa, non l'insegnamento in sé, ma la tempistica e la voce di Amanda Gummer, psicologa, che si muove sulla stessa linea: gender sì, insegnamento sì, ma non a cinque anni bensì a otto. 
Ma non è ancora finita la notizia: il Governo scozzese consiglia agli insegnanti di non mettere al corrente i genitori in caso di dubbio del bambino circa il proprio genere, bensì agire in silenzio e all'oscuro della famiglia. Qui la notizia si chiude. 
Il "Tempi.it" professionalmente riporta la notizia senza alcun commento, questa pagina di occiriente se ne infischia della professionalità, tanto meno della diplomazia o del politicamente corretto, e si esprime e si ripete anche, perché non è la prima volta che occiriente accenni all'incalzare della follia umana. 
La follia umana manifestantesi in varie forme e luoghi, non può, come evidente in questo caso, non tendere alla propria organizzazione sociale mediante il potere di un meccanicismo che di umano non ha nulla, e si serve di un ferreo sistema fatto di ipocrisia, dotato di tutte le parvenze della moralità, della giustizia, della fraternità e persino della religiosità. 
E quel che colpisce ancor più è quanto questa follia dilaghi e si realizzi mediante la persuasione degli sprovveduti, degli ingenui, coloro che formano la quantità manovrabile, il numero, la folla, la piazza. Accanto, nonché strumento di questa assurda manovra voluta da chi non è né ingenuo, né sprovveduto, che non si mischia alla piazza ma la "crea", si muovono l'angoscia e la paura, sentimenti che attanagliano l'uomo e lo manovrano dal suo interno, impedendo il risveglio della coscienza individuale. Questo fa sì che l'uomo si rifugi nel gregge, che si formi l'aggruppamento meccanico, assolutamente non libero, un insieme di esseri incapaci di costituire delle comunità libere in quanto incapaci di formare comunità di singoli individui. In realtà, malgrado l'apparenza, la facciata delle rette intenzioni predicate, del rispetto infarcito di falsa bontà, si inculca la paura ad essere realmente liberi, paura, come si è detto, di una coscienza superiore che sola può far discernere il vero dal falso, ma in tal caso l'uomo non sarebbe più manovrabile. E cosa c'è di più efficace per distruggere la società, quindi indebolire l'umanità, se non agire sull'infanzia attentando ai valori più profondi e naturali dell'essere umano? E allora il gender... e non solo.   Occiriente avrebbe molto da dire sui perché, i come, i quando, i se, di questa terribile azione sull'infanzia, ma non è questo il luogo. Lasciamo l'oltre ad altre pagine.
Marika Guerrini





giovedì 5 luglio 2018

migranti secondo Aristotele



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El-Alamein- Sacrario- quando l'Italia lasciava dietro sé ponti, strade, ospedali...










… Aristotele, Politica, libro III, cap.1, lezione 1: “Si possono considerare quali cittadini coloro che iniziarono ad essere presenti nella Nazione ospitante a partire dal padre del padre (nonno)”. 
E’ la sapienza di Aristotele a parlare: per essere considerati a tutti gli effetti, cittadini di una Nazione, bisogna che gli ospiti abbiano maturato un forte amore verso il bene pubblico della Nazione ospitante, la qual cosa li rende integrati in essa a tutti gli effetti, aggirando in tal modo, o contenendo, il pericolo di un loro nuocere alla Nazione stessa. E’ questo quel che dice.
Oggi, qui, ora, malgrado resti valida l’aristotelica sentenza, questo concetto non è più sufficiente poiché in seguito ad accordi internazionali presi da  precedenti governi partoriti di fatto da colpi di Stato, vedi quelli voluti da Giorgio Napolitano, e risultati poi subdoli, si è andati ben oltre la possibilità di applicare l’aristotelica saggezza. E ben oltre si è giunti, ben oltre ci si trova.
Sull’onda di una pseudo democrazia dell’accoglienza si è permesso ad organizzazioni, che di umanitario hanno solo la facciata, di prendersi “cura” di gente che ha perso tutto, che si muove sull’inconsistente filo d’una speranza quasi sempre vana. Si è permesso, e si permette, a cittadini italiani di sfruttare le altrui disgrazie per il proprio tornaconto economico sotto forma di manovalanza d’ogni tipo e in ogni settore, producendo così un nuovo schiavismo. Si è permesso, e si permette, alla malavita nazionale ed internazionale di fornire “materiale” organico umano, per lo più di minori, ma non solo, allo scopo di soddisfare le nostre, ed altrui, richieste di trapianti di organi, per cui bambini, una volta approdati sui nostri lidi, spariscono come inghiottiti dal nulla.  Si è permesso, e si permette, di fare sui migranti, gente inerme e spesso ignorante, sperimentazioni di farmaci, vaccini compresi, sì che cavie umane. Si è permesso e si permette alla malavita di incrementare giri di prostituzione di entrambe i sessi, anche in questo caso rivolto a giovani vite quando non giovanissime, a volte bambine, allo scopo di soddisfare le nostre aberrazioni di paese civile, le nostre affezioni morali lontane da ogni coscienza benché dai più giustificate.
A tal proposito questa pagina vuol raccontare un aneddoto: 

gli occhi di chi scrive, tempo fa, all’inizio di ciò che si sarebbe poi trasformato in flusso migratorio, hanno visto esponenti della così detta “Roma bene” aggirarsi  alla ricerca di giovani immigrati rifugiati politici, di cui per rispetto in questa sede si omette la provenienza, adescati da figuri senza volto e senza nome, ché di uomini non si può parlare per non degradare l’essere umano, hanno visto questi figuri aggirarsi tra i giovani al fine di soddisfare le proprie aberrazioni sessuali contro natura. Aggirarsi in pieno giorno, sotto gli occhi di tutti anche di volontari di associazioni umanitarie. Tutti vedevano, sapevano, nessuno  interveniva, parlava. Allo stupore degli occhi di cui sopra e alla seguente denuncia del caso, la risposta fu: purtroppo è così, sta a loro negarsi. Sta a loro, loro chi, ragazzini disperati in un paese estraneo, sfuggiti alle bombe lanciate sulla loro terra con la nostra complicità, ragazzini alla ricerca d’una speranza, alla ricerca d’una vita, i cui occhi s’erano posati così tanta volte sulla morte da non saper più distinguere, non poter più scegliere, loro chi? Purtroppo è così, sta a loro negarsi! Queste le parole della civiltà.
Si potrebbe continuare ad elencare gli innumerevoli contro da cui sono investiti la maggior parte dei così detti migranti, in questa nostra “civile” mercificazione dell’umano.
Ben venga quindi la chiusura dei nostri valichi europei di frontiera, i porti italiani, ben venga il giro di vite, ma non basta. Eh, no, non basta Signor Ministro dell’Interno Salvini, non basta Signora Ministro della Difesa Trenta, non basta, è un provvedimento a metà, così facendo si colpisce la malattia, il dolore, non la causa. Si colpisce lo sfruttato, il perseguitato, l’ingannato, il violentato non chi sfrutta, perseguita, inganna, violenta.  E tutto resterà non solo intatto, ma si espanderà a luoghi e tempi, porgerà il fianco al moltiplicarsi di nuove strategie ad un più raffinato, nascosto delinquere. Ed oltre.
 Bisogna che l’Italia, contemporaneamente alla chiusura dei porti, dei valichi di frontiera europea, ponga fine al traffico d’armi, almeno al proprio, quello nazionale. Bisogna che l’Italia ponga fine alla partecipazione dei nostri militari sugli scenari di guerra. Sappiamo bene che le armi vanno al terrorismo internazionale, voluto e creato in occidente, a volte fomentato, solo a volte, il terrorismo da noi mantenuto e assurdamente protetto. Quello stesso terrorismo che a volte, vedi Londra, Berlino, Parigi, Nizza, si fa bumerang,  ma calcolato, voluto perché tutto appaia, tutto quadri agli occhi del mondo. Sappiamo bene che le nostre truppe sono al servizio dei poteri forti, delle strategie geopolitiche di supremazia in ogni settore, non certo della tanto decantata PACE.
Sì, certo, i soldati italiani sono quelli dal comportamento più sano rispetto ad altri, sui teatri di guerra, ma è questione di indole di popolo, tutto qui e non basta.  L’Afghanistan (*), evidente inizio dell’internazionale processo distruttivo ancora in corso, con i suoi morti per bombe o malattie da radiazioni, da uso di ordigni all’uranio impoverito vietate da leggi internazionali, con la depauperazione del territorio da risorse minerarie, con l’impoverimento del costume, della tradizione, con l’incremento straniero alla delinquenza locale, eccetera eccetera, s’è fatto emblema di tutto quel che accade. L’Afghanistan lo sa bene.
E lo sa bene la ex pacifica Siria di al-Assad che viveva serena la sua vita civile senza debiti con il Fondo Monetario Internazionale, senza che i Rothschild controllassero la sua Banca Centrale, che viveva con il divieto di formazione di Società Segrete, Massoneria compresa, la Siria che possiede gas e un piano per costruire oleodotti, eccetera eccetera ed ora continua eroicamente a resistere malgrado distruzioni d’ogni tipo, malgrado colpita anche da menzogne d'ogni tipo, Come non bastasse.
E lo sa bene l’Iraq con la menzogna sulle armi inesistenti che ha strappato a quel popolo dignità, ricchezza, civiltà con l’uccisione di Saddam Hussein, gettando alla mercè americana ogni sua risorsa, ogni sua vita.
 E tutta l’Africa lo sa dal barbaro assassinio di  Muammar Gheddafi voluto, comandato fatto eseguire su commissione da Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti. Il trio colonialista con qualche binomio anglo-americano. L’Africa che con la distruzione del Governo algerino di Gheddafi ha visto sfumare la possibilità di liberarsi dal CFA ( Comunità Francese Africa), la moneta, prima franco ora euro, artefice di distruzione dell’economia dei paesi africani, moneta la cui convertibilità è garantita dal Ministero del Tesoro francese, moneta che Gheddafi voleva abolire, liberando l’intero continente africano, arricchendolo, ma questo ed altro non si poteva permettere, quindi la Libia, l’assassinio, il caos, da qui il traffico di vite umane: i " nostri" migranti.
L’Italia è stata e continua ad essere presente con i suoi uomini sui teatri di guerra. Lo fa tenendosi dentro un’Alleanza Atlantica che non ha più senso d’esistere checché ne pensi e dica il Presidente Mattarella prosecutore della svendita di questo Paese. Lo fa ospitando il numero più alto in Europa di basi Nato in cui sostano, 50 ad Aviano e 20 a Ghedi, 70 testate nucleari, comprese bombe termonucleari, la cui sola presenza sul nostro suolo, in caso di conflitto, si presterebbe ad essere motivo di attacco preventivo da parte del nemico. L’Italia lo fa permettendo ai bombardieri americani, che siano droni o caccia, di involarsi dal suo suolo, lo stesso suolo che ripudia per Costituzione la guerra, permettendo la distruzione e partecipando, con uomini, basi, armi. E’ questo in sostanza, ma non solo, il silenzio dei nostri politici tutti circa le armi. Sono questi i motivi di partecipazione ai teatri di guerra? Hanno nome Aviano, Ghedi, Licola, Sigonella? C'è questo tra le quinte, Signori Ministri? C'è questo, ma non solo.
Quando, e se, finirà l’Italia d’essere serva, quando, e se, riprenderà la propria legittima Sovranità? La propria libertà? Questo potrebbe essere lo storico momento d'inversione di rotta. No, non basta chiudere i porti, i valichi, non basta chiedere o legittimamente pretendere dall’Europa la partecipazione all’accoglienza dei migranti, allo smistamento eccetera eccetera, non basta se tutto procede polverizzando terre, violando sovranità di Stato, costringendo popoli a mendicare aiuto, rifugio, pane quotidiano. A mendicare la dignità d’essere uomini. No, signor Ministro degli Affari Interni, no signora Ministro della Difesa, non basta, non vanno presi provvedimenti a metà, tanto meno si inizia dalla fine, innanzi tutto si agisce sulle cause, poi sugli effetti altrimenti o si ingenui o menzogneri o ipocriti. Alla stregua dei precedenti altri che hanno portato il nostro Paese a perdere ogni Sovranità. A perdere ogni giorno la guerra da quello sventurato 1945. Solo con la ripresa della Sovranità, della libertà si potrà agire secondo la voce di Aristotele.
Ma, come spesso si trovano a dire le pagine di occiriente, il desiderio di libertà di cui sopra, oggi, ora, è pura utopia, desiderio di scrittore. Null’altro.

Marika Guerrini

(*) per saperne di più sulla storia dell'Afghanistan: 
       Marika Guerrini, Afghanistan passato e presente, ed. Jouvence. Milano 2014 




mercoledì 30 maggio 2018

Indietro, va', straniero!

... ieri mattina, mentre, immersa nella lettura di una mail, la mente lasciava l'Italia per valicare confini e confini, sino a portarsi in quello che è paese parte della vita di occiriente,  l'Afghanistan, mentre mi si rattrappiva l'anima nello scorrere i risultati di analisi mediche, di un bambino, o poco più, che in quella terra vive e forse da quella terrà sta per volare in cielo, prima d'aver conosciuto il mondo, troppo prima, volare per un male causato dall'alto inquinamento che i bombardamenti Nato hanno provocato laggiù, inquinamento che occiriente denuncia da anni, veleni sparsi nell'aria e sulla terra, ovunque, veleni che continuano  a falciare  esseri umani di qualunque età e ancor più in tenera età. Così, ieri mattina, mentre il mio cuore, se pur lontano  da quel bambino, se pur a lui sconosciuto, se pur privo d'ogni azione risanatrice, si stringeva al suo cuore, ecco giungere un'altra mail. 
Una mail diversa, nata in Italia, analitica anch'essa, di altro genere d'analisi, ma non meno grave per un paese la cui storia, benché imparagonabile  a quella del paese  d'oriente di cui sopra, imparagonabile alla tragica storia del piccolo Amjad, nome di fantasia, è sul ciglio di un burrone da cui potrebbe non risollevarsi. Non a breve. 
Questa mail, inviatami da indirizzo sconosciuto, cercato e trovato poi, ma al momento a me anonimo, ha attirato il mio sguardo per il suo riferimento al Piave, alla nostra storia, alla sua leggenda. A quel Piave a cui lo scorso 24 maggio, come suggerisce, per coincidenza, quella mail che si sarebbe rivelata lettera aperta, era andato il mio pensiero per via del diario di mio nonno che sto rileggendo in questi giorni, per via della data segnata da una penna stilografica, dalla sua mano nel giugno del 1918. Diario che diventerà libro.  
Ma in quel momento, la mail, questa mail italiana, mi ha distolto la mente dalla drammaticità afghana per riportarmi in patria, a valutare la drammaticità, politica, governativa, istituzionale della mia terra, per riportarmi qui dinanzi alla inconfutabile prova della nostra falsa Democrazia, di questa nostra storia che sta dimenticando se stessa, l'origine, l'antica gloria, con essa la Sovranità. Storia infangata dall'ipocrisia di labbra indegne a pronunciare il suo nome. 
Non si meravigli quindi il lettore se, cosa anomala per occiriente, questa pagina si soffermerà sull'attualità istituzionale, politica, governativa etc. attraverso le parole rubate all'anonimo di questa mattina di cui ho cercato poi l'identità per poter ringraziare.
Ecco la lettera aperta del gen. Sergio Fucito, pubblicata sul blog "Informare" di Gianni Fraschetti.  

Spogliare la Grecia è stato uno scherzo.

Aeroporti, qualche isola, industrie zero, terre poche, risparmi privati ridicoli, demanio interessante.
Comunque la Grecia aveva un Pil inferiore alla sola provincia di Treviso.
E' bastato un sol boccone.
Per l'Italia è diverso.
Un capitale assolutamente enorme.
Secondo al mondo in quanto a risparmio privato, primo come abitazioni di proprietà, terre di valore assoluto e coste meravigliose.
Quinta potenza industriale al mondo prima dell'euro, ottava oggi.
Il Made in Italy è ancora oggi il marchio numero uno al mondo, davanti a Coca Cola.
Biodiversità superiore alla somma di tutti gli altri paesi europei.
Del capitale artistico momumentale, non ne parliamo neanche: è superiore a quello di tutto il resto del mondo.
Francia e Germania, più qualche fondo americano, cinese o arabo, hanno fatto la spesa da noi a "paghi uno e prendi quattro".
Tutto il lusso e la grande distribuzione sono passati ai francesi insieme ai pozzi libici passati da Eni e Total.
Poi anche Eni è diventata a maggioranza americana.
Anche il sistema bancario è passato ai francesi insieme all'alimentare.
I tedeschi si sono presi la meccanica e il cemento.
Gli indiani tutto l'acciaio.
I Cinesi si son presi quote di Terna e tutto Pirelli agricoltura.
Se ne sono andate Tim, Telecom, Giugiaro, Pinin Farina, Pernigotti, Buitoni, Algida, Gucci, Valentino, Loro Piana, Agnesi, Ducati, Magneti Marelli, Italcementi, Parmalat, Galbani, Locatelli, Invernizzi, Ferretti Yacht, Krizia, Bulgari, Pomellato, Brioni, Valentino, Ferrè, la Rinascente, Poltrona Frau, Edison,
Saras, Wind, Ansaldo, Fiat ferroviaria, Tibb, Alitalia, Merloni, Cartiere di Fabriano.....
Ma...non hanno finito.
Ci sono rimaste ancora le case e le cose degli italiani.
E i loro risparmi. Circa 3000 miliardi di euro.
Ora vogliono quelli.
Ecco chi ha chiamato Mattarella e gli ha "intimato " di procedere a sbarrare la strada a chi poteva mettere a rischio la prosecuzione della spoliazione.
I fondi di investimento, i mercati, che, come ricordavo, raccolgono i soldi delle mafie, tutte, grandi e piccole, dei traffici di droga, di umani, di truffe internazionali, di salvataggi bancari, del "nero" delle grandi multinazionali, siano esse del commercio, dei telefonini, della cocaina o delle armi, questi fondi di investimenti dicevo, non hanno finito.
 Ora tocca alle poche industrie rimaste, ai fondi pensioni, ai conti privati, agli immobili.
Ora tocca a noi.
 Ecco perché non serve a nulla mediare, arretrare un po'.
 Non si placheranno, l'abbiam già visto.
 Bisogna fermarli ora.
 Il 24 maggio non vi è venuto in mente nulla ?
 Ogni generazione ha il suo Piave.
Questo è il nostro"

In verità, a mio avviso, questo è il nostro Caporettto. L'Italia attende il suo Piave. Spera che giunga. Attende di poter dire: " il Piave ordinò: Indietro, va', straniero!"

Marika Guerrini


martedì 27 marzo 2018

Primavera e Nawruz: un occiriente di poesia

G. Leopardi
... ancora sulla rinascita della Primavera e del Nuovo Anno  persiano, perché divenga augurio di rinascita mondiale e Resurrezione. Ad accompagnarci, questa volta, i versi di Giacomo Leopardi ( 1798-1837) nel suo "Il passero solitario" e, di nuovo, versi di Moḥammad Ḥāfeẓ e-Shīrāzī ( 1315-1390), riportati in traduzione farsi-inglese di Humeyra Gucuk e in traduzione italiana eseguita da me con qualche licenza poetica in nome della nostra bella lingua.
Iniziamo con: 



Giacomo Leopardi

"D'in su la vetta della torre antica,

Passero solitario, alla campagna
Cantando vai finchè non more il giorno;
Ed erra l'armonia per questa valle.
Primavera dintorno
Brilla nell'aria, e per li campi esulta,
Sì ch'a mirarla intenerisce il core.
Odi greggi belar, muggire armenti;
Gli altri augelli contenti, a gara insieme
Per lo libero ciel fan mille giri,
Pur festeggiando il lor tempo migliore:
Tu pensoso in disparte il tutto miri;
Non compagni, non voli,
Non ti cal d'allegria, schivi gli spassi;
Canti, e così trapassi
Dell'anno e di tua vita il più bel fiore.

Oimè, quanto somiglia
Al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,
Della novella età dolce famiglia,
E te german di giovinezza, amore,
Sospiro acerbo de' provetti giorni
Non curo, io non so come; anzi da loro
Quasi fuggo lontano;
Quasi romito, e strano
Al mio loco natio,
Passo del viver mio la primavera.
Questo giorno ch'omai cede alla sera,
Festeggiar si costuma al nostro borgo.
Odi per lo sereno un suon di squilla,
Odi spesso un tonar di ferree canne,
Che rimbomba lontan di villa in villa.
Tutta vestita a festa
La gioventù del loco
Lascia le case, e per le vie si spande;
E mira ed è mirata, e in cor s'allegra.
Io solitario in questa
Rimota parte alla campagna uscendo,
Ogni diletto e gioco
Indugio in altro tempo: e intanto il guardo
Steso nell'aria aprica
Mi fere il Sol che tra lontani monti,
Dopo il giorno sereno,
Cadendo si dilegua, e par che dica
Che la beata gioventù vien meno.

Tu, solingo augellin, venuto a sera
Del viver che daranno a te le stelle,
Certo del tuo costume
Non ti dorrai; che di natura è frutto
Ogni vostra vaghezza.
A me, se di vecchiezza
La detestata soglia
Evitar non impetro,
Quando muti questi occhi all'altrui core,
E lor fia voto il mondo, e il dì futuro
Del dì presente più noioso e tetro,
Che parrà di tal voglia?
Che di quest'anni miei? che di me stesso?
Ahi pentirommi, e spesso,
Ma sconsolato, volgerommi indietro."

****
proseguiamo con:

Ḥāfeẓ e-Shīrāzī

... " Spring and all its flowers
now joyously break their vow of silence.
It is time for celebration, not for lying low;
You too -- weed out those roots of sadness from your heart.

The Sabaa wind arrives;
and in deep resonance, the flower
passionately rips open its garments,
thrusting itself from itself.

The Way of Truth, learn from the clarity of water,
Learn freedom from the spreading grass.

Pay close attention to the artistry of the Sabaa wind,
that wafts in pollen from afar,
And ripples the beautiful tresses
of the fields of hyacinth flowers.

From the privacy of the harem, the virgin bud slips out,
revealing herself under the morning star,
branding your heart and your faith
with beauty.

And frenzied bulbul flies madly out of the House of Sadness
to unite with the flowers;
its love-crazed cry like a thousand-trumpet blast.

Hafez says, and the experienced old ones concur:

All you really need
is to tell those Stories
of the Fair Ones and the Goblet of Wine"

 Versione italiana

"Primavera: tutti ora, i suoi frutti

 con gioia rompono il voto di silenzio.
È tempo di rallegrarsi, non di mentire ignobilmente.
Estirpa quindi, anche tu, le radici di tristezza dal tuo cuore.

Arriva il vento di Sabaa;
e in profonda risonanza, il fiore,
con passione strappa i suoi abiti,
con la sua forza spingendosi ( verso l'alto).

La Via della Verità, s'impara dalla chiarezza dell'acqua,
la libertà s'impara dall'erba che cresce.

Presta grande attenzione all'arte del vento di Sabaa,
che da lontano col polline si diffonde
e increspa le belle trecce
nei campi fioriti di giacinto.

Dalla segretezza dell'harem, il bocciolo della vergine scivola via,
rivelando se stesso alla stella del mattino.
Incidi il tuo cuore e la tua fede
con la bellezza.

E frenetico, con i fiori, vola follemente il bulbul, oltre la Dimora della Tristezza,
il suo grido pazzo d'amore è esplosione di mille trombe.

Hafez dice, e i vecchi saggi concordano:

Tutto ciò di cui hai davvero bisogno
è raccontare storie di fiere
e del calice di vino."

Marika Guerrini