noi Carabinieri d'Italia a Te leviamo reverente il pensiero,
fiduciosa la preghiera e fervido il cuore.
Tu che le nostre legioni invocano confortatrice e protettrice col nome di Virgo Fidelis,
Tu che accogli ogni nostro proposito di bene, fanne vigore e luce per la patria nostra.
Tu accompagna la nostra vigilanza,
Tu consiglia il nostro dire,
Tu anima la nostra azione,
Tu sostenta il nostro sacrificio,
Tu infiamma la devozione nostra!
E suscita in ognuno di noi, da un capo all'altro d'Italia, l'entusiasmo di testimoniare,
con fedeltà fino alla morte, l'amore a Dio e ai fratelli italiani.
Così sia."
E si ha voglia di tacere.
Tacere alla semplicità della parola, dell'immagine, alla potenza di tale semplicità.
E' la "Preghiera del Carabiniere", questa. E si fa inno. Inno a quell'immagine-pensiero che il credo cristiano rappresenta quale Vergine Maria. Ma non è questione di credo, non atteggiamento fideistico, non religioso abbandono, è anelito, richiesta, appello. Appello a quella sottile, nascosta forza dell'anima che alberga in ogni individuo, che muove dietro ogni suo pensiero, ogni suo sentimento, ogni sua azione. Che muove inconsapevole, quasi sempre, malgrado tutto, sempre. Si attua malgrado se stessi, malgrado l'immanenza d'ogni singola individualità. Qui, nelle parole di questa particolare preghiera, l'inconsapevole anela alla consapevolezza...e si fa giuramento.
Giuramento dell'anima individuale all'anima universale, tale, infatti, il significato di Maria: anima. E, nel caso della Virgo Fidelis, è Anima Universale.
Così il carabiniere, qualunque sia la singola individualità, suggella la propria appartenenza all'Arma. Suggella la propria vita.
Così, con questo appello, questo richiamo alle forze superiori che albergano in ogni uomo. Le stesse forze che, richiamate alla coscienza, non importa quanto singolarmente consapevoli, agiscono. E permettono l'attuarsi di fedeltà, lealtà, coraggio e, ancora. Permettono quel distacco dall'istinto, quell'autocontrollo che t'impedisce di giustiziare all'istante chi impugna una pistola fumante appena scaricata sul corpo d'un tuo amico.
Questo è accaduto due giorni fa a Roma. Questo o fac-simile accade quando è l'Arma ad agire. Non è la prima né sarà l'ultima volta. E' modus agendi che origina da quel senso di umanità con anelito a superarsi espletato nell'appello, nel giuramento di cui sappiamo.
Era il 1949, quando la "Preghiera del Carabiniere" diede forma verbale a quei contenuti ideali presenti nell'Arma sin dalle sue origini. E fu scelta la data della ricorrenza: 21 novembre, la stessa in cui ricorre la Presentazione di Maria Vergine al Tempio, la stessa della battaglia finale di Culqualber. Quella battaglia combattuta in Africa Orientale, in quella ch'era al tempo l'Abissinia che ora è l'Etiopia. Quella battaglia combattuta lungo circa quattro mesi, da quel 6 agosto a quel 21 di novembre ch'era il 1941. Lì dove il 1° Gruppo Mobilitato dei Carabinieri si immolò per la patria Italia cadendo, quasi al completo, dopo strenuo coraggio e allo stremo delle forze nonché privi ormai d'ogni supporto militare, sotto il nemico ferro britannico a cui non mancavano armi ed aerei. Ma ci fu il tributo dell'onore delle armi, poi, dopo, dal nemico dinanzi al coraggio. E la medaglia d'oro alla Bandiera dell'Arma. Poi, dopo.
Sì, il giuramento che la preghiera dell'Arma ci mostra va incontrato, accolto, pensato. Andrebbe custodito in
silenzio in ogni cuore, in ogni essere umano. Andrebbe ancor più ora,
adesso, qui, in quest'Italia dal clima insurrezionale. In bilico tra disperazione e speranza.
Marika Guerrini