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lettore
A presto
Marika Guerrini
...pagine sparse. Pensieri. Idee. Riflessioni. Pagine di scrittore. Fogli strappati a taccuini. Segnati a pennino. Ad inchiostro. Pagine digitate poi. Dopo. E parole scorreranno in esse... Pagine da condividere. Pagine oltre...
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lettore
A presto
Marika Guerrini
Il colore nero non appartiene all'Afghanistan. Gli giunge da ovest, dal suo vicino occidente. Il colore nero troneggia nei paesi costieri del Golfo, del Mare Arabico.
Al tempo del mio primo incontro con quella terra, dopo aver lasciato la corriera che mi aveva portato ad Héràt, nella mia prima passeggiata verso la piazza della Masjid-i-Jāmi', la grande moschea, quel che mi venne incontro furono colori, furono le ampie gonne multicolori delle donne, i loro veli, colorati anch'essi, i volti fieri dallo sguardo sorridente, intelligente, e furono i burqa, sì, anche i burqa, che vedevo per la prima volta, quei burqa azzurri che, pur celando il volto dietro il ricamo d'una rete, le facevano regine. Per via della postura eretta, del passo calcante la terra. Sono vent'anni che non vedo più quel passo, né la postura eretta, se non di rado. No, il nero non appartiene all'Afghanistan.
Il colore nero è arabo, di quell'Islam che invase quella terra oltre un millennio fa, ma non l'assoggettò mai. Il nero oggi viene a camuffare il perpetrarsi d'una menzogna, usata per invadere, conquistare, annientare una terra strategica ad uso geopolitico, una terra ricca d'ogni preziosa risorsa. Terra un tempo guerriera e fiera come le sue donne. Le stesse donne che l'occidente ha mostrato sempre e comunque in veli integrali, ora per di più neri. E' così che le vogliamo raccontare, velate da un Islam a loro estraneo fino a poco fa, storicamente pensando. Un Islam che, anche nei periodi bui della storia afghana, sempre presenti nella storia d'ogni Paese, non le aveva mai rese schiave, anche perché, non mi stancherò di ripeterlo, il burqa, pur se colorato, è sempre, da sempre, stato indossato dalle donne di etnia pashtun, soltanto, etnia di credo sunnita, la stessa a cui appartengono i taliban, originali o mercenari che siano.
"I taliban non sono musulmani" nell'urlo di quella giovane donna dal volto scoperto, la verità. Lei ha inteso dire: non sono del credo islamico da noi conosciuto, osservato, non sono afghani. A completare il suo pensiero si può dire: se pur alcuni dovessero esserlo, sono traditori al soldo di chi li ha voluti lì negli anni '90, poi ancor dopo ed ancor oggi, a proseguire la distruzione di quel paese per i motivi geopolitici sopra accennati, non certo per la sbandierata civiltà prima, religione islamica ora. Due aspetti della stessa falsa medaglia.
A questo punto, la chiosa della pagina vuole tornare al femminile, al velo. Qualcuno giorni fa, a tal proposito mi ha chiesto: dovrebbe essere abolito?, No, ho risposto, decideranno loro, le donne afghane il momento opportuno, so che lo faranno, così come l'abbiamo fatto noi, donne mediterranee, luogo d'origine del velo femminile, sin dall'età classica, quando, nell'antica Roma, il velo indossato a coprire il capo delle donne, era simbolo di aristocrazia, quindi vietato alle schiave, mentre in medio Oriente e India, simbolo di rispetto verso il sacro. Poi lo scorrere del tempo, la trasformazione, la nostra cristianità mantiene il significato di rispetto verso il sacro nello svolgersi della liturgia, il senso è lo stesso per via della sommità del capo, punto ritenuto, da alcune religioni, di incontro con le forze superiori alla terra. Da qui la tradizione, il costume. Poi ancora il tempo e l'ulteriore trasformazione.
L'occidente farebbe bene a farsi da parte, riflettere sul proprio tramonto. Ce lo indicano al femminile le donne afghane, che, e non nutro alcun dubbio, sono fondamentalmente più libere delle occidentali, queste ultime, malgrado l'apparenza, in gran parte, hanno perso il concetto di Donna con la D maiuscola, per farsi imitazione dell'essere maschile. Un fac-simile. Dimenticando la loro superiorità in molti campi della vita interiore ed esteriore. Le donne afghane, quando non inquinate da noi occidentali, ne sono consapevoli, per questo ce la faranno se le lasceremo libere di essere se stesse. Di camminare incontro alla loro trasformazione. Se lo vorranno. Quando.
Marika Guerrini
immagine -vedi prima parte-
" i taliban non sono musulmani", questo l'urlo emesso a scomporre le labbra di un giovane volto di donna dai tratti sottili, incorniciati in un hijab d'un chiaro color pastello. Mentre fiamme proiettavano gli occhi e gesti di braccia accompagnavano rafforzando il suo urlo al mondo.
Ho udito quell'urlo, l'ho accolto, l'ho fatto risuonare zittendo in me ogni pensiero, ogni moto dell'animo, ed è allora che, immediato, m'è parso dicesse: ancora non avete capito? Poi sono andata avanti. Con il pensiero. Con l'animo.
Ad un giorno, forse due, non importa, un'altra immagine dallo schermo. E poiché la storia, nel farsi cronaca, oggi più che mai, spesso perde la sua purezza, l'obiettività, per vestirsi di menzogna, ecco la nuova immagine riportare una macchia nera, informe, come composta da corpi femminili in movimento. Corpi nascosti in tanti arabi niqab. Niqab che il narratore erroneamente chiamava burqa, ma che burqa non erano.
Una macchia nera che calpestava lo stesso suolo afghano della giovane donna dagli occhi fiammeggianti come di guerriero. Quella stessa terra afghana tornata agli onori della cronaca quotidiana, dopo vent'anni di sporadica presenza.
Donne in contrasto, si direbbe, ma non sarebbe la verità. Mondi in contrasto, questa la verità. (fine prima parte).
Marika Guerrini
immagine
scatto di Barat Alì Batoor (collezione privata)
... la pagina che segue riporta, in parte, un'altra mia pagina, quella del 5 giugno 2021, ascoltiamone uno stralcio:
"...L'ha fatto George W. Bush nell'ottobre 2001, prima di J. Biden, quando tronò al mondo: Andiamo a civilizzare i barbari, e presero a bombardare l'Afghanistan, ora Biden, novello Presidente d'oltre oceano, con altrettanta enfasi, urla la retorica della: Missione compiuta, indicando il ritiro delle truppe dal Paese orientale.
Ma il vaso è colmo e vuole straripare tutte le menzogne di quell'estremo occidente figlio d'Inghilterra che di barbarie se ne intende, non avendo mai elaborato la propria.
Vanno via le truppe, Nato, Coalizione Internazionale. E cosa hanno fatto in vent'anni se non portare distruzione e morte?
Il Grande Gioco afghano non si è mai fermato, neppure ora. Ora più che mai.
L'Afghanistan è distrutto, questa la verità. Si è mentito su tutto, si è sempre deviata l'attenzione su quel che si voleva consolidare in sordina, perché esplodesse al momento opportuno a motivare la presenza straniera e l'azione bellica di "aiuto" al popolo afghano contro il "terrorismo". Al-Qaeda, Taliban, Daesh, non fa differenza. Anzi la fa, i Taliban, voluti, costruiti ed armati dagli Stati Uniti nelle madrasse pakistane degli anni '90, non sono più quelli dell'inizio, ma mujaheddin, ovvero difensori della sovranità del paese. Il come riguarda la tradizione dell'Afghanistan, la sua propria storia e la sua sovranità da riconquistare. Ma il Grande Gioco ha impedito ed impedisce la verità e sempre accusa i Taliban. Intanto lì sono state fomentate le diatribe tra etnie, bombe a grappolo sono state lanciate a migliaia, l'uranio impoverito si respira ovunque, persino nel Dasht-i-Margo, il grande deserto a sud-ovest. L'economia, già misera per via della decennale occupazione sovietica, è stata impoverita in maniera esponenziale, gli afghani, nella loro miseria, hanno visto campi di cereali, venir requisiti e convertiti in campi di papaveri da oppio, campi di papavero da oppio spontanei, sono stati sottoposti a coltura intensiva. E mentre i bei fiori viola si trasformavano in polvere bianca all'interno di costruzioni, da noi occidente adibite a raffinerie prima inesistenti nel Paese, gli afghani vedevano morire i propri figli o finire ridotti a larve umane sotto i ponti. O partire per non tornare. Le forze di Coalizione hanno bombardato l'Afghanistan in ogni luogo, dalle feste matrimoniali agli ospedali, dalle scuole ai villaggi, bombardati direttamente ma, per errore, come sempre si è detto, dalle suddette forze, o lasciati luoghi saltare in aria con gente inerme compresi i bambini, per mano di terroristi al soldo d'occidente o dei suoi complici d'oriente usati all'uopo. Ma mai, proprio mai, è stato bombardato un solo campo di papavero, mai una sola raffineria è saltata in aria. Mai alcun errore si è verificato in tal senso. Mai in vent'anni.
Quali barbari sono stati civilizzati e quale missione è stata compiuta, Signori Presidenti di quell'incivile terra d'estremo Occidente? Il vaso è colmo. Non può che straripare. E strariperà. Non importa quando. Il tempo della Storia è lungo"
Poi la pagina continua riportando la conferenza stampa del 1 giugno 2021, di Jens Stoltenberg, Segretario Generale della Nato. Costui, a seguito della riunione del Consiglio Nord Atlantico sul piano di rafforzamento dell'unità nazionale, ovviamente americana, a proposito dell'Afghanistan così si esprime:
... I ministri della Difesa si sono rivolti all'Afghanistan. Il ritiro delle nostre forze procede in modo ordinato e coordinato e in ogni fase la sicurezza del nostro personale rimane fondamentale. Stiamo finendo la nostra missione militare, ma non stiamo finendo il nostro sostegno agli afghani. Così oggi i ministri della Difesa hanno discusso la via da seguire. Continueremo la nostra presenza diplomatica civile a Kabul a fornire consulenza e sostegno allo sviluppo di capacità delle istituzioni di sicurezza afghane. Stiamo anche valutando come possiamo fornire istruzione e addestramento militare al di fuori dell'Afghanistan, incentrato sulle forze per operazioni speciali. E stiamo lavorando su come finanziare la fornitura, convenuto che questo sostegno continuo sia il modo migliore in cui tutti noi possiamo contribuire agli sforzi di pace in Afghanistan...."
La mia pagina del 5 giugno continua segnalando due interviste da me rilasciate sull'argomento, in contemporanea agli eventi di cui sopra. E chiude ripetendo: sì, il vaso è colmo, straripa e strariperà.
Ora però, alla luce dei fatti e delle reazioni internazionali all'indiscutibile nonché evidente distruzione di quella terra e delle sue genti, c'è qualche altra cosa che ritengo doveroso, per uno storico nonché studioso di antropologia culturale e pedagogica, porre ai riflettori. Ho udito di tutto, alcune voci, molto rare, hanno provato a dare una qualche visione storica passata, moderna e contemporanea, sì che si comprendesse il presente, si comprendessero i perché, ma ahimè l'informazione si è arrestata alla contemporaneità, praticamente sempre, e quando è andata indietro molti sono stati gli errori. Così il popolo afghano, tale voluto da un grande Re all'inizio dello scorso secolo, ha continuato a mostrarsi al mondo quale mandria mai civilizzata. Avallando uno dei motivi da cui l'urlo di Bush a proposito dei barbari. Dispiace dirlo, ma questo è dovuto ad ignoranza storica e ideologia fuori luogo. Mi astengo, per eleganza, dal fare nomi di giornalisti, conduttori e trasmissioni, che mi sono presa la briga di seguire ovunque, fosse web, radio o televisione. Ma questo è. L'Afghanistan è stata una culla di tesori, il più delle volte nascosto dietro altri nomi ed altri confini. Tesori che vanno dall'origine del pensiero filosofico, alla poesia, all'arte, all'archeologia, all'incontro tra religioni, anche dopo la forzatura del credo islamico. E così via. Tesori nascosti, spesso, in antico, sotto altri nomi ed altri confini. Ma dall'Indipendenza, no. Mi è toccato sentire che il Paese ha avuto una moderna civilizzazione solo negli anni dell'occupazione sovietica, secondo questi personaggi male informati, o spinti da ideologie, allora si sarebbero avute le prime scuole pubbliche, le prime università e vari segni di civilizzazione. Non è vero. Già all'inizio dello scorso secolo, ottenuta l'Indipendenza, sotto il Regno di Re AmaUllah, il Paese ha visto scuola pubblica, diritti uguali per tutti, diritti di famiglia, libertà per la donna ed annullato l'obbligo del velo ( dico velo perché il burqa è solo delle donne di etnia pashtun), la Costituzione, copiata di sana pianta dal Re successivo e fatta passare per nuova. Poi la Repubblica, poi il Governo Legittimo per libera elezione Rabbani-Massoud ci sarebbe da continuare ma mi fermo qui. Bisogna conoscere realmente, non da infarinatura, la Storia dei popoli prima di parlare e mai farlo spinti da personali ideologie. Comunque, allo scopo di chiarimenti, a questa pagina seguirà una cronologia storica di quella terra sì che il mondo occidentale si renda conto ancor più della gravità delle proprie azioni e delle proprie menzogne, non ultima quella spesso riportata a proposito dell'assassinio di Ahmad Shah Massoud, secondo cui l'attentato fu architettato da uomini di Bin Laden, cosa che andrebbe ad avallare e giustificare la versione ufficiale circa l'attacco alle Twin Towers e conseguente invasione e bombardamento dell'Afghanistan, momento che si potrebbe ritenere il principio, ma non è cosi, perché il vero principio fu il costretto esilio dello Shah Reza Pahlavi, sovrano di confine, di poi il ritorno dell'ayatollah Khomeyni, l'invasione sovietica, la "costruzione" dei Taliban, l'assassinio di A.S.Massoud, le Twin Towers, etc. Ma avremo modo di trattare l'argomento nella cronologia prossima ventura, lì vedremo anche come ci sia stato, a Doha, un accordo tra gli attuali Taliban e gli Stati Uniti. Ma tutto questo non consola l'incredibile sofferenza inferta a quella gente la cui unica colpa è l'essere figlia d'una terra geograficamente e storicamente strategica. Da sempre. Ricchezza e tragedia. Ora però la chiusa vuole una poesia che amo particolarmente, è di H'ùshàl H'àn (1613-1694) poeta afghano:
" Il dolore è una cosa
che bisogna tenere ben cucita nel cuore
tenerla a disposizione
sì che forse se ne accorga
un certo giorno
il Signore"
Marika Guerrini
2) grparlamento podcast - Geo Parlamento del 29/05/2021 -Afghanistan
http://www.grparlamento.rai.it/dl/portaleRadio/media/Contentitem-79a59b47-dfc0-4f4c-a304-c0394e2e3de1.html
Dopo il click resto alla scrivania, mi accoccolo sui cuscini della poltrona come in un grembo. La mente prende un tragitto a ritroso, prende a riportare le volte in cui ho speso parole per l'Afghanistan, decine e decine di volte, migliaia e migliaia di parole. E' strano come la mente, spesso immemore, riesca a sciorinare immagini e suoni quando è il cuore a parlare.
Intanto i luoghi nella mente si avvicendano lungo la nostra penisola, da sud a nord, sono molti, con essi ritorna anche qualche suono di parola: conferenze, convegni, incontri pubblici, privati, ufficiali, non. Poi s'affacciano i libri: storia, narrativa, anche in lingua inglese, quelli tradotti, anche quello in via di traduzione in lingua turca. Tornano alla mente le immagini della mostra fotografica, che volli itinerante in Italia, con gli scatti di Barat Alì Batoor. E tornano decine e decine di articoli, credo superino le due centinaia, non so con esattezza, non li ho mai contati, la lista è lunga, troppo. Di una cosa sono certa, tutto, sempre tutto sull'Afghanistan. Nel corso di venti anni, mentre laggiù imperava dolore e distruzione, le parole, le mie, ma non solo, facevano di tutto per raccontare, specificare, comunicare, correggere quando si poneva il caso, narrare immagini di quella terra afghana che ancora oggi alcuni giornalisti, forse sprovvisti di attenzione, specificano: "Afghanistan, Stato orientale...", come fosse sconosciuto. Parole nel tempo che in alcuni attimi stento persino a riconoscere come mie, parole pronunciate, scritte per far sì che l'occidente potesse incontrare quella terra millenaria e complessa nella sua articolata storia, dalle origini ad ora, nell'archeologia, nei suoi vari credo religiosi, le sue etnie, nella sua musica, nelle ricchezze del sottosuolo, in tutta la sua realtà difficile da comprendere in Occidente, proprio perché estremamente sfaccettata, e per questo facilmente travisabile, strumentalizzabile se non la si conosce fino in fondo, se ci si muove per sentito dire o per ciò che interessi vari selezionano sì che si mostri o si taccia.
Raccontare a dispetto d'ogni cronaca anche per quel suo essere stata millenni or sono, con la Mesopotamia, proiezione verso il futuro della Civiltà, una delle radici. Cosa incredibile oggi per chi non abbia studiato tutta la complessità di quella terra a cui nel 1747 si diede confine e nome Afghanistan facendolo divenire Regno a sé. Sì, sono un'infinità le parole spese per l'Afghanistan in questi venti anni, volendo prescindere da precedenti studi e ricerche, partendo solo da quella domenica del 7 ottobre 2001.
Ed ora mi si chiede di parlare in merito a quel che sta accadendo, che non sarebbe dovuto mai accadere, perché quel 7 ottobre del 2001, non avrebbe dovuto mai vedere bombardamenti radere al suolo città e città di quella terra, per un inganno, una menzogna. Perché da una menzogna ben programmata ma non ben congeniata, non ben gestita in una fallace sorpresa, da quel Ground Zero, quel foro newyorkese dell'11 settembre del 2001 con il crollo per implosione delle Twin Towers, anzi, per la precisione, dal 9 settembre 2001, giorno dell'assassinio di Ahmad Shah Massoud, capo carismatico dell'Afghanistan, ucciso nell'attentato attuato, si disse, da giornalisti forse marocchini, da servizi segreti occidentali, anche si disse. Da quel momento, da quell'esplosione, sarebbe partita la distruzione dell'Afghanistan. Lungo venti anni di guerra, torture, soprusi, violenze d'ogni tipo, estremo impoverimento del paese, totale indebolimento della gioventù, dei bambini, quelli che alcune nostre Onlus dicevano di proteggere, finiti come cavie farmaceutiche occidentali, spesso, molto spesso, troppo, o nel circuito dell'eroina, offerta loro, gratuita, per farli finire sotto i ponti di Kabul. In base all'età. Così si annienta la possibilità di futuro. Molti troppi, come i campi di papaveri d'oppio spontanei, fatti moltiplicare e moltiplicare perché la nostra richiesta fosse soddisfatta, perché fosse sempre più proficuo il traffico in occidente.
Il futuro afghano sotto i ponti di Kabul per un inganno, una conclamata menzogna a cui ancora oggi ci si riferisce, si nomina come fosse verità la dichiarazione ufficiale, verità persino a dispetto di leggi ingegneristiche, a dispetto di scatti fotografici, di chiara denuncia del falso. Fatta da molti tecnici del settore.
Ed ora ancora si chiede di parlare! E lo si chiede riportando la dichiarazione del neopresidente americano e la sua menzione dell'11 di settembre quale data finale del ritiro delle truppe Nato. Si chiede di parlare ancora, lo si è fatto per venti anni, in molti, si è detto tutto quel che c'era da dire e molto di più. Non è valso a nulla. Ora di cosa si dovrebbe parlare del fallimento d'occidente? Del nuovo Vietnam americano? Per dignità mi fermo qui.
Sì, questo, e tanto altro, mi ha riportato la mente stamattina. Quando le immagini si sono chiuse, le voci zittite, ho lasciato il grembo della poltrona, preso il telefono, cercato il numero, ancora impresso, della precedente telefonata, schiacciato il pulsante verde, la voce ha risposto al primo squillo: Pronto, ho detto, sono Marika Guerrini, ho ripensato la proposta, La ringrazio, ma non rilascio alcuna intervista. Spiacente, ancora grazie. Buongiorno!
Ho parlato di getto, non ho lasciato neppure un attimo ad un'eventuale replica. Ho chiuso la comunicazione. Se dicessi che non mi sia dispiaciuto averlo fatto, mentirei, mi è dispiaciuto aver accettato e poi rifiutato, avrei dovuto rifiutare subito, alla richiesta, sarebbe stato più elegante, ma non è andata così, il pensiero è andato all'Afghanistan, subito, alla richiesta, la mente per qualche attimo era stata immemore dei fatti, delle menzogne, del non detto, delle mie stesse parole, di quelle veritiere degli altri. Per qualche istante ho avvertito l'impulso di voler parlare di quella terra, ancora e ancora. Poi la mente s'è fatta memore. A ritroso. Completa. E il desiderio di silenzio s'è fatto avanti. Forte, molto forte. Rispetto all'Afghanistan, alla sua verità, alle mie parole orali, scritte, in pagine e pagine e pagine. Rispetto alle parole altrui, di verità anch'esse.
Sì, è andata così, stamattina.
Ed ora due brevi stralci in chiusura di quest'ulteriore pagina, questa di getto,
ecco il primo:
"... c'è un'antica leggenda, così tanto antica da far incontrare nel contenuto due mondi geograficamente lontani, se pur uniti nella storia che fu, il mondo dei nativi americani e delle genti che vivevano in terra poi afghana millenni or sono... dice così: soffierò nel cavo della canna per ricordare al passero della neve quello che è stato, e che forse sarà ancora, se Dio vorrà." (1)
ecco il secondo:
" ... c'è tanta polvere ora dove c'era una volta l'Afghanistan... C'è tanta polvere ovunque.
Torneranno a zampillare le fontane? I cavalli selvaggi torneranno al galoppo? Ancora risplenderà il verde degli smeraldi? Tornerà a fiorire il tappeto erboso del tulipano? Tornerà la primavera o non sarà solo sogno?
Indiscussa certezza di Dio... Tornerà.".(2)
Marika Guerrini
immagine: scatto di Barat Alì Batoor- collezione privata
(1) Marika Guerrini- Afghanistan Passato e Presente- Storia- ed. Jouvence 2014
(2) Marika Guerrini- Massoud l'Afghano-il tulipano dell'Hindu Kush- ed. Venexia 2004
... quanto ampia sia, per l'animo umano, la capacità di immagazzinare dolore, si può svelare da un momento all'altro e allora può accadere di ignorare lo squillo del telefono, ignori il nome comparso sul display, ignori il cuore che suggerisce: rispondi, e non lo fai, ignori, sebbene lo squillo giunga da un paese che ami, così come il nome sul display, ma il paese ha il dolore radicato nella roccia, da tanto, da troppo, e tu non vuoi, non puoi. E' stato oggi, qualche ora fa, mentre mi accingevo a segnare opinioni su questa sventurata Italia tradita da chi dovrebbe proteggerla, su quest'Italia falsamente liberata dall'ignoranza di governanti-lacchè per venire scaraventata tra le fauci di un inappuntabile drago. E' stato oggi, qualche ora fa, che il telefono ha squillato, che l'occhio ha riconosciuto il numero sul display, che la mente è tornata a Kabul. Non ho risposto. Poi ancora qualche istante e lo squillo si è riprodotto e un altro numero è apparso, altro numero ma stessa provenienza geografica. Ancora qualche istante e un terzo squillo, un terzo numero, stessa provenienza, ancora. Non ho risposto. Ho posato la penna, ho fatto silenzio in me come a temere che il respiro potesse azionare nuovamente lo squillo d'un qualsiasi telefono lontano, molto lontano. Le riflessioni sulle itale sventure se n'erano andate con tutto il loro interesse. Ho atteso ancora attimi, poi la mano si è mossa di moto proprio, il dito anche: ho digitato l'ultimo numero. La voce è giunta immediata. Ho ascoltato. Ho digitato poi il penultimo numero. Ho ascoltato. Infine ho digitato il primo. Voci diverse e simili, lontane raccontavano dolore e dolore e dolore. Non si fa l'abitudine al dolore, chi afferma il contrario è perché non sa viverlo fino in fondo.
E' tanto che non scrive di noi, perché? Questo, tra le altre parole, ha detto la voce del primo squillo. Ho taciuto. Anche la voce ha taciuto ma in attesa. Poi con uno sforzo che ho vissuto sovrumano: Perché dopo anni di massacri, rivolte, stragi, distruzioni, anni di menzogne, di denunce, si diventa saturi, io sono andata oltre la saturazione, ho superato anche quella, non so più cosa dire, non so più che linguaggio usare, forse non so più cosa pensare, anche. E' quel che ho risposto all'attesa per poi pentirmi delle mie parole. All'altro capo, nell'etere: silenzio. E' a questo punto che gli ho raccontato una storia, una storia in versi che tempo addietro, molto tempo, lui, la voce, aveva raccontato a me, una storia scritta da Firdusi, il grande poeta, versi come una fiaba in cui a volte dolore e sofferenza servono a formare esseri speciali che possono far nascere la luce dalle tenebre, una storia poetica che ora racconto a voi. Ascoltate.
" ... V'era un monte a nome Alburz, vicino al sole, remoto da umano consorzio. Ivi aveva il nido il Simurg, in luogo ignaro del genere umano. Su quel monte lo deposero e tornarono via. L'innocente figlio dell'eroe non poteva ancora distinguere il bianco dal nero. Il padre recise il legame d'amore gettandolo via spregiato, ma quando il padre lo gettò via spregiato, lo raccolse Iddio nutritore. In quel luogo giorno e notte se ne stava abbandonato quel piccolo senza riposo, ora si succhiava la punta delle dita, ora piangeva. Quando i piccoli del Simurg ebbero fame, l'uccello si levò alto al volo dal suo covo: ed ecco vide un lattante che gemeva e la terra intorno come un mare fluttuante. Sua culla era la roccia, nutrice la terra, il corpo senza veste, il labbro senza latte. A lui dintorno nera terra squallida, alto sul piccolo batteva il sole... Il Simurg calò giù dalle nubi, protese l'artiglio, lo sollevò su da quelle rocce brucianti e lo portò via di volo fino ai vertici dell'Alburz. Così passò lungo tempo che il piccolo si trattenne segretamente in quel luogo. Egli divenne un uomo pari a un nobile cipresso, il petto come un monte d'argento, la vita come un giunco. La fama di lui si diffuse pel mondo. Il male e il bene non restarono mai celati... "
Marika Guerrini