lunedì 24 novembre 2014

Afghanistan il Gioco riscaldato

... nulla vi è più di certo in quella terra d'Afghanistan, nulla. Nella nostra pagina del 9 ottobre scorso, avevamo definito la firma di Ashraf Ghani al Bilateral Security Agreament, il patto della condanna, avevano parlato di cessione di sovranità di Stato, tutto questo e molto altro era stato espresso con profondo rammarico, ora, con lo stesso rammarico, maggiore, confessiamo che avremmo desiderato una smentita alla nostra tesi, non è stato, non è così.  Questa firma della condanna ha rafforzato la violenza, violenza per di più senza firma, violenza generata da violenza, come fosse autoproduzione. E' così che oggi, 23 novembre, dopo la reiterazione, in mattinata, a Kabul, della famosa firma del patto da parte della Camera dei Rappresentanti, alle ore 17 afghane, 13,30 italiane, durante una partita di palla a volo, chiamata ovviamente volley, un attentatore suicida senza nome né volto, ha lasciato sul terreno, oltre che se stesso, 50 vittime e 60, forse 70, feriti in gravi condizioni, con una percentuale di ragazzi e bambini altissima in entrambi i casi. Ma nessuna rivendicazione è giunta, di alcun tipo, che fosse ufficiale o non, e Zabihullah Mujahid, portavoce dei Taliban, ha taciuto, esattamente come lo scorso 15 luglio aveva negato un'altra strage (90 morti), quella volta in un mercato. La zona però è la stessa, la zona calda, quella ad oriente, quella più facile da accusare, per chi conosca quella terra, lì, nella provincia di Paktika, sul confine pakistano. 
Il fatto è che malgrado l'apparenza, a governare si sono voluti ( dagli Usa) due nemici, dato che questo sono Ghani e Abdullah, Presidente e Capo dell'Esecutivo, riscaldando così ancor più il Grande Gioco Afghano a favore degli Usa e della Nato. Ma questa è solo una parte, l'interessante è tra le quinte: la possibilità di incontro politico tra Afghanistan e Pakistan. Il 15 c. m., infatti, Muhammad Ashraf Ghani ha incontrato in Pakistan Nawaz Sharif, Primo Ministro pakistano, l'eloquente frase conclusiva di Ghani è stata: " In 3 giorni abbiamo superato gli ostacoli di 13 anni". E non finisce qui, c'è anche l'India che sta dimostrando la sua solidarietà al paese afghano sostenendolo economicamente, per non parlare della Cina che ha promesso aiuti per 330 milioni di dollari entro il 2017 non solo, ma ultimamente, al vertice di Pechino " Processo di Istanbul",  ha espresso con determinazione l'ipotesi di un forum per la pace nella regione, con la partecipazione di Afghanistan, Pakistan e rappresentanti dei Taliban, oltre ovviamente se stessa.
A noi sembra sufficiente questo brevissimo flash riassuntivo di una parte delle quinte, e ci chiediamo: come possono sentirsi gli Usa in questa situazione che va creandosi, se non assaliti da un magone? E allora si inizia col mettere in circolazione la voce di alcuni analisti, a nostro avviso ignoranti o ben pagati, a cui dei giornali italiani hanno fatto eco, si inizia con le loro insinuazioni circa la possibilità di un nuovo Iraq afghano nell'eventualità che gli Usa, Nato al seguito, possano lasciare quella terra, analisi oltremodo errata che fa il Gioco di cui sopra, sempre lo stesso. Analisi che non tiene conto della posizione geografica innanzi tutto, nonché dei rapporti interregionali storicamente diversi, nel bene o nel male che sia, ma diversi. Però le "analisi" sottolineano non solo la necessità della presenza Usa sul suolo afghano, ma anche un ulteriore aumento numerico circa le unità e gli armamenti. Ad avallare tutto questo, giustificandolo, ecco che giunge l'incrementarsi degli attentati "terroristici" di varia misura e portata.
Non c'è altro da dire. Per ora.
Marika Guerrini
foto web-ansa



mercoledì 19 novembre 2014

Gerusalemme in breve

 .... manca poco e raggiungeremo le 24 ore di tam tam mediatico sull'attentato a Gerusalemme, nel sobborgo di Har Nof, in Agasi street, per essere precisi. Sappiamo tutto di tutto, che è stata una risposta al falso suicidio di un autista palestinese, che l'attentato è avvenuto in Sinagoga, che gli attentatori erano palestinesi, che sono stati freddati subito dopo aver ucciso quattro rabbini, tre americani e uno britannico. E sappiamo che erano le prime ore del mattino, che le vittime, i rabbini, stavano pregando, sì, come fanno anche i musulmani, in questo caso palestinesi, che iniziano a pregare al mattino presto, e poi ancora, quando e se viene loro permesso. 
In questo tam tam, voci s'innalzano indignate, severe, voci d'accusa, di condanna per l'efferato assassinio-suicidio, e già, perché anche suicidio è stato. Non si entra in una Sinagoga alla stessa ora della propria preghiera, con volto scoperto, armati di asce e pistole, urlando Allah-u-Akbar, Dio è Grande, senza la certezza d'essere uccisi  nell'immediato, senza essere votati alla morte. Non si entra, anche perché alcuna voce s'indignerà per noi. E nessun tam tam mediatico ci sarà per noi, come non c'è stato per chi come noi prima di noi. 
No, qui non si parla del sedicente Stato Islamico dell'ultim'ora, si parla di palestinesi, di un popolo da anni ed anni quotidianamente immolato alla prepotenza di Israele, senza che vi sia alcun tam tam mediatico, se non qualche finzione di, qualche breve finzione. Ma ora, come spesso, il tam tam così che tutti, proprio tutti sappiano delle "nefaste" azioni palestinesi e sorvolino su quelle israeliane. Così Kerry ha urlato al "puro terrore", Cameron "inorridito" ha pensato alle famiglie delle vittime, Obama ha urlato agli ingiustificabili "attacchi sui civili", il neo Gentiloni ha condannato "l'ignobile attacco armato" mentre altri in Europa seguivano le orme come da copione e Benyamin Netanyahu ripeteva la giaculatoria " reagiremo duramente", come se non la si conoscesse.
Noi invece ci siamo chiesti come mai due palestinesi armati di asce e pistole, siano entrati indisturbati in una Sinagoga, proprio lì, nella terra in cui, ultimamente, si sono alzati persino piccoli muri in cemento alle pensiline degli autobus, "per la sicurezza degli israeliani", in cui le famiglie israeliane con due figli, mandano a scuola i figli su due autobus diversi così "se su un autobus vi è un attentato, uno dei figli si salva perché sull'altro autobus", lì dove misure di sicurezza su misure di sicurezza affollano la terra, è per questo che la risposta  data non ci è piaciuta: le Sinagoghe a Gerusalemme non sono protette dalla sicurezza. Che strano. Ora però provvederanno così come per le scuole. Questo è stato detto. 
E pensare che a Roma, Italia, la Sinagoga, è sorvegliata notte e giorno, giorno e notte, e la scuola ebraica, sempre a Roma, Italia, ha i cecchini sul tetto che a turno montano la guardia. Eppure, stranamente a Gerusalemme, Israele-Palestina, tutto questo non c'era, queste misure non c'erano, c'erano tutte ma non queste, i luoghi più significativi, più esposti, più vulnerabili non avevano la protezione, oh, ma ora l'avranno. Sì, che l'avranno. Sarebbe bene la fornissero anche alle Moschee, visto che nel solo mese di novembre, questo novembre, nell'arco di quindici giorni, ben due Moschee sono state date alle fiamme dagli israeliani, e la Spianata delle Moschee è stata chiusa, e la Moschea di Al-Aqsa, quartiere Issawiya, è occupata ogni giorno dalle forze israeliane che impediscono ai palestinesi di entrare a pregare, anzi, per onestà, permettono l'ingresso ad un massimo di cinquanta palestinesi al giorno sotto sorveglianza, sì, all'Al-Aqsa si prega sotto sorveglianza, quando ti viene permesso di pregare e se. Eh, già, persino la preghiera è stata vietata e limitata a quella gente figlia di Palestina. Persino la preghiera. E poi ci si meraviglia si urla si accusa si condanna.
Molto ci sarebbe da raccontare, molto racchiuso solo nei primi quindici giorni di questo mese di novembre del 2014. Tracceremo solo qualche immagine. La storia di Muataz, ad esempio, storia del 3 novembre che dice di Muataz, il giovane palestinese ritenuto, senza certezza, responsabile del ferimento del rabbino Yehuda Glick, Muataz viene quindi catturato e trascinato dai soldati israeliani sul terrazzo di casa, lì torturato per ore anche con un trapano, fino alla morte, mentre i genitori, legati e sorvegliati, udivano le sue urla, genitori a cui non è stata lasciata neppure la salma del figlio. O potremmo raccontare dei quattro ragazzi palestinesi rapiti nel quartiere Suwwana e al-Bustan da soldati israeliani, quattro ragazzi che avevano, hanno, non sappiamo se parlare al presente o al passato, 19, 17, 19 e 16 anni, notizia questa di mercoledì 5 novembre.
E c'è l'11 di novembre e la breve storia di Hamza Hatem della famiglia Zaidani, la cui casa viene assediata, subisce un'irruzione da parte di soldati israeliani della sicurezza capeggiati da un ufficiale, cercano lui, Hamza Hatem, hanno un mandato di arresto per lui, Hamza Hatem, devono portarlo via per interrogarlo, trovano i genitori, lui è nella casa accanto, lui ha 2 anni, sì, 2 anni. E' la verità.
Ma c'è anche il 12 di novembre e la notizia che un comitato di pianificazione, ovviamente israeliano, ha approvato il progetto per la costruzione di 200 case per coloni,  200 per ora, ma saranno 1000. E sempre il 12 di novembre Amnesty International dichiara il " disprezzo scioccante" per la vita dei civili palestinesi da parte dell'esercito israeliano che ha sganciato bombe aeree sulle abitazioni, risultato: 104 civili morti tra cui 62 bambini, di contro la risposta palestinese: razzi sparati che hanno provocato 6 morti civili tra cui 1 bambino. 
Il fatto è che sono giorni e giorni che la polizia israeliana sottopone, nei quartieri arabi, i palestinesi ad ogni sorta di "punizioni", dalle incursioni nelle case, ai raid, ai rapimenti alle esecuzioni eccetera eccetera, "punizioni" perché esistono. 
Con la breve, ma emblematica notizia del 13 novembre chiudiamo quest'assaggio di brevi, dopo di che tutte le parole si fanno vento: il 13 c.m. viene negato l'ingresso in Israele alla Commissione delle Nazioni Unite guidata dal giudice canadese William Schabas, incaricato Onu per i Diritti Umani, in questo caso incaricato di indagare sulla recente guerra di 50 giorni a Gaza ( 2194 vittime palestinesi di cui 70% civili tra cui 519 bambini), ma non solo l'ingresso viene negato, viene negata anche la collaborazione: Israele non collaborerà con la Commissione d'inchiesta dell'Onu, lo dichiara il portavoce del Ministero degli Esteri israeliano, Emmanuel Nahashon.  
E pensare che al check-point 300, quello tra Gerusalemme e Betlemme, dalla torretta sul muro pende un cartello pubblicitario del Ministero del Turismo israeliano, " LA PACE SIA CON VOI" c'è scritto.
Marika Guerrini
foto: originale 

lunedì 10 novembre 2014

Afghanistan, Isis e le armi"perse"

... non fa piacere sentirsi dire: avevi ragione, specie se non è la prima volta e se questa ragione implica azioni di bellica follia. L'ammissione è giunta da Kabul questo pomeriggio ch'erano le 16 ora italiana, 19,30 ora afghana, è giunta via etere da una voce amica, oggi contrisa, amico che fino ad oggi, appunto, altro non aveva fatto, per anni, che sostenere la presenza militare Usa in terra afghana, la sua terra, prima che si trasferisse negli States e quasi la rinnegasse. Prima del 2001.
Ma la goccia è giunta, la goccia che ha fatto traboccare il suo vaso, evidentemente colmo e tenuto nascosto per orgoglio. E la goccia è stata la notizia di qualche giorno fa e diceva della "perdita", da parte dell'esercito statunitense, di materiale bellico di vario tipo, del valore di 240 milioni di dollari. Sì, 240 milioni di dollari di materiale militare in dotazione all'esercito americano, tra cui attrezzature di comunicazione, dispositivi di crittografia, veicoli Humvees ed altro, tra cui anche armi sensibili. Tutto materiale "perso" non si sa come, materiale che prima di venir "perso", era nelle due basi principali, quella di Bagram e quella di Kandahar. 
Possibile situazione-occasione della "perdita", il ritiro delle truppe statunitensi e, per la precisione, l'inizio del ritiro. Sì, perché l'inconveniente, anzi gli inconvenienti, dato che le basi in questione sono due, risale al 2013.
Per inciso: comunicare al lettore la netta sensazione di un desiderio di scomparsa nella voce al telefono, è dir poco o nulla, detto questo e tornando alla "perdita", sta di fatto che gli addetti alla sorveglianza, ovviamente americani, non siano stati tempestivi nella segnalazione, motivo per cui la notizia è saltata fuori ultimamente. A completare la "perdita" c'è che, sempre a detta degli esperti americani, il materiale non potrà essere recuperato, tra l'altro i veicoli Humvees sono quelli usati in alcuni attentati suicidi. Eh, sì, perché la cosa più interessante è che, questo materiale bellico "perso" sia stato "trovato" dal "nemico", chi?, ma l'Isis o Isil, come preferite. Ecco, la voce non ha pronunciato altro contenuto, oltre alla scuse che non finivano mai e che, a dire il vero, ci hanno disturbato non poco, ah, no, un momento, c'è un'altra cosa:  "nessuno sarà ritenuto finanziariamente responsabile né per le sparizioni né per non aver rispettato le scadenze dei rapporti", dichiarazione ufficiale.
Ecco la goccia che ha fatto traboccare il vaso di una voce amica, oggi, a Kabul.
Marika Guerrini
foto: Reuters