Era il settembre del 1988, forse, e Sarah aveva sei anni, questo è certo. La vedevo per la prima volta, lì, davanti alla mia scrivania, piccina quasi a non sfiorare il ripiano, cicciottella quel che bastava a darle un'aria gioiosa, lì con la sua mamma accanto. Signora direttrice, sono venuta per iscrivere mia figlia, ma voglio prima parlare con lei. Prego, fu la risposta animata dal gesto della mano che le invitava ad accomodarsi sulle poltroncine oltre la scrivania. Intanto Sarah era già sparita coperta dal mobile e dai libri accatastati. Siamo ebree, fu il continuo all'esordio, poi, dopo qualche frazione di silenzio come d'attesa a scrutare: ma non voglio iscrivere Sarah alla scuola ebraica, non voglio che cresca sentendosi diversa, non voglio che sia educata alla paura e all'avversione. Cosa intende signora..?scusi ma non ho capito il suo nome, dissi. Scusi lei, non mi sono presentata, mi chiamo D... E pronuncia il cognome. Io sorrido, ci diamo la mano. Ripeto la domanda: Cosa intende con educata alla paura e all'avversione? Lei direttrice non lo sa, ma nella nostra scuola ogni giorno i bambini entrano da una porta ed escono da un'altra, ci sono più ingressi che danno sulla strada, dice e: le porte sono sempre decise all'ultimo momento e sui terrazzi del tetto ci sono, a turno, spesso sono padri dei bambini, uomini di guardia e sono armati. Io ascolto mentre Sarah sfoglia un libro di fiabe che le ho passato, sfoglia intenta, seria, tutta presa dalle immagini del libro, ma so che sta ascoltando. Finché la domanda diretta: in questa scuola come si insegna la religione? Non c'è l'insegnamento della Religione, ma di Storia delle Religioni, rispondo e: tutte vengono trattate sia alle Elementari che alle Medie, in ambito storico e tutte rispettate anche nelle ricorrenze. La signora D.... si rilassa, sorride, la conversazione continua a lungo. Tre furono i libri di fiabe che Sarah sfogliò. Il giorno dopo sarebbe stato il suo primo giorno di scuola. Era una bambina sorridente, serena, sempre. A lei seguirono molti altri bambini di religione ebraica, fu un via vai, come una piccola corte.
Un giorno di quello stesso anno scolastico, si era in primavera, era il momento dell'intervallo di metà mattina, i bambini erano in giardino quando l'insegnante della classe di Sarah, mi si precipita davanti alla scrivania senza neppure bussare alla porta: corri Marika, vieni a sentire Sarah e Elisabetta che parlano di religione. Come di religione?, dico, intanto mi ero alzata per seguirla. Le bambine erano sedute ai piedi dell'albero di melograno, noi ci siamo appostate vicine con indifferenza facendo finta di parlare. Elisabetta: ... ma voi ce l'avete gli angeli? Sarah: sì ce l'abbiamo. Elisabetta: e ce l'hanno le ali? Sarah: sì, ce l'hanno come i vostri. Elisabetta: aah... meno male! Sarah: però c'è una cosa che non abbiamo. Elisabetta: cosa? Sarah: la madonnina, la madonnina non ce l'abbiamo. Elisabetta: e ti dispiace? Sarah: sì mi dispiace. Elisabetta: sei sicura che non ce l'avete? Sarah: sì, sono sicura. Elisabetta: e ti dispiace tanto? Sarah: sì, tanto. Ci siamo allontanate quasi vergognandoci di quelle confessioni rubate a due mondi che s'univano.
Trascorrono tre anni. Nel frattempo si crea un'amicizia di stima tra me e la madre di Sarah. Vengo invitata ad una cerimonia in Sinagoga, mi viene detto che è un'eccezione, sono ancora grata di questo. Comprendo molti passaggi, è un'esperienza interessante, molto. Intanto la terza elementare di Sarah, una mattina, una lezione di storia. L'insegnante di classe, in difficoltà sull'impostazione della lezione che s'è fatta delicata, chiede il mio aiuto. Stanno trattando di Roma e della Palestina al tempo di Gesù di Nazareth. Racconto di quel tempo, del ruolo di Roma, della Palestina, delle figure storiche di entrambi tra cui la figura del Gesù storico. La sua nascita ebraica si deduce facilmente, i bambini sono svegli, allenati a pensare e molto preparati. Siamo vicini alla Pasqua. Sarah alza la mano, chiede la parola, le viene data, si alza: Gesù non era ebreo! Non lo dice, lo afferma. L'insegnante mi guarda, i bambini tacciono: sì, Sarah, Gesù era di religione ebraica, dico, le sorrido, si capisce che è un brutto colpo per lei. Mi dispiace. No, non era ebreo, era cristiano. Sarah ha quasi le lacrime agli occhi. Non è un momento facile per nessuno, i bambini continuano a tacere, mi avvicino al suo banco: tesoro, il Cristianesimo è venuto poi, allora quando è nato non c'era, è stato dopo di Lui. Sarah mi guarda, abbassa la testa, continua: ma la vostra Pasqua è diversa dalla nostra. E parla di Mosé della cacciata dall'Egitto, della terra promessa, della nuova vita. Le parole: vostra, nostra, hanno fatto male, hanno avuto un suono duro mai sentito dalle sue labbra. No, Sarah, sono la stessa cosa, dico, lo sono solo in maniera diversa, ma entrambi conducono l'uomo verso una nuova vita. Vorrei abbracciarla, non oso, potrei offenderla nella dignità del dolore che sta attraversando, è evidente. E poi c'è il ruolo. Chiede di poter uscire, esce, rientra dopo qualche attimo, intanto i bambini hanno ripreso la conversazione storica, stanno argomentando su Roma. Nessuno commenta nulla né fa domande sull'argomento precedente.
Sarah non venne a scuola per i tre giorni successivi. Il terzo giorno una telefonata della madre, disperata: cos'è successo, Sarah dice che deve cambiare scuola, deve andare alla scuola ebraica, però piange che non vuole, che è successo? Le racconto dell'episodio, di come s'era svolto, di come la bambina l'aveva vissuto. La madre comprende, comunque non vuole che Sarah cambi scuola, chiede aiuto, ma non posso darglielo, non come vorrebbe, è a Sarah che devo pensare. E' una decisione che va accolta, rispettata ancor più perché sofferta. Va fatto per lei. Sono certa che sia stata una scelta dolorosa e importante, molto più grande della sua età e, coraggiosa, molto.
Venne a salutare dopo una settimana. Venne in direzione ch'era già stata nella sua classe, aveva salutato i compagni, la sua maestra. Questo titolo di maestra i bambini delle elementari lo davano anche a me, mi si rivolgevano così, quella mattina Sarah mi chiamò signora direttrice, per la prima volta, poi: tu lo sai che sto andando nella scuola della mia gente? Sì, Sarah, lo so, va bene così, sarà bello potrai raccontare tante storie ai tuoi nuovi compagni. Mi abbracciò, ci abbracciamo, e, all'orecchio, solo a bassa voce all'orecchio: maestra Marika posso portare i pennelli e i colori, alla mia scuola non ci sono e anche gli acquerelli che ho fatto? Sì, certo tesoro, certo che puoi. E: posso venire quando c'è il teatro e le mostre? Puoi venire quando vuoi, ogni volta che hai nostalgia Sarah, questa sarà sempre la tua vecchia scuola, ricordalo. Ci fu ancora uno slancio racchiuso in un abbraccio.
Venne a salutare dopo una settimana. Venne in direzione ch'era già stata nella sua classe, aveva salutato i compagni, la sua maestra. Questo titolo di maestra i bambini delle elementari lo davano anche a me, mi si rivolgevano così, quella mattina Sarah mi chiamò signora direttrice, per la prima volta, poi: tu lo sai che sto andando nella scuola della mia gente? Sì, Sarah, lo so, va bene così, sarà bello potrai raccontare tante storie ai tuoi nuovi compagni. Mi abbracciò, ci abbracciamo, e, all'orecchio, solo a bassa voce all'orecchio: maestra Marika posso portare i pennelli e i colori, alla mia scuola non ci sono e anche gli acquerelli che ho fatto? Sì, certo tesoro, certo che puoi. E: posso venire quando c'è il teatro e le mostre? Puoi venire quando vuoi, ogni volta che hai nostalgia Sarah, questa sarà sempre la tua vecchia scuola, ricordalo. Ci fu ancora uno slancio racchiuso in un abbraccio.
Seppi poi che per oltre un anno aveva segnato le ricorrenze della sua "vecchia" scuola sul calendario, come per ricordare, venire, ma non tornò più.
Marika Guerrini