… “ Siamo consapevoli della presenza di militanti affiliati
all’Isis in Afghanistan e stiamo monitorando da vicino la situazione per vedere
se la loro avanzata avrà un impatto significativo sull’instabilità della
regione”, così un portavoce del Pentagono qualche giorno fa. Accettabile se non si trattasse di Afghanistan, se non si parlasse di Daesh.
Gli uomini di Abu Bahr al-Baghdadi stanno
avanzando nella zona orientale del paese lungo il confine tribale del Pakistan,
con l’obiettivo di creare una nuova provincia: Wilayat. Questo quel che si dice. Quel che non
si dice è che in quella stessa area orientale, nella provincia di Khost, la Cia
sta agendo a favore degli uomini del Daesh o Isis come dir si voglia. In che
modo, perché?
Il modo è molto semplice: la forza di
sicurezza KPF, Khost Protection Force, forza locale creata a protezione della
zona di confine che, secondo l’ufficialità, opererebbe sotto il comando della
Direzione Nazionale per la Sicurezza, ovvero i servizi segreti afghani, in
realtà opera sotto comando Cia che agisce dalla base americana di Camp Chapman
presente anch’essa nella provincia di Khost. La Cia quindi dirige le operazioni, paga gli stipendi,
addestra, fornisce equipaggiamenti. Non solo, ma l’agenzia di Langley,
Virginia, la Central Intelligence Agency, conosciuta con l’acronimo Cia, non è
tenuta a rispettare la Legge Leahy che obbliga gli Usa al rispetto dei diritti
umani, almeno sulla carta, e non è
tenuta neppure a rispettare l’Accordo Bilaterale stilato tra Kabul e
Washington, accordo che, tra i vari punti, contiene la proibizione per le forze
Usa di compiere raid notturni, ovvero irrompere nelle civili case private
afghane, ma questo non si dice. Non si dice che tutto accade, tutto si consuma,
si fanno irruzioni, maltrattamenti, torture, uccisioni di civili, violenze
d’ogni tipo, che siano uomini, donne, bambini, vecchi, colpevoli o innocenti
non fa alcuna differenza: si entra si agisce, quasi sempre si spara, si
controlla, questa la sequenza. Le rare volte in cui si ammette l’errore, si
offre denaro, in dollari ovviamente, ai sopravvissi familiari. Si compra così
anche la morte.
Chiedere di fare giustizia è impossibile,
inutile anche, motivo: gli uomini del KPF sono protetti dal governo di Kabul perché uomini della Cia a tutti gli effetti e, non di rado,
neppure afghani, bensì americani, il che li rende ancor più intoccabili. Ed
anche questo non si dice.
In simultanea a queste azioni vi sono quelle di
rifornimento, gli uomini del Daesh vengono “rifocillati” continuamente di
armamenti, automezzi Toyota e danaro. Anche a questo torna utile il commercio
del petrolio in Siria e Iraq in cui, con il focalizzarsi dello sguardo
mondiale, costretti a bombardare obiettivi sensibili del Daesh quali ad esempio
camion cisterna contenenti greggio, gli Stati Uniti, 15 minuti prima dei raid, avvertono i conducenti dell’imminente attacco, sì che lascino la cabina di
guida e si mettano in salvo. Alla domanda: ma sono uomini del Daesh, la
risposta è stata: potrebbero non esserlo. Sottolineando l’attenzione ai danni
collaterali. Ma che strano, con il Daesh sì, con ospedali, bambini, matrimoni,
carovane, di tutto e di più, no, lì da quattordici lunghi anni si presentano
sentite scuse.
In tutto questo mosaico di crudeltà e follia:
i Taliban. Di loro si parla solo e quando fanno saltare in aria qualcosa come
ambasciate, hotel frequentati da occidentali, zone aeroportuali, come ieri a
Kandahar, procurando decine di morti. Certo da condannare senza dubbio, ma
anche qui è solo quel che si dice o meglio si dice solo in parte. Quel che non
si dice, ma che noi diciamo da tempo, è che da tempo tra le fila dei Taliban
sono presenti molti mujaheddin, ovvero combattenti per la libertà, dato che la presenza
straniera è risultata e continua a risultare ben più malefica di quella dei
Taliban. E cosa fanno gli Usa al riguardo?, gli Usa ovviamente combattono i
Taliban che combattono il Daesh.
Così mentre gli Usa fanno il gioco sporco come sempre e ovunque, gli
afghani non governativi, essendo il Governo venduto agli Usa e alla Cia, fanno
di tutto per trovare un accordo con i Taliban unici a difendere il paese dal
Daesh, ma poiché questo viene loro impedito anche con i metodi di cui sopra,
ben oltre la negazione d’ogni rispetto e diritto umano, gli afghani non possono salvare la
nazione, infatti, ora, senza l’aiuto dei Taliban gli afghani, per quanto assurdo
possa risultare, non possono salvare la nazione.
No, questo non è neppure il vecchio Grande
Gioco Afghano, non più, è molto più, molto peggio, ma è quel che sta accadendo,
è cronaca, e cronaca continuerà ad essere in Afghanistan.
E questo c’è dietro le proteste contro
l’occupazione straniera, ma anche questo è quel che non si dice, o si dice al
contrario, ma è questa l’ottica con cui vanno letti gli attacchi contro
ambasciate, hotel frequentati da occidentali, zone aeroportuali e ancora e
ancora, è questo a spingere molti afghani ad aiutare il ritorno dei Taliban
malgrado il loro oscurantismo. E un sano motivo nazionalista si mescola ad
azioni estreme e il legittimo desiderio di vivere la propria storia, la propria
vita assume aspetto di violenza e fa il gioco dello straniero, del nemico e
questi lo usa a suo favore.
“ E’ necessario rendere inumani i nostri
nemici prima di fare ciò che facciamo, ma qualcosa dentro di noi ci diceva che
erano esseri umani con il nostro intrinseco valore della vita, non era lecito
bruciare le loro case, le loro stalle, uccidere il bestiame, per questo era
necessario spogliarli della loro essenza umana, per consentirci anche di
puntare l’artiglieria in direzione del pianto d’un bambino…”. Sono parole di
Stan Goff, soldato dell’esercito degli Stati Uniti d’America ora in pensione.
L’occidente preferisce dimenticare la tragedia di quella
terra, distrarsi da essa, perchè è la propria tragedia, l’evidenziarsi della
tragedia della propria civiltà.
E i figli d’Afghanistan, prime vittime di
tutte queste ignobili guerre che sono venute, sono e saranno, continuano a
spargersi per il mondo e a morire nel corpo e nell’anima.
Marika Guerrini
scatto: Barat Alì Batoor