mercoledì 30 settembre 2015

Siria: la terra di Yussuf -seconda parte- la speranza

Allah yamiki Suriya
-Dio ti protegga, o Siria-
... interessante è stato ritornare, ieri 29 settembre, all'eco delle parole pronunciate all'Onu da Barack Obama e, nel ripercorrerle, notare quanto assumessero valenza ancor più retorica del solito, più menzognera del solito. E' stato allora che una considerazione all'apparenza astratta ci si è affacciata alla mente e la ricorrenza, in cui la cristianità d'occidente e d'oriente ricorda Mi-Ka-El, l'Arcangelo guerriero che nella liturgia come nella leggenda, assolve al compito cosmico di combattere la menzogna iconograficamente raffigurata quale serpente, drago o demonio, si è arricchita di significato, come se addizionasse l'evidenza della menzogna stessa, la rendesse ancor più esplicita. Ma lasciamo le considerazioni esoteriche e veniamo ai fatti siriani in ambito Onu e non solo.
In questo mese di settembre che volge al termine, Bashar al-Assad in un'intervista, rilasciata ai rappresentanti dei media russi, a proposito dell'Europa e dei profughi siriani, così si esprime: Il problema non è l'Europa che accoglie o non accoglie i profughi, il problema è che dobbiamo eliminare le cause del fenomeno. Se gli europei sono preoccupati per la sorte dei profughi, devono rinunciare al sostegno ai terroristi... e ancora: se oggi chiediamo a qualsiasi siriano che cosa vuole, la risposta sarà: sicurezza e stabilità, e noi forze politiche sia del governo che fuori dall'ambito del potere, abbiamo il dovere di consolidarci per rispondere al popolo siriano... e ancora: i curdi sono per noi parte della società siriana, non sono forestieri, vivono su questa terra come vivono gli arabi, i circassi, gli armeni e molti altri popoli e confessioni che vivono in Siria da tempo immemorabile... Ora, è facile dire o pensare: è Assad che parla, cos'altro dovrebbe o potrebbe dire, ma non è così, Assad dice la verità, e le sue parole trovano eco anche in quelle di padre George Abu Khazen, francescano e vicario apostolico di Aleppo: In Siria convivono da secoli tanti popoli e molti gruppi religiosi, questo paese in passato ha accolto centinaia di iracheni, libanesi, palestinesi, sudanesi e, sottolineo, non ha mai creato dei campi profughi fatti di tende come ora i paesi circostanti dove sono fuggiti i siriani... e ancora:  Barack Obama ha costruito un'alleanza contro il califfato che comprende, oltre ai paesi della Nato, le monarchie arabe del petrolio ...   Per fermare l'Isis e gli altri terroristi, bisogna imporre ad Arabia Saudita, Qatar, Turchia e Stati Uniti di tagliare qualunque rifornimento e finanziamento a quegli assassini...  Questo e molto altro padre George Abu diceva un anno fa, ma come sappiamo nulla si è mai interrotto, il rifornimento del 5 settembre di quest'anno, tanto per non illuderci sulla fine dei continui rifornimenti, è stato registrato dal satellite ed è visibile a tutti su google maps, il 5 settembre 700 camion carichi di rifornimenti sono giunti a Raqqa, oramai capitale dell'Isis, l'intera operazione non desta equivoci, alcuni camion sono ancora, e si vedono,  fermi ai bordi della strada. Ovviamente tutti hanno visto e possono vedere, tutti tranne i componenti in capo della coalizione anti Isis, loro non hanno visto nulla. 
Il fatto è che a mentire siamo noi, esclusivamente noi, ed è così che ci beviamo anche la fandonia avanzata da Parigi che con i recenti raid aerei sulla Siria, non solo ha agito senza tener conto dell'Onu e della Russia, quest'ultima più che altri, dato il ruolo geostrategico che ha in Siria con alle spalle l'Iran, ma  ha anche giustificato l'azione adducendo prove circa gli attacchi terroristici in Francia, a partire da Charlie Ebdo, ed anche prima, che attesterebbero la provenienza siriana dell'organizzazione, prove che sappiamo senza alcun dubbio essere non solo false ma la cui falsità a suo tempo, ed ogni volta, è stata dimostrata da molti, comprese le nostre pagine. 
In questo mare di menzogne un'altra cosa che non va dimenticata, è l'embargo che dal 2011 affossa il popolo siriano, embargo il cui contenuto si può trovare, per chi volesse, su  "The European Union and Syria" embargo che include non solo congelamento di tutti i beni della Banca Centrale siriana, divieto di disponibilità di fondi, risorse, divieto alle banche europee di aprire in Siria conti etc., divieto di esportazione di carburante per aerei, embargo sul greggio e suoi derivati compreso il trasporto, e così via, ma quel che va tenuto presente è che  nel 2012 l'embargo è stato tolto alla sola area siriana in cui stava per giungere l'Isis. L'azione parla da sé e non va dimenticata.
Ora però è tempo di chiudere questa seconda parte sulla terra di Yussuf, e lo facciamo con un'ultima notizia, notizia giunta nelle ore pomeridiane di questo 30 settembre, notizia che non ci meraviglia, ma dà corpo ad una speranza accesasi già dopo l'Assemblea dell'Onu, in seguito alla discrepanza tra il comportamento di Barack Obama, la sua confermata violenza di espressioni del volto, sguardi e parole, rispetto alla lucida fermezza di Vladimir Putin nella sua presa di posizione pro Siria, pro guerra all'Isis, pro Assad. La notizia di oggi è questa: Bashar al-Assad ha chiesto a Mosca aiuti militari sul campo per combattere l'Isis e Putin ha risposto "sì". Questo "sì" porterà l'esercito russo in Siria, cosa, per quanto sia assurdo dirlo, molto più leale e sicura di soli raid aerei di chiunque che da tempo distruggono tutto nel paese, come quelli che hanno tolto la vita a Yussuf. Sì, certo, questo potrà comportare dei colpi di coda, li comporterà quasi certamente, potranno essere recrudescenze di violenza in loco, nella regione, in paesi limitrofi, in Europa, nei nostri luoghi, nelle nostre città. Potranno avere aspetto terroristico alla stregua di quelli francesi e così via, non ci vuole fantasia per immaginare, sappiamo come si muovono queste cose, come si muove certa gente e loro costruttori e mandanti. Ma può anche voler significare il principio della fine di una guerra vile e bugiarda, perché in fondo è una a formare tutte quelle che abbiamo vissuto e stiamo vivendo, principiate in quel fatidico ottobre del 2001 in terra afghana e poi, a macchia d'olio, infettato e infestato tutte le altre terre che sappiamo, fino ad ora. 
E' così che la speranza parte dalla terra di Yussuf, dalla sua Siria, dal principio della civiltà. E' questo che ci si augura, malgrado quel che di terribile potrà prima comportare e che ci auguriamo non si realizzi, ci si augura che il simbolo di Mi-Ka-El sconfigga il drago della menzogna verso una nuova era.
Marika Guerrini




giovedì 24 settembre 2015

Siria: la terra di Yussuf - prima parte-

... ho incontrato Faraj che ero a Damasco, toccata e fuga nel tempo di un week end, al rientro in Italia la pagina " Damasco-Beirut prima parte- Faraj" aveva suggellato il nostro incontro. Da quell'ottobre del 2012, con cadenza ritmica, le vicende di Farajallah, per gli amici Faraj, e la Siria, hanno attraversato l'etere telefonico sulla sua voce e non solo, e spesso si sono fatte pagine di cui si è reso partecipe il lettore. 
L'ultima volta che ho sentito Faraj è stato nel giugno del 2014, era la mattina del settimo giorno del mese, ricordo bene, Faraj non era solo, con lui al telefono v'era Yussuf. Anche allora la telefonata era stata immortalata in una pagina: " Siria e il suo popolo sovrano" questo il titolo, ma il nome Yussuf, malgrado la sua storia, era stato taciuto, taciuto per sua sicurezza, per la sicurezza delle sue pagine perché Yussuf era uno scrittore, un giovane scrittore traboccante di speranze, d'amore per la sua terra, come a 25 anni si può essere quando gli ideali sono intatti. Yussuf aveva quest'amore da raccontare. Ora il racconto è interrotto e qualche giorno fa è sbarcato in Italia, non so da dove né tramite chi, quel che so è che un plico senza mittente mi è stato recapitato con all'interno un racconto al suo principio, forse a metà, come sembrerebbe dalla struttura, un racconto che di tutto parla tranne che di guerra, un racconto con una bella storia d'amore. Frutto di realtà o fantasia di scrittore, non lo sapremo mai ora che il nome di Yussuf può essere dichiarato senza alcun timore per via della sua vita annullata, come risulta da un pezzetto di carta da quaderno ripiegato e allegato al racconto, vita annullata: ... sotto un bombardamento aereo, è scritto in francese. Leggendo ho pensato a Faraj, che  fosse opera sua, che fosse suo il nome assente del mittente, ma non so, nessuno ha saputo dirmi, non so dove sia Faraj, né se ancora sia, proprio non so, nessuno tra i vecchi amici ha sentito o visto Faraj da molto tempo.
Ecco questa è una breve storia come tante e diversa, il perché rendere pubblica questa storia privata, è quel che ho chiesto a me stessa prima di pubblicare, ma la risposta è stata ovvia: perché sono stati dell'animo sperimentati ogni giorno da milioni di esseri umani dovuti alle stesse cause, uomini, donne, bambini che vivevano in pace la propria vita nella propria casa, tra le proprie cose nella propria terra, ché questo dava la Siria. Perché i "dittatori" nei termini mostrati dall'ignoranza d'occidente all'ignoranza d'occidente, sono stati invenzione  per frantumare, distruggere, occupare,  possedere, che sia potere economico o politico o strategico, o tutto questo ed altro non ha alcuna importanza. Non più. Perché si è mentito ma ancor più perché, e questo è il punto, si continua a mentire, sì ancor più per questo, e questo potrebbe annullare ogni futura speranza. Perché la menzogna s'è fatta stile di vita, condizione creata, usata, poi, poi dichiarata, sì che la beffa risulti ancor più spietata quando spregiudicatamente, con un costruito senso di lealtà denuncia la menzogna, facendo sì che questa stessa si mostri fautrice di verità. E' un gioco perverso, diabolico molto più di quanto si possa supporre o sapere, ma un gioco che sta iniziando a farsi pacchiano. Così ora, tanto per citare un esempio recente, ora che il Medio Oriente brucia, che parte dell'Asia Centrale è distrutto e o assoggettato, ora che creature bestiali sono state create, programmate a distruggere, sguinzagliate con tutte le incognite del caso, per essere poi avversate, mostrando nella farsa un senso di giustizia in realtà costruito anch'esso quindi assente nell'essenza, ora, secondo la perversione, è tempo di rivelazioni, tempo di svelare alcune menzogne, e allora il Massachusetts Institute of Technology, altrimenti MIT, dichiara che il massacro con le armi chimiche usate il 21 agosto del 2013, che procurarono oltre 1000 morti e di cui fu accusato Bashar al-Assad, fu compiuto dai mercenari non da al-Assad, la Cia aveva mentito e il New York Times, che adesso nega d'aver mai pubblicato l'accusa in barba alla locuzione latina scripta manent, aveva mentito. Così Barack Obama, ma lui tace, così... l'elenco è lungo e i nostri leader d'allora e di ora ne hanno fatto e ne fanno parte, ché nulla è cambiato, vassalli eravamo vassalli siamo. Così tanto vassalli che qualche giorno fa "il Fatto Quotidiano" ha gridato alla menzogna, bene si direbbe, sì, certo, bene, ma allora, nel 2013, quando noi denunciavamo la menzogna ala prima comunicazione della notizia, allora loro dov'erano e se c'erano perché non hanno urlato o pubblicato l'urlo di oggi, perché non l'hanno pubblicato allora, perché hanno lasciato che risuonasse in solitudine in alcune nicchie, soltanto? Vassalli la cui parola è misurata sempre, anche quando pronunciano una verità, in tal caso assicurandosi che sia opportuna. Voci in apparenza e misuratamente fuori dal coro.
Fermiamo qui queste miserie mentre un pensiero di luce va a Yussuf e alla sua storia consumata troppo in fretta. ( fine I parte)
Marika Guerrini
foto Ansa  

martedì 15 settembre 2015

migranti, sunglasses, cocaina, eroina tra gli azulejos di Lisbona

... nell'intermittenza del respiro m'inerpico sulla via scoscesa. E immagini mi vengono incontro dalle mura dei palazzi, lì, sotto forma di azulejos, raccontano, mentre antichi regnanti si mescolano a spirali a fiori a cerchi a stelle a rosoni di colore azzurro tutti, o quasi. E più in là, ma solo un po' più in là, persino Vasco da Gama s'affaccia a ricordare conquiste mai pacifiche, che fossero ad occidente o ad oriente, poco importa ormai, è stato molto ma molto tempo fa. 
Così, inerpicandomi tra un respiro e un mezzo respiro, incrocio lo sguardo di un giovane uomo dalla provenienza sub sahariana, a dirla di primo acchito. E mi si accosta e: sunglasses, cocaina, eroina, è quel che dice, che mi dice, mentre il punto interrogativo sottolinea nella voce la domanda, l'offerta. Poi un altro e un altro ancora e ancora un altro, la provenienza sembrerebbe la stessa, dai tratti del volto, la corporatura, dal colore della pelle, tutti lì, distanziati da pochi passi soltanto, e al nào obrigado, al rifiuto, una nota di delusione attraversa lo sguardo dell'uno e dell'altro, di tutti, come fosse risposta d'eccezione la mia, mentre continua la nenia dopo di me: sunglasses, cocaina, eroina, mentre continuo la scalata.
Sono in cima ora, in una piazzetta, lì un punto di ristoro richiama la mia attenzione e mi siedo ad un tavolino. Neanche ho fatto in tempo a sedermi che: sunglasses, cocaina, eroina, s'avvicina un altro di loro, quelli di prima, uno come tutti, ed anche qui la delusione nello sguardo al ripetuto nào obrigado. 
C'è un belga al tavolino accanto, mi guarda e in francese commenta: incroyable! Oui, incroyable! rispondo. Da queste battute nasce l'incontro con Albert, dall'incontro la parte seguente di questa pagina che, con il suo permesso, pubblico. Eccola.

Mangiamo i nostri hamburger al fast-food  e la sera usciamo per andare a cinema o a teatro. Mettiamo i nostri soldi da parte e facciamo le nostre vacanze annuali. Ci muoviamo come ordinate formiche nelle nostre belle metropoli antiche e moderne. Lavoro, shopping, accompagnare i figli i in piscina. Sempre più spesso l'uomo medio occidentale incontra nel suo tran tran quotidiano facce nuove, occhi di chi ha viaggiato per stare lì dove lui è, occhi che anelano ad un eldorado, promesso, che non c'è e non ci sarà. Era tutta un'illusione, un sogno infranto e non è più il mare a dividerci, ma una casta informale. Il più delle volte l'occidentale medio non vuole incrociare lo sguardo con il loro, e quando lo fa  spesso il pensiero inespresso, è "ho bisogno che tu stia male perché io stia bene..... Ho bisogno che tu muoia nella povertà e nella fame perché io viva sazio e nel lusso".
Oggi l'Europa ed il resto del "primo" mondo fanno finta di svegliarsi, rimangono sorpresi  al terribile afflusso di migranti che migranti non sono ma profughi, profughi vomitati dal Mediterraneo sulle nostre terre, un afflusso in verità antico, ma che ora c'è bisogno di moltiplicare, addizionare, pubblicizzare. E l'Europa, qui, ora, è come un bambino che rompe il vaso e nasconde i pezzi sotto il tappeto sperando che non si veda il bozzo. 
I popoli migrano, lo fanno da sempre però qualcosa è cambiato dopo gli anni '50 dello scorso secolo, l'Europa ha messo la parola fine al suo periodo coloniale o forse ha solo trasformato una pratica stigmatizzata da molti che comunque  aveva un risvolto positivo nel portare ricchezza al terzo mondo, se pur derubandolo di troppo, ma altresì dotandolo di modernità, di leggi, di cultura. Portava in quei luoghi quel che oggi loro vengono a cercare qui. Con la dismissione delle colonie è partito un meccanismo di deterioramento di questi paesi, lento ed inesorabile, che si conclude puntualmente con una guerra, una rivoluzione, una carestia, anche di pensiero. E quel poco di buono che noi si esportava in quei luoghi, ora loro vengono a cercarlo come fosse saldo per una promessa mancata. E l'Europa si interroga se sia stato giusto o  meno decidere di intervenire militarmente per cambiare le sorti di questo o quello Stato  anziché interrogarsi sul perché ha dato inizio a tutto questo.

Si aprano le frontiere, si facciano entrare i disperati, gridano gli europei benpensanti, senza capire che il benessere al quale sono attaccati e i lussi che ora si permettono verranno meno,  e allora si torna al punto: ho bisogno che tu stia male perché io stia bene. In una terra che oramai non offre abbastanza cibo ed acqua per tutti, il sacrificio di alcuni sembra inevitabile. Ma tra loro a quanto pare c'è chi non ci sta, così hanno iniziato a dire :"io non pesco il cerino più corto, ora crepa tu!" e allora: sunglasses, cocaina, eroina.
Sono passati quasi cento anni senza guerre... beh, non illudiamoci, non ce ne saranno altri 100, siamo già in guerra e, a breve, un'altra guerra si sommerà a questa, la guerra per la sopravvivenza. E non ci saranno fronti su cui combattere, il nemico sarà seduto accanto a noi nel ristorante dove consumiamo, godendo, il nostro pasto. 
Ho bisogno che tu muoia perché io viva.
Le parole dell'amico belga sono state lasciate alla spontaneità, senza alcuna trasformazione, le ho  tradotte dal francese, soltanto.
Marika Guerrini

sabato 5 settembre 2015

il ritorno di Palinuro


... La notte si stende placida sul mare, il vento favorevole accompagna la flotta di Enea proveniente dalla Sicilia e diretta verso i tanto desiderati italici lidi. E' stato lo stesso Nettuno dominatore del mare profondo a promettere a Venere che placherà le acque a custodia di suo figlio Enea, perché abbia una navigazione tranquilla

"...Cadono i flutti, sotto l'asse sonoro si stende il gonfio mare, fuggon pel vasto cielo le nuvole".  

Ma questo richiede un sacrificio  a placare l'indomita ira di Giunone

"...uno solo sarà che in mare perduto dovrai lamentare, una testa darete per molti".

La vittima destinata è Palinuro, fedele nocchiero a cui Enea s'è sempre affidato 

"...Allora davanti a tutti, la fitta schiera guidava Palinuro, dietro a lui gli altri han comando d'andare. E già il mezzo del cielo l'umida notte toccava, in placida quiete abbandonavano i corpi, sotto i remi o pei duri sedili distesi, le ciurme. 
Ed ecco leggero dagli astri celesti scendendo agitò l'aria oscura e dissipò l'ombre, te, Palinuro, cercando, a te portando il mal sogno, o innocente.

Così prendendo le sembianze di Enea:

 "...Iaside Palinuro, il mare porta le navi da solo, uguale spira la brezza, ecco un'ora pel sonno. Posa il capo, strappa gli occhi stanchi al tormento, io posso, per poco, sostenere la tua parte.
E a lui Palinuro, levando a stento le palpebre: E vuoi che la faccia del mare tranquillo, che l'onde sopite io non conosca? E che d'un simile mostro mi fidi?
Enea, ma sei pazzo, lasciarlo alle brezze bugiarde proprio io, tante volte ingannato dal cielo sereno?
Queste parole diceva, e fisso attaccato al timone, non lo lasciava un momento, gli occhi tesi alle stelle.
Ma un ramo stillante acqua di Lete, veleno di stigia potenza, gli scuote il dio sulle tempie, e mentre invano resiste gli occhi oscillanti gli chiude.
Quel sonno imprevisto gli ebbe appena sciolto le membra, volandogli addosso, strappato un pezzo di poppa, giù col timone lo gettò il dio, a capofitto nell'acqua che invano chiamava e richiamava i compagni.
Poi come uccello in volo s'alzò sparendo nell'aria....
E sentì Enea che, perso il nocchiero, la nave sbandava, allora lui stesso nell'acque notturne la tese, molto gemendo, sconvolto in cuor per l'amico caduto: O troppo fidente nel mare e nel cielo sereno! Nudo su ignota spiaggia giacerai, Palinuro".

Raggiunta Cuma Enea si reca con la Sibilla a visitare il regno dei morti, lì, tra le prime ombre incontra Palinuro:

"... Per tre gelide notti mi sospinse sull'immensa distesa di quel mare Noto violento, ed alla quarta aurora, sulla cresta di un'onda sollevato, vidi l'Italia. A terra allor nuotando m'avvicinavo a stento. E già dal mare ero al sicuro, quando fiera gente, ancor gravato dalla veste molle, che ancor ghermivo con adunche mani l'aspre sporgenze del roccioso lido, con l'armi m'assalì, in me pensando, stolta, una preda!
Ed ora il corpo mio tengono i flutti e i venti in lor balìa! Ond'io, Enea, per la gioconda luce, per il vitale spirito dei vivi, pel padre tuo, per la speranza certa del tuo fiorente Jiulio, deh!, ti prego, strappami invitto a questi mali! Gettami sul corpo un po' di terra...sì che almen riposi nella placida sede della morte! 
Ciò disse appena e subito la vergine...No non sperar che il Fato degli dei si pieghi mai alle umane preghiere! Ma memore i miei detti odi...il tuo nome, o Palinuro, il luogo terrà per sempre".

Ma la pietà di Enea gli dà sepoltura: 

"un miglio ad Occidente delle Saline ed appunto sull'imboccatura del porto, trovasi il sepolcro di Palinuro, rizzatovi dalla superstizione di quei vicini antichi popoli, per placare i Mani del medesimo. Vedendolo vi si scorge un'antichissima semplicità... l'opera è quadrata e massiccia di minute pietre, la maggior parte delle quali sono arrossite, perché prima state al fuoco... tiene ad Oriente un picciol vallone... la parte esteriore volge ad Occidente... al di dentro, a guisa d'un picciol porto era, e due porte, una a Mezzogiorno, e l'altra a Tramontana gli davano l'ingresso ". 

Così Giuseppe Antonini, barone di San Biase, nel 1795 ci racconta il cenotafio del virgiliano nocchiero di Enea, ed è così che il tempo più che remoto, ancora s'affaccia, portando con sé l'origine della nostra storia in parte troiana, storia che il nome Palinuro  non smette di evocare. Ma molte altre sono le storie che Palinuro, poi Capo Palinuro,  avrebbe accolto in grembo lungo lo scorrere del tempostorie sommatesi all'antichissimo insediamento lucano, di cui la prima traccia precede il VI secolo a.C., quando la regione fu ellenizzata. Storie a raccontare una storia che ha sempre visto il tragitto farsi da oriente ad occidente tra scuole di filosofia e naufragi, come quello all'epoca delle ostilità tra Roma e Cartagine, quando i marosi scaraventarono sulle rocce e sugli scogli la flotta romana formata da 260 unità, di ritorno dall'Africa carica di bottino ch'era il 253 a.C., lasciando 150 unità in fondo al mare. Dal tempo del nocchiero, secondo la memoria storica, non è trascorso anno, come anche questo in corso, senza che in quel mare, Noto violento, si rinnovi il sacrificio di Palinuro
Ora, ma da alcuni anni, in quel luogo suggestivo in cui la natura continua a riflettere toni selvaggi conservatisi quasi allo stato primordiale, Abdul, Alì, Mohammad, Selim, Shapur, e ancora e ancora, ignari percorrono la spiaggia su cui Palinuro posò il suo corpo, la spiaggia del Porto. La percorrono con il peso della loro vita manifesto in mercanzia che tappezza il  corpo trasportatore, in tal guisa come fosse messo in vendita. Ed è così che Abdul mi racconta la sua storia. Penzolante dal collo, a stento ma non senza dignità, porta ancorato un grande pannello di legno scintillante di piccoli bijoux colorati dall'evidente fattura cinese, mentre lo shalwar kameez che sotto il pannello copre il suo corpo, denuncia la sua terra d'origine, il Pakistan. E mi racconta la sua storia fotocopia di migliaia di altre storie, storie in cui cambiano i nomi, e neppure tanto, cambia la provenienza, e neppure tanto, cambia il tragitto, e neppure tanto, storie che conosciamo tutti. E gli offro un attimo di riposo un po' d'ombra e una bibita fresca a fermare il suo passo affondato nella sabbia del nocchiero.  
Ora ancor più di qualche anno fa, la sua. la loro, presenza si fa significante d'una storia di transito, di vita e di morte, una storia verso lidi lontani fattisi nel tragitto agognate irraggiungibili utopie, storia  sorta in lidi altrettanto lontani da cui provengono, lidi distrutti dalla voracità d'occidente come Troia dagli Achei.   
Marika Guerrini
immagine: scatto originale