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la pagina di occiriente: "Afghanistan: dove gli anticristiani" ha dato luogo, nel lettore, a commenti ed interrogativi per lo più espressi tramite e-mail, quindi privati. Le parole ivi segnate riguardano non solo l'Afghanistan, ma ancor più, la situazione storico-culturale che si sta attraversando relativa al modus essendi delle genti d'occidente e d'oriente, con richiesta di riflessione relativa all'attuale situazione bellica di nord-est che senza alcun dubbio sposa questa stessa ottica. E stavo elaborando una pagina in questo senso quando mi è stato segnalato un articolo il cui titolo " La nuova politica estera della Russia..." mi ha incuriosita. Ho posato la penna ed acceso il computer non priva di una certa diffidenza su quel che avrebbe potuto essere il contenuto, sta di fatto che sono andata al sito* segnalatomi ed ho iniziato a leggere. Ma più mi addentravo nello scorrere delle parole, nel loro significato, più mi si palesava la similitudine con i pensieri che stavo elaborando accingendomi a tracciare una pagina in risposta alle richieste giuntemi. Non solo, ma trovavo nelle parole un senso di verità e di saggezza che mi riportava agli scritti classici della terra russa, di quell'oriente diverso eppur, per certi aspetti dell'anima, simile all'oriente dei miei studi. L'oriente europeo di Tolstoj, Dostoevskij, un oriente celato eppur presente nella sottile, se ben diversa, elaborazione dell'anima dei personaggi dei due grandi scrittori, in cui il senso di verità si associa a quello di saggezza, anch'essa diversa ma presente in entrambe. Ed anche Goethe mi si è affacciato alla mente lungo le parole di Sergej Karaganov autore dello scritto segnalatomi, il Goethe che asserisce:" E' nella verità che alberga la saggezza" elemento presente, con mio piacere, nelle parole di Karaganov, una verità a tutto tondo che andava sempre più svelandosi. A quel punto, condividendo i pensieri dell'autore e la sua analisi, ho deciso di far parlare lo spirito russo che avevo riscontrato nell'articolo, ho ritenuto sacrosanto che fosse lui a parlare di quest'assurda situazione geopolitica non priva di menzogne d'occidente, in realtà dalle parole dello scritto chiaramente traspare, per chi vuol scorgere, il motivo base trattato nella mia pagina citata all'inizio, il diverso modo di vivere la vita e le cose del mondo tra oriente e occidente che la Russia, in quanto spirito russo, è in grado di rappresentare quale connubio evolutivo per l'Umanità. Dopo queste ulteriori riflessioni ho ripreso la penna, segnato queste righe e integralmente riportato lo scritto, o meglio il saggio di Karaganov che troverete a seguire così come alcuni cenni biografici dell'autore. Sarà una lettura non breve, richiederà qualche minuto del vostro tempo, ma sarà lineare nonché scevra da qualsivoglia ideologia e personalismi. Buona lettura.
" La nuova politica estera della Russia, la dottrina Putin"
-Breve saggio di Sergej Karaganov, presidente onorario del Consiglio russo per la politica estera e di difesa e Supervisore accademico presso la School of International Economics and Foreign Affairs Higher School of Economics (HSE) di Mosca.-
" ll confronto di Mosca con la NATO è solo l’inizio. Sembra
che la Russia sia entrata in una nuova era della sua politica estera – una ‘distruzione
costruttiva’, chiamiamola così, del precedente modello di
relazioni con l’Occidente. Parti di questo nuovo modo di pensare sono state
viste negli ultimi 15 anni – a cominciare dal famoso discorso di Monaco
di Vladimir Putin nel 2007 – ma molto sta diventando chiaro
solo ora. Allo stesso tempo, gli sforzi poco brillanti per integrarsi nel
sistema occidentale, pur mantenendo un atteggiamento ostinatamente difensivo,
sono rimasti la tendenza generale nella politica e nella retorica russa. La
distruzione costruttiva non è aggressiva. La Russia sostiene che non attaccherà
e non farà saltare in aria. Semplicemente non è necessario. Il mondo esterno
offre alla Russia sempre più opportunità geopolitiche per lo sviluppo a medio
termine così com’è. Con una grande eccezione. L’espansione della NATO e
l’inclusione formale o informale dell’Ucraina rappresentano un rischio per la
sicurezza del paese che Mosca semplicemente non accetterà.
Per ora, l’Occidente è sulla buona strada per un lento, ma inevitabile
decadimento, sia in termini di affari interni ed esterni che anche di economia. Ed è proprio per questo che ha
dato inizio a questa nuova Guerra Fredda dopo quasi cinquecento anni di dominio
della politica, dell’economia e della cultura mondiale. Soprattutto dopo la sua
vittoria decisiva negli anni ’90 e metà degli anni 2000. Credo che [1] molto probabilmente
l’Occidente perderà, dimettendosi da leader globale e diventando un partner più
ragionevole. Ed è proprio il momento giusto: la Russia dovrà riequilibrare i
rapporti con una Cina amica, ma sempre più potente. Attualmente,
l’Occidente cerca disperatamente di difendersi da questa perdita di leadership
con una retorica aggressiva. Cerca di consolidarsi, giocando le sue ultime
carte vincenti per invertire questa tendenza. Una di queste è che sta cercando
di usare l’Ucraina per danneggiare e neutralizzare la Russia. È importante sia
impedire che questi tentativi convulsi si trasformino in una vera e propria
situazione di stallo, che contrastare le attuali politiche USA e NATO. Sono
controproducenti e pericolose, anche se relativamente poco impegnative per gli
iniziatori. Dobbiamo ancora convincere l’Occidente che sta solo facendo del
male a se stesso.
Un’altra carta
vincente è il ruolo dominante dell’Occidente nel sistema di sicurezza
euro-atlantico esistente, istituito in un momento in cui la Russia era
gravemente indebolita a seguito della Guerra Fredda. C’è del merito nel
cancellare gradualmente questo sistema, principalmente rifiutando di prendervi
parte e di giocare secondo le sue regole obsolete, che per noi sono
intrinsecamente svantaggiose. Per la Russia, la via occidentale dovrebbe
diventare secondaria rispetto alla sua diplomazia eurasiatica. Per la Russia il
mantenimento di relazioni costruttive con i paesi della parte occidentale del
continente può facilitare la sua integrazione nella Grande Eurasia. Il vecchio
sistema però è d’intralcio e quindi dovrebbe essere smantellato.
Il prossimo passo fondamentale per creare un nuovo sistema (oltre a
smantellare quello vecchio) è “unire le terre”. È una necessità per Mosca, non
un capriccio.
Sarebbe bello
se avessimo più tempo per farlo. Ma la storia mostra che, dal crollo dell’URSS
30 anni fa, poche nazioni post-sovietiche sono riuscite a diventare veramente
indipendenti. E alcune potrebbero anche non arrivarci mai, per vari
motivi. Questo è un argomento per un’analisi futura. In questo momento, posso
solo sottolineare l’ovvio: la maggior parte delle élite locali non ha
l’esperienza storica o culturale della costruzione dello stato. Non sono mai
stati in grado di diventare il fulcro della nazione, non hanno avuto abbastanza
tempo per questo. Quando lo spazio intellettuale e culturale condiviso
scompare, questo danneggia di più i piccoli paesi. Le nuove opportunità per
costruire legami con l’Occidente non si sono rivelate sostitutive. Coloro che
si sono trovati al timone di tali nazioni hanno venduto il loro paese a proprio
vantaggio, perché non c’era un’idea nazionale per cui lottare. La maggior
parte di questi paesi seguirà l’esempio degli Stati baltici, accettando il
controllo esterno, o continuerà a perdere il controllo, cosa che in alcuni casi
può essere estremamente pericolosa. La domanda è:
come “unire” le nazioni nel modo più efficiente e vantaggioso per la Russia,
tenendo conto dell’esperienza zarista e sovietica, quando la sfera di influenza
è stata estesa oltre ogni ragionevole limite e poi tenuta insieme a spese del
nucleo dei Popoli russi?
Lasciamo per un
altro giorno la discussione sull’“unificazione” che la storia ci impone. Questa
volta, concentriamoci sulla necessità oggettiva di prendere una decisione
difficile e adottare la politica della “distruzione costruttiva”.
Le pietre miliari che abbiamo superato
Oggi assistiamo all’inizio della quarta era della politica estera russa. La prima è iniziata alla fine
degli anni ’80, ed è stato un periodo di debolezza e delusioni. La nazione
aveva perso la voglia di combattere, la gente voleva credere alla democrazia e
che l’Occidente sarebbe venuto a salvarli. Tutto finì nel 1999 dopo le prime
ondate di espansione della NATO, viste dai russi come una pugnalata alle
spalle, quando l’Occidente fece a pezzi ciò che restava della Jugoslavia. Poi la Russia
ha iniziato a rialzarsi dalla posizione prona e a ricostruire, di nascosto e in
sordina, pur apparendo amichevole e umile. Il ritiro degli Stati Uniti dal
Trattato ABM [trattato Anti Missili Balistici] ha segnalato la sua
intenzione di riconquistare il suo dominio strategico, quindi la Russia ancora
al verde ha preso la decisione fatale di sviluppare sistemi d’arma per sfidare
le aspirazioni americane. Il discorso di Monaco, la guerra georgiana e la
riforma dell’esercito, condotti nel mezzo di una crisi economica globale, che
segnò la fine dell’imperialismo globalista liberale occidentale (termine
coniato da un eminente esperto di affari internazionali, Richard Sakwa),
ha segnato il nuovo obiettivo per la politica estera Russa – per diventare
ancora una volta leader, una potenza mondiale in grado di difendere la propria
sovranità e i propri interessi. A questo sono seguiti gli eventi in
Crimea, Siria, le politiche di riarmo militare e l’aver bloccato la possibilità
dell’Occidente di interferire negli affari interni della Russia, sradicando dal
servizio pubblico coloro che hanno collaborato con l’Occidente a svantaggio
della loro patria, anche mediante un uso magistrale della reazione
dell’Occidente a quegli sviluppi. Man mano che le tensioni continuano a
crescere, guardare all’Occidente e mantenere le risorse lì, diventa sempre meno
redditizio. L’incredibile
ascesa della Cina e l'allearsi di fatto dell'occidente con Pechino a partire dagli anni
2010, il perno verso est, e la crisi multidimensionale che ha avvolto
l’Occidente, hanno portato a un grande cambiamento nell’equilibrio politico e
geoeconomico a favore della Russia. Ciò è particolarmente pronunciato in
Europa. Solo un decennio fa, l’UE vedeva la Russia come una periferia arretrata
e debole del continente, che cercava di fare i conti con le grandi potenze. Ora
sta cercando disperatamente di aggrapparsi all’indipendenza geopolitica e
geoeconomica che le sta scivolando tra le dita.
Il periodo del “ritorno alla grandezza” si è concluso tra
il 2017 e il 2018. Successivamente, la Russia ha raggiunto un punto fermo. La
modernizzazione è continuata, ma l’economia debole ha minacciato di negare i
suoi risultati. Le persone (me compreso) erano frustrate, temendo che la Russia
ancora una volta avrebbe “strappato la sconfitta dalle fauci della
vittoria”. Ma quello si è rivelato essere un altro periodo di crescita,
principalmente in termini di capacità di difesa.
La Russia è andata avanti, assicurandosi che per il prossimo decennio sarà
strategicamente relativamente invulnerabile e capace di “dominare in uno
scenario di escalation” in caso di conflitti nelle regioni all’interno della
sua sfera di interessi.
L’ultimatum che la Russia ha fatto agli Stati Uniti e alla NATO alla fine
del 2021, chiedendo loro di interrompere lo sviluppo di infrastrutture militari
vicino ai confini russi e l’espansione a Est, ha segnato l’inizio della
“distruzione costruttiva”. L’obiettivo non è semplicemente fermare la debole, seppur pericolosissima
inerzia della spinta geostrategica dell’Occidente, ma anche iniziare a gettare
le basi per un nuovo tipo di relazioni tra Russia e Occidente, diverso da
quello degli anni ’90.
Le capacità militari della Russia, il ritorno del senso di rettitudine
morale, le lezioni apprese dagli errori del passato e una stretta alleanza con
la Cina, potrebbero significare che l’Occidente, che ha scelto il ruolo di
avversario, inizierà a essere ragionevole, anche se non sempre. Quindi, tra un decennio o
prima, spero, verrà costruito un nuovo sistema di sicurezza e cooperazione
internazionale che questa volta includerà l’intera Grande Eurasia, e sarà
basato sui principi delle Nazioni Unite e sul diritto internazionale, non
su “regole” unilaterali che l’Occidente ha cercato di imporre al mondo
negli ultimi decenni.
Correggere gli errori
Prima di andare
oltre, lasciatemi dire che ho un’ottima opinione della diplomazia russa: è
stata assolutamente brillante negli ultimi 25 anni. Mosca ha ricevuto una mano
debole, ma è comunque riuscita a giocare un’ottima partita. In primo luogo, non
ha permesso all’Occidente di “finirla”. La Russia ha mantenuto il suo status
formale di grande paese, mantenendo l’appartenenza permanente al Consiglio di
sicurezza delle Nazioni Unite e mantenendo arsenali nucleari. Poi ha gradualmente
migliorato la sua posizione globale facendo leva sui punti deboli dei suoi
rivali e sui punti di forza dei suoi partner. Costruire una forte amicizia con
la Cina è stato un risultato importante. La Russia ha alcuni vantaggi
geopolitici che l’Unione Sovietica non aveva. A meno che, ovviamente, non torni
alle aspirazioni di diventare una superpotenza globale, che alla fine ha
rovinato l’URSS.
Non dobbiamo dimenticare gli errori che abbiamo commesso, per non
ripeterli. Sono state la nostra pigrizia, debolezza e inerzia burocratica che
hanno contribuito a creare e mantenere a galla il sistema ingiusto e instabile
di sicurezza europea che abbiamo oggi.
La Carta di
Parigi per una Nuova Europa, dalla bella formulazione, firmata nel 1990
conteneva una dichiarazione sulla libertà di associazione: i paesi potevano
scegliere i loro alleati, cosa che sarebbe stata impossibile ai sensi della
Dichiarazione di Helsinki del 1975. Poiché a quel punto il Patto di Varsavia
era in fermento, questa clausola significava che la NATO sarebbe stata libera
di espandersi. Questo è il documento a cui tutti continuano a fare riferimento,
anche in Russia. Nel 1990, tuttavia, la NATO poteva almeno essere considerata
un’organizzazione di “difesa”. Da allora l’alleanza e la maggior parte
dei suoi membri hanno lanciato una serie di campagne militari aggressive contro
i resti della Jugoslavia, così come in Iraq e in Libia. Dopo una
chiacchierata a cuore aperto con Lech Walesa nel 1993, Boris
Eltsin firmò un documento in cui affermava che la Russia “aveva
compreso il piano della Polonia di aderire alla NATO”. Quando Andrey
Kozyrev, all’epoca ministro degli Esteri russo, venne a conoscenza dei
piani di espansione della NATO nel 1994, iniziò un processo di trattative per
conto della Russia senza consultare il presidente. L’altra parte lo ha preso
come un segno che la Russia era d’accordo con il concetto generale, dal momento
che stava cercando di negoziare condizioni accettabili. Nel 1995 Mosca ha frenato,
ma era troppo tardi: la diga è crollata e ha spazzato via ogni riserva sugli
sforzi di espansione dell’Occidente. Nel 1997, la
Russia, essendo economicamente debole e completamente dipendente
dall’Occidente, ha firmato l’Atto istitutivo sulle relazioni reciproche, la
cooperazione e la sicurezza con la NATO. Mosca è stata in grado di ottenere
alcune concessioni dall’Occidente, come l’impegno a non schierare grandi unità
militari nei nuovi Stati membri.
La NATO ha costantemente violato questo obbligo. Un altro accordo era di
mantenere questi territori liberi dalle armi nucleari. Gli Stati Uniti non
l’avrebbero comunque voluto, perché avevano cercato di prendere le distanze il
più possibile da un potenziale conflitto nucleare in Europa (malgrado la volontà
dei loro alleati), poiché avrebbe senza dubbio causato un attacco nucleare
contro l’America. In realtà, il documento legittimava l’espansione della
NATO. C’erano altri
errori, non così gravi ma comunque estremamente dolorosi. La Russia ha
partecipato al programma Partnership for Peace, il cui unico scopo
era far sembrare che la NATO fosse pronta ad ascoltare Mosca, ma in realtà
l’alleanza stava usando il progetto per giustificare la sua esistenza e la sua
ulteriore espansione. Un altro passo falso frustrante è stato il nostro
coinvolgimento nel Consiglio NATO-Russia dopo l’aggressione in Jugoslavia. Gli
argomenti discussi a quel livello mancavano disperatamente di
sostanza. Avrebbero dovuto concentrarsi sulla questione veramente
significativa: frenare l’espansione dell’alleanza e la costruzione della sua
infrastruttura militare vicino ai confini russi. Purtroppo, questo non è mai
arrivato all’ordine del giorno. Il Consiglio ha continuato ad operare anche
dopo che la maggior parte dei membri della NATO ha iniziato una guerra in Iraq
e poi in Libia nel 2011.
È davvero un peccato che non abbiamo mai avuto il coraggio di dirlo
apertamente: la NATO era diventata un aggressore che ha commesso numerosi
crimini di guerra. Questa sarebbe stata una verità che fa riflettere in vari circoli politici
in Europa, come ad esempio in Finlandia e Svezia, dove alcuni stanno valutando
i vantaggi di entrare a far parte dell’organizzazione. E tutti gli altri del
resto, con il loro mantra sul fatto che la NATO sia un’alleanza di difesa e
deterrenza che deve essere ulteriormente consolidata in modo da poter resistere
contro nemici immaginari. Capisco quelli
in Occidente che sono abituati al sistema esistente che consente agli americani
di comprare l’obbedienza dei loro partner minori, e non solo in termini di
supporto militare, mentre questi alleati possono risparmiare sulle spese di
sicurezza vendendo parte della loro sovranità. Ma noi, cosa ci guadagniamo da
questo sistema? Soprattutto ora, che è diventato ovvio che genera e intensifica
il confronto ai nostri confini occidentali e nel mondo intero.
La NATO si alimenta di scontri forzati, e più a lungo esiste
l’organizzazione, peggiore sarà questo confronto.
Il blocco è una minaccia anche per i suoi membri. Pur provocando il
confronto, in realtà non garantisce protezione. Non è vero che l’articolo 5 del
Trattato del Nord Atlantico giustifichi la difesa collettiva se un alleato
viene attaccato. Questo articolo non dice che questo è automaticamente
garantito. Conosco la storia del blocco e le discussioni in America riguardo
alla sua istituzione. So per certo che gli Stati Uniti non dispiegheranno mai
armi nucleari per “proteggere” i loro alleati in caso di conflitto con
uno stato nucleare.
Anche l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OCSE)
è obsoleta. È dominata dalla NATO e dall’UE che utilizzano l’organizzazione per tirare
per le lunghe il confronto e imporre i valori e gli standard politici
dell’Occidente a tutti gli altri. Fortunatamente, questa politica sta
diventando sempre meno efficace. A metà degli anni 2010 ho avuto la possibilità
di lavorare con il Gruppo di eminenti personalità dell’OCSE (che nome!), che
avrebbe dovuto sviluppare un nuovo mandato per l’organizzazione. E se prima
avevo i miei dubbi sull’efficacia dell’OCSE, questa esperienza mi ha convinto
che si tratta di un’istituzione estremamente distruttiva. È
un’organizzazione antiquata con la missione di preservare cose che sono
obsolete. Negli anni ’90 è servita come strumento per seppellire qualsiasi
tentativo compiuto dalla Russia o da altri per creare un sistema di sicurezza
europeo comune; negli anni 2000, il cosiddetto Processo di Corfù ha impantanato
la nuova iniziativa di sicurezza della Russia. Praticamente
tutte le istituzioni delle Nazioni Unite sono state espulse dal continente,
compresa la Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite, il suo
Consiglio per i diritti umani e il Consiglio di sicurezza. Un tempo l’OCSE era
considerata un’organizzazione utile, che avrebbe promosso il sistema e i
principi delle Nazioni Unite in un subcontinente chiave. Non è successo.
Per quanto riguarda la NATO, è molto chiaro cosa dobbiamo fare. Dobbiamo
minare la legittimità morale e politica del blocco e rifiutare qualsiasi
partnership istituzionale, poiché la sua controproduttività è evidente. Solo i militari dovrebbero
continuare a comunicare, ma come canale ausiliario che integri il dialogo con
il DOD [Department of Defense degli USA] e i ministeri della
difesa delle principali nazioni europee. Dopotutto, non è Bruxelles a prendere
decisioni strategicamente importanti. La stessa
politica potrebbe essere adottata quando si tratta dell’OCSE. Sì, c’è una
differenza, perché anche se questa è un’organizzazione distruttiva, non ha mai
avviato guerre, destabilizzazioni o uccisioni. Quindi dobbiamo ridurre al
minimo il nostro coinvolgimento in questo formato. Alcuni dicono che questo è
l’unico contesto che offre al ministro degli Esteri russo la possibilità di
vedere i suoi omologhi. Questo non è vero. L’ONU può offrire un contesto
ancora migliore. I colloqui bilaterali sono comunque molto più efficaci, perché
è più facile per il blocco dirottare l’agenda quando c’è una folla. Anche
l’invio di osservatori e forze di pace attraverso le Nazioni Unite avrebbe
molto più senso.
Il formato
limitato di un articolo, non mi consente di soffermarmi su politiche specifiche
per ciascuna organizzazione europea, come ad esempio il Consiglio
d’Europa. Ma definirei il principio generale in questo modo:
collaboriamo dove vediamo vantaggi per noi stessi, altrimenti manteniamo le
distanze. Trent’anni dell’attuale sistema delle istituzioni europee hanno dimostrato
che continuare con esso sarebbe stato dannoso. La Russia non beneficia in alcun modo della
disposizione dell’Europa verso l’escalation del confronto, fino a rappresentare
una minaccia militare per il subcontinente e il mondo intero. In passato,
potevamo sognare che l’Europa ci avrebbe aiutato a rafforzare la sicurezza,
nonché nella modernizzazione politica ed economica. Invece, stanno minando la
sicurezza, quindi, perché dovremmo copiare il sistema politico
disfunzionale e in deterioramento dell’Occidente? Abbiamo davvero bisogno
di questi nuovi valori che hanno adottato? Dovremo
limitare l’espansione rifiutando di cooperare all’interno di un sistema in
erosione. Ci auguriamo che, prendendo una posizione ferma e lasciando i nostri
vicini della civiltà dell’Occidente a se stessi, li aiuteremo davvero. Le élite
potrebbero tornare a una politica meno suicida, che sarebbe più sicura per
tutti. Ovviamente, dobbiamo essere intelligenti nel toglierci dall’equazione e
assicurarci di ridurre al minimo i danni collaterali che inevitabilmente il
sistema fallimentare causerà. Ma mantenerlo nella sua forma attuale è
semplicemente pericoloso.
Politiche per la Russia di domani
Mentre l’ordine
globale esistente continua a sgretolarsi, sembra che la via più prudente per la
Russia sarebbe quella di restare fuori il più a lungo possibile – mettersi al
riparo tra le mura della sua “fortezza neo-isolazionista” e
occuparsi di questioni interne. Ma questa volta, la storia ci chiede di
agire. Molti dei miei suggerimenti riguardo all’approccio di politica
estera, che ho chiamato provvisoriamente “distruzione costruttiva”,
emergono naturalmente dall’analisi presentata sopra. Non c’è bisogno
di interferire o cercare di influenzare le dinamiche interne dell’Occidente, le
cui élite sono abbastanza disperate da iniziare una nuova guerra fredda contro
la Russia. Quello che invece dovremmo fare è utilizzare vari strumenti di
politica estera, compresi quelli militari, per stabilire alcune linee
rosse. Nel frattempo, mentre il sistema occidentale continua a
orientarsi verso il degrado morale, politico ed economico, le potenze non
occidentali (con la Russia come attore principale) vedranno inevitabilmente
rafforzarsi le loro posizioni geopolitiche, geoeconomiche e
geoideologiche.
I nostri
partner occidentali, prevedibilmente, cercano di soffocare le richieste della
Russia di garanzie di sicurezza e di sfruttare il processo diplomatico in corso
per prolungare la durata delle proprie istituzioni. Non c’è bisogno di
rinunciare al dialogo o alla cooperazione in materia di commercio, politica, cultura,
istruzione e sanità, ogniqualvolta sia utile. Ma dobbiamo anche usare il tempo
che abbiamo per aumentare la pressione politico-militare, psicologica e persino
tecnico-militare – non tanto sull’Ucraina, il cui popolo è stato trasformato in
carne da cannone per una nuova Guerra Fredda – ma sull’Occidente collettivo,
per costringerlo a cambiare idea e a fare un passo indietro rispetto alle
politiche che ha perseguito negli ultimi decenni. Non c’è nulla da temere per
l’escalation del confronto: abbiamo visto crescere le tensioni anche mentre la
Russia cercava di placare il mondo occidentale. Quello che dovremmo fare è
prepararci a un più forte respingimento da parte dell’Occidente; inoltre, la
Russia dovrebbe essere in grado di offrire al mondo un’alternativa a lungo
termine: un nuovo quadro politico basato sulla pace e sulla cooperazione.
L’Occidente può tentare di intimidirci con sanzioni devastanti, ma anche
noi siamo in grado di scoraggiare l’Occidente con la nostra minaccia di una
risposta asimmetrica, che paralizzerebbe le economie occidentali e
sconvolgerebbe intere società.
Naturalmente, è
utile ricordare di tanto in tanto ai nostri partner che esiste un’alternativa
reciprocamente vantaggiosa a tutto ciò. Se la Russia
metterà in atto politiche ragionevoli ma decise (anche a livello nazionale),
supererà con successo (e in modo relativamente pacifico) l’ultima ondata di
ostilità occidentale. Come ho scritto prima, abbiamo buone possibilità di
vincere questa Guerra Fredda. Ciò che ispira
l’ottimismo è anche il passato della Russia: siamo riusciti più di una volta a
domare le ambizioni imperiali delle potenze straniere – per il nostro bene e
per il bene dell’umanità nel suo insieme. La Russia è stata in grado di
trasformare aspiranti imperi in vicini addomesticati e relativamente innocui:
la Svezia dopo la battaglia di Poltava, la Francia dopo Borodino, la Germania
dopo Stalingrado e Berlino.
Possiamo
trovare uno slogan per la nuova politica russa nei confronti dell’Occidente in
un verso di “Gli Sciti” di Alexander Blok, una poesia
brillante che sembra particolarmente attuale oggi:
“Vieni con noi, allora! Lascia la guerra e gli allarmi della guerra, / E
afferra la mano della pace e dell’amicizia. / Finché c’è ancora tempo,
compagni, abbassate le braccia! / Uniamoci in vera fraternità!”
Nel tentativo
di sanare le nostre relazioni con l’Occidente (anche se ciò richiede una
medicina amara), dobbiamo ricordare che, sebbene culturalmente vicino a noi, il
mondo occidentale sta finendo il tempo – da due decenni. È essenzialmente in
modalità di controllo dei danni, cercando la cooperazione quando possibile. Le
vere prospettive e sfide del nostro presente e futuro risiedono nell’Est e nel
Sud. Prendere una linea più dura con le nazioni occidentali non deve distrarre
la Russia dal mantenere il suo perno verso Est. E abbiamo visto rallentare
questo perno negli ultimi due o tre anni, specialmente quando si tratta di
sviluppare territori al di là dei Monti Urali.
Non dobbiamo permettere che l’Ucraina diventi una minaccia alla sicurezza
della Russia. Detto questo, sarebbe controproducente spendervi troppe risorse
amministrative e politiche (per non dire economiche). La Russia deve imparare a
gestire attivamente questa situazione instabile, a mantenerla entro i limiti. La
maggior parte dell’Ucraina è stata sterilizzata dalla propria élite
antinazionale, corrotta dall’Occidente e infettata dal patogeno del
nazionalismo militante.
Sarebbe molto
più efficace investire in Oriente, nello sviluppo della Siberia. Creando condizioni
di lavoro e di vita favorevoli, attireremo non solo cittadini russi, ma anche
persone provenienti da altre parti dell’ex impero russo, compresi gli
ucraini. Questi ultimi, storicamente, hanno contribuito moltissimo allo
sviluppo della Siberia. Consentitemi di
ribadire un punto dei miei altri articoli: è stata l’incorporazione della
Siberia sotto Ivan il Terribile che ha reso la Russia una
grande potenza, non l’adesione dell’Ucraina sotto Aleksey Mikhaylovich,
noto con il soprannome di “il più pacifico”. È giunto il
momento di smetterla di ripetere l’affermazione falsa e così sorprendentemente
polacca di Zbigniew Brzezinski secondo cui la Russia non può
essere una grande potenza senza l’Ucraina. Il contrario è molto più vicino alla
verità: la Russia non può essere una grande potenza quando è gravata da
un’Ucraina sempre più ingombrante, un’entità politica creata da Lenin che
in seguito si espanse verso Ovest sotto Stalin.
Il percorso più promettente per la Russia è lo sviluppo e il rafforzamento
dei legami con la Cina. Una partnership con Pechino moltiplicherà molte volte il potenziale di
entrambi i paesi. Se l’Occidente continua con le sue politiche amaramente
ostili, non sarebbe irragionevole considerare un’alleanza temporanea di difesa
di cinque anni con la Cina. Naturalmente bisogna anche stare attenti a non
avere le ‘vertigini del successo’ sulla via cinese, per non tornare al modello
medievale del Regno di Mezzo della Cina, cresciuto trasformando i suoi vicini
in vassalli. Dovremmo aiutare Pechino in ogni modo possibile per evitare che
subisca una sconfitta anche momentanea nella nuova Guerra Fredda scatenata
dall’Occidente. Quella sconfitta indebolirebbe anche noi. Inoltre, sappiamo
fin troppo bene in cosa si trasforma l’Occidente quando pensa di vincere.
Chiaramente,
una politica orientata verso Est non deve concentrarsi esclusivamente sulla
Cina. Sia l’Est che il Sud sono in aumento nella politica, nell’economia e
nella cultura globali, il che è in parte dovuto al nostro indebolimento della
superiorità militare dell’Occidente, la fonte primaria dei suoi 500 anni di
egemonia. Quando arriverà
il momento di stabilire un nuovo sistema di sicurezza europeo che sostituisca
quello esistente pericolosamente obsoleto, lo si dovrà fare nel quadro di un
più grande progetto eurasiatico. Nulla di utile può nascere dal vecchio sistema
euro-atlantico. È evidente che
il successo richiede lo sviluppo e la modernizzazione del potenziale economico,
tecnologico e scientifico del paese, tutti pilastri della potenza militare di
un paese, che rimane la spina dorsale della sovranità e della sicurezza di
qualsiasi nazione. La Russia non può avere successo senza migliorare la
qualità della vita per la maggior parte della sua popolazione: questo include
prosperità generale, assistenza sanitaria, istruzione e ambiente.
La restrizione
delle libertà politiche, inevitabile di fronte all’Occidente collettivo, non
deve in alcun modo estendersi alla sfera intellettuale. Questo è difficile, ma
realizzabile. Per la parte della popolazione talentuosa e creativa che è pronta
a servire il proprio paese, dobbiamo preservare quanta più libertà
intellettuale possibile. Lo sviluppo scientifico attraverso le “sharashka” in
stile sovietico (laboratori di ricerca e sviluppo che operavano all’interno del
sistema dei campi di lavoro sovietici) non è qualcosa che funzionerebbe nel
mondo moderno. La libertà accresce i talenti del popolo russo e l’inventiva
scorre nel nostro sangue. Anche in politica estera, la libertà dai vincoli
ideologici di cui godiamo ci offre enormi vantaggi rispetto ai nostri vicini
più chiusi. La storia ci insegna che la brutale restrizione della
libertà di pensiero, imposta dal regime comunista al suo popolo, ha portato
l’Unione Sovietica alla rovina. La conservazione della libertà personale è una
condizione essenziale per lo sviluppo di qualsiasi nazione.
Se vogliamo crescere come società ed essere vittoriosi, è assolutamente
vitale che sviluppiamo una spina dorsale spirituale: un’idea nazionale,
un’ideologia che unisca e illumini la strada da seguire. È una verità fondamentale che le
grandi nazioni non possono essere veramente grandi senza una tale idea al
centro. Questo fa parte della tragedia che ci è accaduta negli anni ’70 e
’80. Si spera che la resistenza delle élite dominanti al progresso di una nuova
ideologia, radicata nei dolori dell’era comunista, stia cominciando a
svanire. Il discorso di Vladimir Putin alla riunione annuale
dell’ottobre 2021 del Valdai Discussion Club è stato un potente segnale
rassicurante al riguardo.
Come il numero
sempre crescente di filosofi e autori russi, ho avanzato la mia visione dell’“idea
russa”. (Mi scuso per aver
dovuto fare nuovamente riferimento alle mie pubblicazioni: è un inevitabile
effetto collaterale di dover attenersi al formato).
Domande per il futuro
E ora
discutiamo di un aspetto significativo, ma per lo più trascurato, della nuova
politica che deve essere affrontato. Dobbiamo respingere e riformare il
fondamento ideologico obsoleto e spesso dannoso delle nostre scienze sociali e
della vita pubblica, affinché questa nuova politica venga attuata e possa avere
una possibilità di successo. Questo non
significa che dobbiamo respingere ancora una volta i progressi nelle scienze
politiche, nell’economia e negli affari esteri dei nostri predecessori. I
bolscevichi hanno cercato di scaricare le idee sociali della Russia zarista –
tutti sanno come è andata a finire. Abbiamo rifiutato il marxismo e ne siamo
stati felici. Ora, stufi di altri principi, ci rendiamo conto che eravamo
troppo impazienti. Marx, Engels e Lenin avevano idee solide nella
loro teoria dell’imperialismo che potremmo usare. Le scienze
sociali, che studiano i modi della vita pubblica e privata, devono tener conto
del contesto nazionale, per quanto inclusivo voglia apparire. Deriva dalla
storia nazionale e, in definitiva, ha lo scopo di aiutare le nazioni, il loro
governo e le élite. L’applicazione insensata di soluzioni valide in un paese ad
un altro, sono inutili e creano solo abomini.
Dobbiamo iniziare a lavorare per l’indipendenza intellettuale dopo aver
raggiunto la sicurezza militare e la sovranità politica ed economica. Nel nuovo mondo, è obbligatorio
raggiungere lo sviluppo ed esercitare influenza. Mikhail Remizov,
un importante politologo russo, è stato il primo, per quanto ne so, a chiamare
questa “decolonizzazione intellettuale”.
Dopo aver
trascorso decenni all’ombra del marxismo importato, abbiamo iniziato una
transizione verso un’altra ideologia straniera di democrazia liberale
nell’economia e nelle scienze politiche e, in una certa misura, anche nella
politica estera e nella difesa. Questo fascino non ci ha fatto bene: abbiamo
perso terra, tecnologia e persone. A metà degli anni 2000, abbiamo iniziato ad
esercitare la nostra sovranità, ma abbiamo dovuto fare affidamento sui nostri
istinti piuttosto che su chiari principi scientifici e ideologici nazionali (di
nuovo – non può essere altro).
Non abbiamo ancora il coraggio di riconoscere che la visione del mondo
scientifica e ideologica che abbiamo avuto negli ultimi quaranta-cinquant’anni
è obsoleta, era destinata a servire le élite straniere.
Per illustrare
questo punto, ecco alcune domande scelte a caso dalla mia lunghissima
lista. Inizierò con
questioni esistenziali, puramente filosofiche.
Cosa viene prima negli esseri umani, lo spirito o la materia?
E nel senso politico più banale, cosa guida le persone e gli stati nel mondo
moderno? Per i comunisti
marxisti e liberali, la risposta è l’economia. Ricordiamo bene che fino a poco
tempo fa il famoso “È l’economia, bellezza” di Bill
Clinton, si pensava fosse un assioma. Ma le persone cercano qualcosa di più
grande quando il bisogno fondamentale di cibo è soddisfatto. Amore per la loro famiglia, la loro patria, desiderio di dignità nazionale,
libertà personali, potere e fama. La gerarchia dei bisogni ci è ben nota da quando Maslow la
introdusse negli anni ’40 e ’50 nella sua famosa piramide. Il capitalismo
moderno, tuttavia, lo ha distorto, costringendo il consumo in continua
espansione attraverso i media tradizionali all’inizio e le reti digitali
onnicomprensive in seguito, per ricchi e poveri, ciascuno secondo le proprie
capacità. Cosa possiamo
fare quando il capitalismo moderno, privato di fondamenti morali o religiosi,
incita al consumo illimitato, abbattendo i confini morali e geografici ed entra
in conflitto con la natura, minacciando l’esistenza stessa della nostra
specie? Noi russi capiamo meglio di chiunque altro che tentare di
sbarazzarsi di imprenditori e capitalisti spinti dal desiderio di costruire
ricchezza, avrà conseguenze disastrose per la società e l’ambiente (il
modello di economia socialista non era esattamente rispettoso
dell’ambiente).
Cosa fare con gli ultimi valori del rifiuto della storia, della patria, del
genere e delle convinzioni, così come dei movimenti LGBT aggressivi e
ultrafemministi? Rispetto il diritto di seguirli, ma penso che siano post-umanisti. Dovremmo
trattare questo solo come un altro stadio dell’evoluzione sociale? Non
credo. Dovremmo cercare di scongiurarlo, limitarne la diffusione e aspettare
che la società sopravviva a questa epidemia morale? O dovremmo combatterlo
attivamente, guidando la maggioranza dell’umanità che aderisce ai cosiddetti
valori “conservatori” o, per dirla semplicemente, ai normali valori
umani? Dovremmo entrare nella lotta intensificando un confronto già pericoloso
con le élite occidentali? Lo sviluppo
tecnologico e l’aumento della produttività del lavoro hanno contribuito a
sfamare la maggior parte delle persone, ma il mondo stesso è scivolato
nell’anarchia e molti principi guida sono andati perduti a livello globale. I
problemi della sicurezza, forse, stanno nuovamente prevalendo sull’economia.
Gli strumenti militari e la volontà politica potrebbero prendere il comando
d’ora in poi. Che cos’è la
deterrenza militare nel mondo moderno? È una minaccia causare danni alle
risorse nazionali e individuali o alle risorse estere e alle infrastrutture
dell’informazione a cui le élite occidentali di oggi sono così strettamente
legate? Che ne sarà del mondo occidentale se questa infrastruttura verrà
demolita? E una domanda
correlata: qual è la parità strategica di cui parliamo ancora oggi? È una
sciocchezza straniera scelta dai leader sovietici che hanno risucchiato il loro
popolo in una corsa agli armamenti estenuante, a causa del loro complesso di
inferiorità e della sindrome del 22 giugno 1941? Sembra che stiamo già
rispondendo a questa domanda, anche se continuiamo a sfornare discorsi
sull’uguaglianza e sulle misure simmetriche. E qual è questo
controllo degli armamenti che molti ritengono strumentale? È un tentativo di
frenare la costosa corsa agli armamenti vantaggiosa per l’economia più ricca,
di limitare il rischio di ostilità o qualcosa di più: uno strumento per
legittimare la corsa, lo sviluppo delle armi e il processo di programmi non
necessari sul tuo avversario? Non c’è una risposta ovvia a questo. Ma torniamo
alle domande più esistenziali. La democrazia è
davvero l’apice dello sviluppo politico? O è solo un altro strumento che aiuta
le élite a controllare la società, se non stiamo parlando della pura democrazia
di Aristotele (che ha anche alcuni limiti)? Ci sono molti
strumenti che vanno e vengono man mano che la società e le condizioni
cambiano. A volte li abbandoniamo solo per riportarli indietro quando è il
momento giusto e c’è una richiesta esterna e interna. Non sto chiedendo un
autoritarismo illimitato o una monarchia. Penso che abbiamo già esagerato con
la centralizzazione, soprattutto a livello di governo municipale. Ma se questo
è solo uno strumento, non dovremmo smettere di fingere di lottare per la
democrazia e metterlo in chiaro: vogliamo le libertà personali, una società
prospera, la sicurezza e la dignità nazionale? Ma come giustifichiamo il potere
al popolo allora?
Lo Stato è
davvero destinato a morire, come credevano i marxisti e i globalisti liberali,
che sognano alleanze tra corporazioni transnazionali, ONG internazionali (entrambe
sono state nazionalizzate e privatizzate) e organismi politici
sovranazionali? Vedremo per quanto tempo l’UE potrà sopravvivere nella sua
forma attuale. Si noti che non voglio dire che non c’è motivo di unire gli
sforzi nazionali per il bene superiore, come l’abbattimento di costose barriere
doganali o l’introduzione di politiche ambientali congiunte. O non è meglio
concentrarsi sullo sviluppo del proprio stato e sul sostegno dei vicini,
ignorando i problemi globali creati da altri? Non ci daranno fastidio se ci
comportiamo in questo modo? Qual è il ruolo
della terra e dei territori? È una risorsa in diminuzione, un peso come si
credeva solo di recente tra gli scienziati politici? O il più grande tesoro
nazionale, soprattutto di fronte alla crisi ambientale, ai cambiamenti
climatici, al crescente deficit di acqua e cibo in alcune regioni e alla totale
mancanza in altre? Cosa dovremmo
fare allora con centinaia di milioni di pakistani, indiani, arabi e altri le
cui terre potrebbero presto essere inabitabili? Dovremmo invitarli ora come
hanno iniziato a fare gli Stati Uniti e l’Europa negli anni ’60, attirando i
migranti per abbassare il costo del lavoro locale e minare i sindacati? O
dovremmo prepararci a difendere i nostri territori dagli estranei? In tal caso,
dovremmo abbandonare ogni speranza di sviluppare la democrazia, come mostra
l’esperienza di Israele con la sua popolazione araba. Lo sviluppo
della robotica, che è attualmente in uno stato pietoso, aiuterebbe a compensare
la mancanza di forza lavoro e a rendere nuovamente vivibili quei
territori? Qual è il ruolo degli indigeni russi nel nostro paese, considerando
che il loro numero continuerà inevitabilmente a ridursi? Dato che i russi sono
stati storicamente un popolo aperto, le prospettive potrebbero essere
ottimistiche. Ma finora non è chiaro.
Posso andare
avanti all’infinito, soprattutto quando si tratta di economia. Queste domande
devono essere poste ed è fondamentale trovare risposte il prima possibile per
crescere ed uscirne vincitori. La Russia ha bisogno di una nuova economia
politica, libera dai dogmi marxisti e liberali, ma qualcosa di più dell’attuale
pragmatismo su cui si basa la nostra politica estera. Deve includere un
idealismo orientato al futuro, una nuova ideologia russa che incorpori la
nostra storia e le nostre tradizioni filosofiche. Questo fa eco alle idee
avanzate dall’accademico Pavel Tsygankov .
Credo che
questo sia l’obiettivo finale di tutte le nostre ricerche in materia di affari
esteri, scienze politiche, economia e filosofia. Questo compito è più che
difficile. Possiamo continuare a contribuire alla nostra società e al nostro
paese solo rompendo i nostri vecchi schemi di pensiero. Ma per concludere
con una nota ottimistica, ecco un pensiero umoristico: non è tempo di
riconoscere che l’argomento dei nostri studi – affari esteri, politiche interne
ed economia – è il risultato di un processo creativo che coinvolge masse e
leader allo stesso modo?
Riconoscere che è, in un certo senso, arte? In larga misura, sfida ogni
spiegazione e deriva dall’intuizione e dal talento. E quindi siamo come esperti
d’arte: ne parliamo, individuiamo tendenze e insegniamo agli artisti – alle
masse e ai leader – la storia, che è loro utile. Spesso ci perdiamo nel
teorico, però, inventando idee avulse dalla realtà o distorcendola
concentrandoci su frammenti separati. A volte
facciamo la storia: pensate a Evgeny Primakov o a Henry
Kissinger. Ma direi che non gli importava quali approcci di questa storia
dell’arte rappresentassero. Hanno attinto alla loro conoscenza, esperienza
personale, principi morali e intuizione. Mi piace l’idea di essere una specie
di esperti d’arte e credo che possa rendere un po’ più facile lo scoraggiante
compito di rivedere i dogmi "
Si ringrazia il Professor Sergej Karaganov per il bel saggio, la rivista on line Russia in Global Affairs che lo ha pubblicato per la prima volta in assoluto e il sito Libero Pensare per averlo reso pubblico in Italia.
Marika Guerrini
Note
* https://liberopensare.com/la-nuova-politica-estera-della-russia-la-dottrina-putin/
Traduzione dell'articolo di Diana Albanelli per Libero Pensare
immagine : Andrej Rublev (1360-1430), La Trinità, icona . Monastero del Salvatore- Mosca