... E’ acre l’odore di fumo che s’alza dal fondo della via. E mozza
il respiro. E la gola si asciuga. Non gli occhi, gli occhi no. Gli occhi sono
umidi di gocce rapprese, amare gocce che non si sciolgono a formare lacrime. A
rigare il volto, il petto, le mani. Non più. E sono qui. E attraverso l’arco
che porta alla dimora di un Re. Qui per un’intervista, poche domande, semplici,
a chi più d’ogni altro può comprendere.
-Maestà, la gente ha bisogno di Lei.
Perdoni l’intrusione nel Suo silenzio, l’interruzione, ma la gente, la Sua
gente, ha bisogno delle Sue parole. Ne ha bisogno per non perdersi. A me non
faccia caso, io sono solo un portavoce, un emissario, un tramite, nulla di più,
ma, La prego, mi dica: cosa sta accadendo al Suo popolo, al Suo Paese, qui a
Jalalabad?
- Jalalabad… cara signora, forse Lei non sa, ma qui, proprio
qui, a Jalalabad, il nostro esercito, al suono della banda e al saluto a salve,
mi giurò fedeltà. Ricordo che era un giovedì, che era il mese di febbraio, il
giorno 27 del 1919. Solo tre giorni prima avevo parlato al popolo: Voglio
essere il capo di uno Stato totalmente indipendente, avevo detto, poi, sguainata la
sciabola: Non rimetterò questa sciabola nel suo fodero, finché l’Afghanistan
non sarà totalmente indipendente. L’Afghanistan agli afghani. Ya esteqtal, ya
marg, che vuol dire: O
indipendenza o morte! Questo avevo giurato loro, questo è ancora il mio
pensiero, cara signora. Ora lei mi chiede perché, perché sta accadendo quel che
sta accadendo oramai da anni, ed io, cosa posso risponderle?
- Maestà, se fosse Lei, ora, alla guida del Suo Paese, del
Suo popolo, cosa farebbe?
- Se ci fossi io, ora, con l’esperienza e la consapevolezza di
ora, perché allora fui tradito anch’io a causa di mie ingenuità, il Paese non
sarebbe stato invaso e non sarebbe occupato, gli afghani non l’avrebbero
permesso e comunque se ne sarebbero liberati, come è accaduto con i sovietici.
Lei di certo sa che nella storia ci sono state tre guerre anglo-afghane, sa che
al tempo il Pakistan non esisteva ancora quale Stato a sé, quindi era l’India
britannica al di là dal nostro confine. Lei sa che le prime due guerre erano
state volute e provocate dagli inglesi e che il Paese era stato sottoposto a
tutela britannica. Ma la terza no, con la terza guerra, quella del mio tempo,
per la prima volta nella storia dell’Impero britannico, fummo noi afghani a provocarla, ad attaccare e… vincere! L’Indipendenza, dopo quasi un secolo di tutela,
era stata raggiunta.
- E la Sua sciabola?
- La mia sciabola tornò nel suo fodero, come promesso. La totale
indipendenza è per un popolo una necessità assoluta e imprescrittibile.
- Maestà,
ho letto che nel suo viaggio in Europa, giornalisti scrissero: Riceveremo la
visita del re che ha sconfitto l’impero britannico, questo denuncia, da parte europea, una certa consapevolezza, non crede?
-Sì, ricordo gli articoli e gli striscioni sulle vie. Ma, vede,
cara signora, quando in Inghilterra, proprio in quel viaggio, davanti ad una
massa di gente che mi augurava il benvenuto, mi fu detto da Sir Humphrys,
referente per l’Impero britannico e mio accompagnatore: Vede, tutto questo è in suo onore, io non gli credei neppure per un
attimo. E glielo dissi, in francese, ma glielo dissi: Je ne crois pas, gli dissi. E lui tacque. Gli inglesi,
cara signora, mentre ti stringono la mano, nell’altra stringono il pugnale e lo
stesso fa la loro appendice americana, benché con minore intelligenza, minore
cultura e senza eleganza. E allora,
cosa mi chiede, non le sembra tutto chiaro?
- Sì, Maestà, solo un’ultima cosa…
- Mi dica.
- So che purtroppo il Suo Regno ebbe una durata di soli dieci
anni e mi chiedo come mai con tutte le riforme e la modernizzazione da Lei
apportate al Paese, compresa l’istruzione libera per ambo i sessi,
l’annullamento del velo per le donne, l’avanzamento industriale, delle
infrastrutture, il rispetto per gli altri credo religiosi, l’uguaglianza tra le
etnie eccetera, perché solo dieci anni, malgrado l’amore del Suo popolo che
tuttora lo ricorda con rimpianto? Ecco Le ho posto un altro perché, Maestà.
- E questo è ancor più doloroso perché mi fa sentire impotente,
ma può accadere in giovane età, quando il desiderio d’amore fa sottovalutare il
pericolo. Lo straniero al confine, si avvalse degli estremismi religiosi
interni, comprò traditori, diffamò attraverso spie infiltrate. Il suo motto,
trovato poi tra le carte di un ufficiale inglese, diceva così: si possono
perdere alcune battaglie, ma bisogna vincere la definitiva, con i soldi e la
dinamite si può corrompere tutti. Cara signora, c’è una frase in uno dei vostri Vangeli le cui
parole dicono: bisogna essere candidi come colombe e astuti come serpenti, io
la seconda parte l’avevo dimenticata.
- Maestà, ora vorrei soltanto un pensiero per il Suo popolo
da Kabul a Ghazni, da Mazar-i Sharif ad Herat a Jalalabad, il suo popolo tutto,
poi la lascerò al Suo silenzio.
- Nel corso della
Storia, in tutti i paesi del mondo c’è stato un piccolo gruppo eccezionale,
un’élite che ha trainato dietro di sé tutto il popolo. Questo gruppo
eccezionale è formato da voi giovani afghani. Ricordate: siete tutti fratelli
di un’Unica Nazione, Yek Watan. Io sono sicuro che malgrado tutte le distruzioni, la scintilla
del mio popolo arde sotto le ceneri e grazie a voi risorgerà! Non abbiate paura!
-Grazie Maestà.
Nota
Re AmanUllah, protagonista di questa eccezionale intervista
immaginaria, salì al trono all’età di 27 anni, andò in esilio prima di
compiere il suo 37esimo anno di
età ( Regno 1919-1929). Riposa dal 1960 nel Suo mausoleo di Jalalabad.
Marika Guerrini
immagine: Re Aman Ullah ( foto originale per gentile concessione della famiglia)
Lui era mio nonno. Un uomo moderno , sconfitto da coloro che non volevano in alcun modo il suo approccio moderno . Aveva una visione strategica e vedeva lontano. Da allora il paese è tornato indietro. Aveva tolto il velo , la bigamia e spinto le donne a studiare mandandole anche in Europa.
RispondiEliminaGrazie Elisabetta per il tuo apporto.
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