... ancora brucia l’immagine
di Aylan Kurdi, 3 anni, il bambino siriano dai pantaloncini blu e la maglietta
rossa, il cui corpicino si è mostrato al mondo riverso su di una spiaggia,
quando già aveva messo le ali per volare in un altrove lontano. Ad Aylan, poi
immortalato in una piccola statua, occiriente
aveva dedicato una sua pagina: “Sulaimāniya: Aylan Kurdi e il trail of
tears”, ch’era il 9 marzo del 2016. La pagina racconta della piccola statua
dalle bianche sembianze di Aylan, adagiata sul Tigri, sì che andasse,
scivolasse sulle acque ad attraversare paesi e genti e storie, sì che
scivolasse sullo storico fiume della Civiltà, a ricordare al mondo la storia
odierna, una storia in cui si permette alla guerra di uccidere bambini più d’ogni
altra cosa, d’ogni altro essere. E, quando, per destino, fortuna o per quel
caso che non esiste, non li uccide nel fisico, uccide la loro infanzia, la loro
anima, recide in loro le forze vitali. Il futuro del mondo.
E mentre Aylan scivolava sul Tigri a testimoniare nel 2016, un altro bambino s’incamminava
verso un destino da sogno e da incubo. E nulla avrebbe cambiato l’odierna
storia, né Aylan che ora abita un mondo diverso in cui tutti i bambini sono
forniti di ali, né il bambino di cui racconteremo tra qualche riga, così, altri
bambini, piccoli o meno che siano stati e siano, avrebbero continuato a mettere
le ali o a fuggire dalla loro terra, dalla loro vita, dalla loro storia. Fuggire
con o senza affetti familiari, spesso tra sconosciuti che hanno perso ogni
speranza in patria e ne cercano un’altra. Fuggire perché non viene data loro
altra possibilità. Sono migliaia, centinaia di migliaia. A volte hanno così pochi
anni di vita da lasciarci sgomenti per la loro forza, altre volte, quando hanno pochi più anni, quando si fermano un po’ con noi, anche solo per un po’, ci
sgomenta la loro saggezza. Fuggire per non morire o, a volte, morire altrove.
Soli.
In questi giorni, in Afghanistan, lì dove la guerra dal 2001 non si è mai arrestata
malgrado notizie da tempo, e periodicamente, comunichino aleatori incontri, più
o meno realizzati, ai fini della parola “pace”, tra coloro che hanno
programmato, voluto, scatenato guerra, per “combattere il terrorismo”, ed ora
con quello stesso “terrorismo” intavolano negoziati di “pace”, parola abusata e
bestemmiata che si fa così testimone della farsa in atto su quel palcoscenico
bellico in terra afghana, in scena tutti i giorni e le notti da 18 anni. Ebbene in quella stessa
terra sul cui suolo, nel recente trascorso anno 2018, l’aviazione americana,
pur non avendo mai smesso negli anni, ha sganciato altre 7.632 bombe, lì, tra
tanti bambini falciati dagli infernali ordigni, ve n’è uno, tra i pochi a non
essere caduto, ma “colpevole “ di amare il calcio, di avere quale idolo Messi, Lionel
Messi, centrocampista e attaccante, della squadra del Barcellona e della Nazionale Argentina. Miliardario, specifica che
sottolineiamo e che si capirà tra qualche riga. Ma passiamo alla sintesi della
storia di Murtaza, perché è questo il nome dell’involontario protagonista su
accennato, definito: un altro bambino, è Murtaza Ahmadi, 7 anni nello stesso
anno del viaggio di Aylan sul Tigri, il 2016 e iniziato, nel cielo, sempre per Aylan, a fine 2015.
Non tutti sanno che il gioco del calcio
in Afghanistan è da sempre molto amato, specie tra gli adolescenti ed i
bambini, anche nel periodo di occupazione dei Taliban malgrado il divieto
ufficiale, non si è mai fermato. Murtaza vive a Ghazni (1), antica città ricchissima di storia nel centro orientale del Paese, con la sua famiglia povera ma onesta, ama il calcio
ed è un fan di Lionel Messi. Un giorno del 2016, appunto, trasforma una busta di plastica
a strisce bianche e azzurre, colori della Nazionale Argentina, in una maglietta
da calcio, scrivendovi sopra, in caratteri occidentali, MESSI 10, numero del
calciatore. Sarà questo l’inizio di quel sogno trasformatosi in incubo, di cui
sopra.
L’immagine della busta-maglietta varca montagne, attraversa deserti finché
giunge a Lionel Messi. Alla sua sensibilità. Circa un anno dopo, Murtaza viene
invitato da Messi a Doha, dove il calciatore soggiorna per una partita, vi sono
foto di gruppo con la squadra e il piccolo Murtaza. La fama del giocatore
investe Murtaza che, non solo è afghano, ma anche di etnia Hazara e fede Sciita, etnia oggetto di persecuzioni sia storicamente parlando (2) che nell’attualità, etnia di cui il lettore
di occiriente e dei miei libri sulla
Storia dell’Afghanistan, conosce l’ampia trattazione proprio a causa dell’incessante
genocidio che subisce (3).
Essere hazara e sciita, per Murtaza, ha fornito un’arma ai gruppi
terroristici, Taliban ma non solo, tutti di fede sunnita, che hanno perseguitato e stanno
perseguitando, la sua famiglia, uccisi alcuni membri, tutto a scopo di
rapimento di Murtaza, a scopo di estorsione, per un riscatto indirizzato al calciatore Messi, miliardario. Ecco come si fa arma da guerra non solo la povertà, ma anche l’innocente passione per un gioco. Ora, nel tempo del comporsi di questa pagina e della sua
chiosa, come in una diretta da film, la vita di Murtaza continua ad essere in pericolo. Il
bambino si sta spostando nel Paese di città in città, di luogo in luogo, è con la sua
coraggiosa madre, coraggiosa come molte donne afghane. E qui ci fermiamo, volutamente tralasciamo i luoghi e
rispettiamo il loro silenzio anche se ultimamente un appello della madre ha raggiunto
il calciatore affinché intervenga per portar via il bambino dal Paese.
Fuggire per non morire.
Marika Guerrini
Note
(1)- Ghazni: anticamente Ghazna, capitale, con Mahmud di Ghazna, dell'Impero Ghaznavide (inizio I
millennio dell'èra volgare) che si estendeva dal Mar Caspio all'attuale Punjab (India)
( (2) – Unico sovrano a non
aver perseguitato e neppure emarginato l’etnia Hazara fu Re Aman Ullah d’Afghanistan (1919-1929) A Questo proposito
si segnala: Ehsanullah d’Afghanistan,”Il Re Riformista” Marika Guerrini a cura
di, Jouvence 2018;
(( (3)– Marika Guerrini, “Afghanistan
passato e presente” Jouvence 2014, unico testo italiano di Storia dell'Afghanistan che tratti l’intera e complessa storia di quel Paese e delle sue genti sin dai primordi.