venerdì 21 marzo 2014

Russia: immagine



... sarà forse per quello spirito russo amato tra le pagine di Dostoevskij da ancor prima dell'adolescenza, sarà per il melanconico candore delle pagine di Pasternak e del suo Zivago, sarà per quel "maestro e Margherita" di Mickail Bulgakov, o forse per quei cosacchi che hanno popolato le nostre fantasie di libertà, ma, oltre la coltre di nubi che offusca quest'attualità tesa sulla corda del confine europeo d'oriente, ci pare d'udire echeggiare lo spirito russo di vecchia memoria. Quello indomito, antico e futuro al contempo. Echeggiare come fosse improbabile campanello d'allarme per un'Europa pavida d'esser tale. Di divenire. E vediamo venirci incontro un sentimento patrio ormai in disuso tra noi, se non che in forma di retorica espressione, in forma vuota di senso come quella mostrataci dall'estremo occidente.
Chissà, forse, la grigia cenere del Soviet, non è riuscito a soffocare in quel popolo, ieri, spirito e sentimento, né vi sta riuscendo la quotidiana eroina "infiltrata" copiosa oggi dall'occidente. In realtà medesimo attacco solo in apparenza diverso: distruzione dell'animo per la distruzione del pensiero per la distruzione dell'uomo, per il controllo dei popoli.
Ma noi lo intravediamo quell'antico futuro spirito russo, comunque, ne intravediamo il bagliore, tenue sì, ma vivo. E questo va oltre i fatti, gli interessi, le menzogne, le verità, oltre le genti che soffrono e quelle che gioiscono, quelle che temono e quelle che sperano. Va oltre questo vis-a-vis oriente occidente. Va oltre noi stessi, la nostra volontà. Va e scorge quest'oriente oltre l'uscio di casa, sottovalutato dall'arroganza di quest'occidente d'oltreoceano. Dall'ignoranza di chi non ha avuto un Dostoevskij se non per via d'emigrazione. 
Ma l'immagine sta svanendo, noi, riprendiamo lo sguardo sul farsi di questa storia di popoli, di questa vita attuale, in fondo, sempre "oggetto della storia è la vita dei popoli e dell'umanità" per dirla con Tolstoj.
Marika Guerrini

foto dal web

domenica 9 marzo 2014

Siria: mani di bambini

... tre giorni fa, ore sette del mattino, al telefono una voce in francese chiara come fosse qui: madame Guerrinì? Sì, sono io. Bonjour madame, je suis Faraj, vous souvenez-vous de Damas? Qualche istante per realizzare, uscire dalla sorpresa, ricordare,  poi : oui, oui, Faraj, je me souviens de Damas et je me souviens de vous. E lui: Bon, Madame Guerrinì, avant qu'ils ne prennent la joie, puis le pain, puis encore la vie.   
Un nodo in gola sommato alla recente sorpresa impedisce all'emotività di placarsi, impedisce la parola mentre cerco il fiato per sussurrare: oui, Faraj, je sais...j'ai souvent pensé à vous au cours de ces mois, votre famille...oui Faraj, j'ai sais.
E Damasco alla mente s'è riaffacciata sul mio week-end dell'ottobre 2012, e il volto di Farajallah chino sul fumo del tè dai bicchieri, il volto dell'amico Faraj che s'era fatto lontano. E tornano le sue parole d'allora:"... la religione non c'entra con questa storia... la Siria ha sempre protetto le minoranze...i regimi sono tutti uguali, questo di Assad non è peggiore di altri... la gente non vuole le sue dimissioni, sa che la caduta porterebbe al potere gruppi estremisti ed oltranzisti... Bashar ha sottovalutato le rivolte dove erano presenti infiltrati, spie e mercenari che hanno armato i ribelli...". 
C'era stato un articolo al mio rientro, è segnato sulle pagine di allora, l'articolo con l'intervista a Faraj, la sua analisi, lucida, obiettiva, onnicomprensiva del dramma come della speranza. Ve n'era ancora.   
Non abbiamo capito nulla. Continuiamo a non capire non volere non potere, forse. E tornano  altre pagine, pagine con elenchi di menzogne sulla guerra "civile"siriana, pagine con elementi infiltrati della Cia, dei Servizi israeliani, di quelli turchi, dei reparti speciali Nato. Pagine che sottolineavano la debolezza dell'Europa, la sua assenza. Si ricordava il tempo della Guerra Fredda, in essa l'ipotesi ventilata da Reagan di destabilizzare paesi europei, si ricordava il 1992 e l'opposizione degli Stati Uniti a che l'Europa avesse un proprio Corpo d'Armata. La proibizione. L'obbedienza. Solo lo scorso anno, mese di gennaio 2013, ci si augurava che la Siria non divenisse una novella Libia, usando il condizionale si diceva che le sorti della Siria sono legate all'Europa, che una Libia siriana sarebbe stata una dichiarazione di guerra alla Russia che, in tal caso, l'Europa sarebbe prima o poi divenuta campo di battaglia essa stessa, in una qualche maniera. Una qualche misura. Lo si pensava, lo si diceva, lo si scriveva allora. E si sottolineava come navi da guerra russe giunte senza alcuna ufficialità, in sordina nel Mediterraneo, avessero in realtà scongiurato un attacco più dichiarato a quella terra di antica civiltà, attacco ancor più invasivo. Allora quando si credeva di poter salvare qualcosa, ancora. 
No, la Siria non è divenuta una novella Libia, no, la Siria in tre anni ha solo superato i 150mila morti, numero in difetto, la Siria ha soltanto superato i 2 milioni di profughi in fuga oltre confine, altrettanti entro i confini, profughi dalle loro case. Numeri in difetto. I siriani sono sparpagliati in ogni dove, i bambini sono la metà in queste cifre, oltre. E giocano, quelli vivi giocano tra immondizie e distruzione quando non muoiono di stenti, che sia fame freddo paura. Quando non impazziscono. No, non abbiamo capito niente. Continuiamo a non capire a non volere, del non potere, qui, tra queste righe ce ne infischiamo. Ce ne infischiamo esattamente come di questo stallo, di questa coda della Seconda Guerra Mondiale che non s'è mai spezzata, non è mai finita. Una guerra che continuiamo a perdere 365 giorni l'anno da sessantanove anni nella nostra italiana assenza di dignità di Stato che in questo caso ci accomuna tutti, tutti i così detti alleati. Alleati in cosa, verso cosa. E ancor più: perché.
La Siria è il Mediterraneo, è la nostra storia. E l'Ucraina è Europa dell'est, che sia o non sia dentro quest'etichetta, lo è per geografia. E la Crimea. E la Russia di cui, con fierezza annoveriamo nella Storia della Letteratura i padri Dostoevskij, Tolstoj accanto al francese Hugo al tedesco Goethe, e ancora e ancora. Il provocato aizzato sobillato tragico gioco siriano è gioco nostro. E si sta mostrando in casa nostra, qui, oltre l'uscio.
Faraj questo lo sa, lui che parla correttamente francese e non è un intellettuale. E Faraj ha raccontato di chi è rimasto in Siria, delle scuole chiuse, degli interi quartieri ridotti in macerie, dell'acqua potabile che spesso non esiste più, dell'assenza di energia elettrica in molte zone, delle malattie infettive che si diffondono, dell'emergenza sanitaria di una sanità distrutta in un paese in cui per tradizione l'assistenza è sovvenzionata dal Governo come in molti paesi musulmani, a differenza dagli Usa in cui, nel XXI secolo, si muore ancora per malattia se non hai abbastanza soldi per pagarti le cure. In barba ad ogni parola di civiltà. Ogni menzogna.
Faraj ha parlato dell'intero crollo economico in un paese che aveva fabbriche d'ogni tipo, aziende d'ogni tipo, in cui fioriva l'artigianato accanto al turismo culturale archeologico e non, in cui il lavoro non mancava, in cui la scuola funzionava in ogni grado dall'Infanzia all'Università. Ha raccontato degli stupri quasi sempre di gruppo, perpetrati da uomini armati che non si sa chi fossero, chi siano, violenze tenute nascoste per paura vergogna dignità. Ha raccontato dei bambini, e la sua voce gli si è incrinata: "Ce qui peut tenir sur les mains des enfants?"ha chiesto. Non ho saputo rispondere. Ha detto che, quando va bene, tra loro si manifestano comportamenti aggressivi, violenti altrimenti non mangiano non parlano non dormono spesso si lasciano morire. Faraj ha raccontato l'inimmaginabile o, peggio, quel che possiamo immaginare. Perfettamente. Che abbiamo già sentito ascoltato visto. Che abbiamo visto in Afghanistan, che pensavamo fosse le colonne d' Ercole oltre cui la fine il nulla, no, non era così. Faraj ha raccontato di più, ha raccontato oltre la catastrofe.
Faraj parlava ed io pensavo alla Giordania al Libano alla Turchia all'Iran all'Iraq e a Gaza, sì profughi siriani anche lì. Il piano è riuscito, pensavo, tanti piccioni con una fava. E pensavo al rifiuto della Svezia alla piccolezza italiana, a quanto quest'Europa sia coinvolta e non voglia esserlo. Faraj parlava ed io pensavo alla diabolica manovra  manifestatasi in quella terra all'alba del 2011 e mai ancora finita. E la vedevo riflessa qui, sull'uscio di casa, perché questo è.
Prima hanno tolto la gioia poi il pane poi la vita. Sì, Farajallah, è così che funziona, così funziona l'espandersi della civiltà di quest'occidente al tramonto: avant qu'ils ne prennent la joie, puis le pain, puis encore la vie... ce qui peut tenir sur les mains des enfants? Questo non lo so, non so a cosa s'aggrapperanno le mani dei bambini, proprio non lo so, amico Faraj.
Marika Guerrini
foto dal web

lunedì 3 marzo 2014

Ucraina: venti di guerra?


... potremmo far partire lo sguardo di ricognizione sul nuovo Great Game che si sta svolgendo nel nostro vicino oriente quasi europeo, da vari episodi e situazioni, ad esempio il colpo di Stato contro Viktor Yanukovic che nel bene o nel male era legittimo presidente per via d'elezione, o dalla Crimea con la sua maggioranza russofona che all'avanzare qualche ora fa, senza sparare un colpo, dei soldati russi, non ha opposto alcuna resistenza anzi, o potremmo partire dal fatto che, da recente indagine governativa americana (Usaid), solo il 40% degli ucraini vuole l'annessione all'Europa, o dal fatto che noi, democrazie europee, plaudiamo alla scarcerazione d'un colpevole fino a prova contraria e alla nomina a presidente ad interim della sua persona di fiducia infischiandocene del potere legislativo di un paese altro, o anche dai 40mila kilometri di gasdotti che coprono l'Ucraina e da cui incassa 3miliardi di dollari l'anno grazie alle tasse di transito Russia-Europa. Si potrebbe andare avanti e dimostrare anche per piazza Maidan, come in passato per piazza Tahrir ed altre, che i ribelli siano stati sobillati, ma siamo noi ora ad infischiarcene di tutte queste cose e cosucce venute a noia, quindi ci limitiamo ad evidenziare due o tre fatti trascurati e lo facciamo a cominciare da una carta geografica, quella del Mar Glaciale Artico. Su questa carta  focalizziamo gli attori, i rispettivi spazi, le distanze, mentre teniamo presente l'Unione Sovietica, il suo tempo, in esso l'importanza strategica, a dir poco fondamentale, dello scenario artico da cui l'ingresso all'Atlantico. 
Era sull'Artico che si attuavano in volo i corsi programmati dei bombardieri strategici, dei missili intercontinentali. Era sull'Artico la Flotta del Nord, la base dei sottomarini missilistici. E le azioni della Flotta, non di rado ritenute attacchi alla Nato durante la Guerra Fredda, erano sull'Artico. E la ventilata, più d'una volta, guerra nucleare aveva lo stesso scenario artico. Poi, riguardanti anche l'Artico, si sono avuti dei cambiamenti con il nuovo assetto internazionale: l'OSK (comandi strategici unificati), il West (distretto militare occidentale) e ovviamente la fine dell'URSS per giungere, distanti dall'Artico ma solo geograficamente, ai recenti teatri di guerra, con i motivi che sappiamo falsi, con le occasioni che sappiamo costruite, con le alleanze più o meno confessate, le simpatie più o meno dichiarate, eccetera eccetera. 
Tenendo presente tutto questo, portiamo ora lo sguardo alla Russia odierna, lì troviamo   un interessante progetto, il progetto di un nuovo USC ( Comando Strategico Unito) basato sulla Flotta del Nord: ricreare una protezione russa nell'Artico. Vale a dire ripristinare le infrastrutture militari quindi rafforzare la Marina Militare nella sua flotta e l'Aeronautica Militare, ovvero fare dell'Artico, come in passato, un efficace organo di controllo che assolva ai compiti militari di allerta, copertura, protezione di basi navali, missilistiche etc., contemporaneamente stando a difesa di eventuali attacchi terroristici contro le infrastrutture petrolifere. Sottintendendo così anche un ruolo di controllo e difesa dell'economia russa nella regione e su chi l'attraversa. Questo progetto, ora nell'intenzione in quanto privo di corpo formale ovvero non ancora fissato su di un documento ufficiale, risulta però assolutamente determinato per una sua imminente attuazione.
Poi lo sguardo viene attratto dall'India, da Nuova Delhi, sede lo scorso febbraio di Defexpo-2014, la fiera degli armamenti di Terra, armamenti Navali militari e dei Sistemi di Sicurezza bellica del territorio. Lì risultano due ambiziosi progetti russo-indiani, uno prevede la costruzione di un FGFA, un caccia della quinta generazione e l'altro la costruzione di un MTA, aereo da trasporto multiruolo. L'interessante è nell'essere i due progetti, assolutamente congiunti sia nella costruzione come nell'effettuarsi della fabbricazione che interesserebbero sia la Russia che l'India e congiunte sarebbero persino le azioni dell'azienda al 50%, con quartier generale a Nuova Delhi. La realizzazione dei progetti avanzerebbe di gran lunga l'Aeronautica Militare dell'India e alzerebbe di gran lunga il livello tecnologico della Russia nonché la competenza dei suoi progettisti. Questo preoccupa chi, nel nostro emisfero,  è malato di espansionismo, per di più ipocrita, infatti non sono tanto i progetti in sé  a preoccupare, quanto lo stretto accordo, quindi rapporto, quindi possibile futura alleanza, che da tempo sta silenziosamente conformandosi, tra due potenze che singolarmente sono militarmente gestibili e unite non lo sarebbero. Chi segue le nostre pagine sa che più d'una volta abbiamo accennato, conoscendo quei popoli, ad un probabile possibile non lontano asse orientale.
Tra l'altro, Vladimir Putin, poco tempo fa ha annunciato la formazione di un'unione doganale con Kazakistan e Bielorussia, due repubbliche ex Unione Sovietica. Questo da attuarsi entro il 2015. A questo va aggiunto che lo scorso novembre, al vertice di Vilnius, l'Ucraina come l'Armenia, aveva deciso di non entrare nell'orbita europea bensì aderire anch'essa all'unione doganale russa, del resto la fornitura di gas russo a prezzi scontati del 30% era già in atto da tempo e lo scorso dicembre, Putin, oltre allo sconto sul gas, aveva sostenuto l'economia ucraina con 15miliardi di dollari in aiuti finanziari. E non dimentichiamo che la Nato ha fatto sua forza di accerchiamento, ché questo è, proprio le ex repubbliche sovietiche indebolite dal passato regime, per questo ancor più sensibili al vecchio bluff del "sogno americano" che hanno così permesso d'essere infestate da basi militari Usa. Non ne siamo forse stracolmi anche noi non ex sovietici? 
E' ben strano che in un mondo fatto di economia, in un paese quale l'Ucraina, non certo incorrotto, vedi la Tymoshenko, il popolo abbia rinunciato spontaneamente a tutto questo per un'illusoria "libertà" europea segnata da un'economia in miseria con un mercato in cui l'agricoltura e l'industria ucraine sarebbero non competitive. Ma ora ci fermiamo qui, attendiamo come tutti lo svolgersi delle azioni, vedremo se si tratterà di venti di guerra. Solo, per non dimenticare, c'è chi invade, occupa distrugge rade al suolo sottoscrive migliaia e migliaia di morti innocenti in nome della "giustizia" della "libertà" del "rispetto dei diritti umani" per non parlare poi della "democrazia" e chi occupa dichiarando "lo faccio per difendere i miei interessi nazionali". E con una chiusa di cui ringraziamo Franco Battiato, mentre ricomponiamo nella mente la melodia, fermiamo le parole:  
"...e il maestro m'insegnò com'è difficile trovare l'alba dentro l'imbrunire...".
Marika Guerrini