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venerdì 29 ottobre 2021

un periodo "sabbatico"

al 

lettore 

alla luce di 363 articoli tracciati su varie sfaccettature dello scibile, ed in seguito a pensieri e concetti espressi  in svariate forme più e più volte, occiriente ha deciso di concedersi un breve periodo, che ci piace ritenere sabbatico, sì da elaborare più giovani pensieri, più fresche riflessioni ed esaudire desideri. 

A presto

Marika Guerrini 

giovedì 16 settembre 2021

Afghanistan - donne di mondi in contrasto (seconda parte)

                                                       

... il colore nero non appartiene all'Afghanistan. E' il blu che gli appartiene in tutte le sue sfumate gradazioni. Da quello delle vette in lontananza a quello screziato d'oro del lapislazzulo, da quello del cielo a quello dei laghi di Band-e-Amir in cui si rispecchia la volta. E la sua terra è bianca, come il Dasht-e Margoh il grande deserto di sud-ovest.

Il colore nero non appartiene all'Afghanistan. Gli giunge da ovest, dal suo vicino occidente. Il colore nero troneggia nei paesi costieri del Golfo, del Mare Arabico.

Al tempo del mio primo incontro con quella terra, dopo aver lasciato la corriera che mi aveva portato ad Héràt, nella mia prima passeggiata verso la piazza della Masjid-i-Jāmi'la grande moschea, quel che mi venne incontro furono colori, furono le ampie gonne multicolori delle donne, i loro veli, colorati anch'essi, i volti fieri dallo sguardo sorridente, intelligente, e furono i burqa, sì, anche i burqa, che vedevo per la prima volta, quei burqa azzurri che, pur celando il volto dietro il ricamo d'una rete, le facevano regine. Per via della postura eretta, del passo calcante la terra. Sono vent'anni che non vedo più quel passo, né la postura eretta, se non di rado. No, il nero non appartiene all'Afghanistan.

Il colore nero è arabo, di quell'Islam che invase quella terra oltre un millennio fa, ma non l'assoggettò mai. Il nero oggi viene a camuffare il perpetrarsi d'una menzogna, usata per invadere, conquistare, annientare una terra strategica ad uso geopolitico, una terra ricca d'ogni preziosa risorsa. Terra un tempo guerriera e fiera come le sue donne. Le stesse donne che l'occidente ha mostrato sempre e comunque in veli integrali, ora per di più neri. E' così che le vogliamo raccontare, velate da un Islam a loro estraneo fino a poco fa, storicamente pensando. Un Islam che, anche nei periodi bui della storia afghana, sempre presenti nella storia d'ogni Paese, non le aveva mai rese schiave, anche perché, non mi stancherò di ripeterlo, il burqa, pur se colorato, è sempre, da sempre, stato indossato dalle donne di etnia pashtun, soltanto, etnia di credo sunnita, la stessa a cui appartengono i taliban, originali o mercenari che siano. 

"I taliban non sono musulmani" nell'urlo di quella giovane donna dal volto scoperto, la verità. Lei ha inteso dire: non sono del credo islamico da noi conosciuto, osservato, non sono afghani. A completare il suo pensiero si può dire: se pur alcuni dovessero esserlo, sono traditori al soldo di chi li ha voluti lì negli anni '90, poi ancor dopo ed ancor oggi, a proseguire la distruzione di quel paese per i motivi geopolitici sopra accennati, non certo per la sbandierata civiltà prima, religione islamica ora. Due aspetti della stessa falsa medaglia.

A questo punto, la chiosa della pagina vuole tornare al femminile, al velo. Qualcuno giorni fa, a tal proposito mi ha chiesto: dovrebbe essere abolito?, No, ho risposto, decideranno loro, le donne afghane il momento opportuno, so che lo faranno, così come l'abbiamo fatto noi, donne mediterranee, luogo d'origine del velo femminile, sin dall'età classica, quando, nell'antica Roma, il velo indossato a coprire il capo delle donne, era simbolo di aristocrazia, quindi vietato alle schiave, mentre in medio Oriente e India, simbolo di rispetto verso il sacro. Poi lo scorrere del tempo, la trasformazione, la nostra cristianità mantiene il significato di rispetto verso il sacro nello svolgersi della liturgia, il senso è lo stesso per via della sommità del capo, punto ritenuto, da alcune religioni, di incontro con le forze superiori alla terra. Da qui la tradizione, il costume. Poi ancora il tempo e l'ulteriore trasformazione.

L'occidente farebbe bene a farsi da parte, riflettere sul proprio tramonto. Ce lo indicano al femminile le donne afghane, che, e non nutro alcun dubbio, sono fondamentalmente più libere delle occidentali, queste ultime, malgrado l'apparenza, in gran parte, hanno perso il concetto di Donna con la D maiuscola, per farsi imitazione dell'essere maschile. Un fac-simile. Dimenticando la loro superiorità in molti campi della vita interiore ed esteriore. Le donne afghane, quando non inquinate da noi occidentali, ne sono consapevoli, per questo ce la faranno se le lasceremo libere di essere se stesse. Di camminare incontro alla loro trasformazione. Se lo vorranno. Quando.

   Marika Guerrini

immagine -vedi prima parte-


martedì 14 settembre 2021

Afghanistan - donne di mondi in contrasto (prima parte)

 


... non me ne voglia il lettore se questa pagina non assolverà alla promessa di stilare la cronologia dell'Afghanistan, ma il continuo accavallarsi della cronaca con i suoi accadimenti, suggerisce altre priorità. Tra i tanti ne ho scelto uno, anzi due, ad emblema della cronaca stessa. Due momenti al femminile a raccontare un intero mondo volutamente sconosciuto ai più. Ma, proseguiamo.

" i taliban non sono musulmani", questo l'urlo emesso a scomporre le labbra di un giovane volto di donna dai tratti sottili, incorniciati in un hijab d'un chiaro color pastello. Mentre fiamme proiettavano gli occhi e gesti di braccia accompagnavano rafforzando il suo urlo al mondo.

Ho udito quell'urlo, l'ho accolto, l'ho fatto risuonare zittendo in me ogni pensiero, ogni moto dell'animo, ed è allora che, immediato, m'è parso dicesse: ancora non avete capito? Poi sono andata avanti. Con il pensiero. Con l'animo.

Ad un giorno, forse due, non importa, un'altra immagine dallo schermo. E poiché la storia, nel farsi cronaca, oggi più che mai, spesso perde la sua purezza, l'obiettività, per vestirsi di menzogna, ecco la nuova immagine riportare una macchia nera, informe, come composta da corpi femminili in movimento. Corpi nascosti in tanti arabi niqab. Niqab che il narratore erroneamente chiamava burqa, ma che burqa non erano.

Una macchia nera che calpestava lo stesso suolo afghano della giovane donna dagli occhi fiammeggianti come di guerriero. Quella stessa terra afghana tornata agli onori della cronaca quotidiana, dopo vent'anni di sporadica presenza.

Donne in contrasto, si direbbe, ma non sarebbe la verità. Mondi in contrasto, questa la verità.  (fine prima parte).

Marika Guerrini

immagine 

scatto di Barat Alì Batoor (collezione privata)


martedì 17 agosto 2021

Afghanistan: il vaso è colmo. Strariperà.... da articolo del 5 giugno 2021

 

... la pagina che segue riporta, in parte, un'altra mia pagina, quella del 5 giugno 2021, ascoltiamone uno stralcio:

 "...L'ha fatto George W. Bush nell'ottobre 2001, prima di J. Biden, quando tronò al mondo: Andiamo a civilizzare i barbari, e presero a bombardare l'Afghanistan, ora Biden, novello Presidente d'oltre oceano, con altrettanta enfasi, urla la retorica della: Missione compiuta, indicando il ritiro delle truppe dal Paese orientale.

Ma il vaso è colmo e vuole straripare tutte le menzogne di quell'estremo occidente figlio d'Inghilterra che di barbarie se ne intende, non avendo mai elaborato la propria.

Vanno via le truppe, Nato, Coalizione Internazionale. E cosa hanno fatto in vent'anni se non portare distruzione e morte?

Il Grande Gioco afghano non si è mai fermato, neppure ora. Ora più che mai.

L'Afghanistan è distrutto, questa la verità. Si è mentito su tutto, si è sempre deviata l'attenzione su quel che si voleva consolidare in sordina, perché esplodesse al momento opportuno a motivare la presenza straniera e l'azione bellica di "aiuto" al popolo afghano contro il "terrorismo". Al-Qaeda, Taliban, Daesh, non fa differenza. Anzi la fa, i Taliban, voluti, costruiti ed armati dagli Stati Uniti nelle madrasse pakistane degli anni '90, non sono più quelli dell'inizio, ma mujaheddin, ovvero difensori della sovranità del paese. Il come riguarda la tradizione dell'Afghanistan, la sua propria storia e la sua sovranità da riconquistare. Ma il Grande Gioco ha impedito ed impedisce la verità e sempre accusa i Taliban. Intanto lì sono state fomentate le diatribe tra etnie, bombe a grappolo sono state lanciate a migliaia, l'uranio impoverito si respira ovunque, persino nel Dasht-i-Margo, il grande deserto a sud-ovest. L'economia, già misera per via della decennale occupazione sovietica, è stata impoverita in maniera esponenziale, gli afghani, nella loro miseria, hanno visto campi di cereali, venir requisiti e convertiti in campi di papaveri da oppio, campi di papavero da oppio spontanei, sono stati sottoposti a coltura intensiva. E mentre i bei fiori viola si trasformavano in polvere bianca all'interno di costruzioni, da noi occidente adibite a raffinerie prima inesistenti nel Paese, gli afghani vedevano morire i propri figli o finire ridotti a larve umane sotto i ponti. O partire per non tornare. Le forze di Coalizione hanno bombardato l'Afghanistan in ogni luogo, dalle feste matrimoniali agli ospedali, dalle scuole ai villaggi, bombardati direttamente ma, per errore, come sempre si è detto, dalle suddette forze, o lasciati luoghi saltare in aria con gente inerme compresi i bambini, per mano di terroristi al soldo d'occidente o dei suoi complici d'oriente usati all'uopo. Ma mai, proprio mai, è stato bombardato un solo campo di papavero, mai una sola raffineria è saltata in aria. Mai alcun errore si è verificato in tal senso. Mai in vent'anni.

Quali barbari sono stati civilizzati e quale missione è stata compiuta, Signori Presidenti di quell'incivile terra d'estremo Occidente? Il vaso è colmo. Non può che straripare. E strariperà. Non importa quando. Il tempo della Storia è lungo" 

Poi la pagina continua riportando la conferenza stampa del 1 giugno 2021, di Jens Stoltenberg, Segretario Generale della Nato. Costui, a seguito della riunione del Consiglio Nord Atlantico sul piano di rafforzamento dell'unità nazionale, ovviamente americana, a proposito dell'Afghanistan così si esprime: 

... I ministri della Difesa si sono rivolti all'Afghanistan. Il ritiro delle nostre forze procede in modo ordinato e coordinato e in ogni fase la sicurezza del nostro personale rimane fondamentale. Stiamo finendo la nostra missione militare, ma non stiamo finendo il nostro sostegno agli afghani. Così oggi i ministri della Difesa hanno discusso la via da seguire. Continueremo la nostra presenza diplomatica civile a Kabul a fornire consulenza e sostegno allo sviluppo di capacità delle istituzioni di sicurezza afghane. Stiamo anche valutando come possiamo fornire istruzione e addestramento militare al di fuori dell'Afghanistan, incentrato sulle forze per operazioni speciali. E stiamo lavorando su come finanziare la fornitura, convenuto che questo sostegno continuo sia il modo migliore in cui tutti noi possiamo contribuire agli sforzi di pace in Afghanistan...."

La mia pagina del 5 giugno continua segnalando due interviste da me rilasciate sull'argomento, in contemporanea agli eventi di cui sopra. E chiude ripetendo: sì, il vaso è colmo, straripa e strariperà. 

Ora però, alla luce dei fatti e delle reazioni internazionali all'indiscutibile nonché evidente distruzione di quella terra e delle sue genti, c'è qualche altra cosa che ritengo doveroso, per uno storico nonché studioso di antropologia culturale e pedagogica, porre ai riflettori. Ho udito di tutto, alcune voci, molto rare, hanno provato a dare una qualche visione storica passata, moderna e contemporanea, sì che si comprendesse il presente, si comprendessero i perché, ma ahimè l'informazione si è arrestata alla contemporaneità, praticamente sempre, e quando è andata indietro molti sono stati gli errori. Così il popolo afghano, tale voluto da un grande Re all'inizio dello scorso secolo, ha continuato a mostrarsi al mondo quale mandria mai civilizzata. Avallando uno dei motivi da cui l'urlo di Bush a proposito dei barbari. Dispiace dirlo, ma questo è dovuto ad ignoranza storica e ideologia fuori luogo. Mi astengo, per eleganza, dal fare nomi di giornalisti, conduttori e trasmissioni, che mi sono presa la briga di seguire ovunque, fosse web, radio o televisione. Ma questo è. L'Afghanistan è stata una culla di tesori, il più delle volte nascosto dietro altri nomi ed altri confini. Tesori che vanno dall'origine del pensiero filosofico, alla poesia, all'arte, all'archeologia, all'incontro tra religioni, anche dopo la forzatura del credo islamico. E così via. Tesori nascosti, spesso, in antico, sotto altri nomi ed altri confini. Ma dall'Indipendenza, no. Mi è toccato sentire che il Paese ha avuto una moderna civilizzazione solo negli anni dell'occupazione sovietica, secondo questi personaggi male informati, o spinti da ideologie, allora si sarebbero avute le prime scuole pubbliche, le prime università e vari segni di civilizzazione. Non è vero. Già all'inizio dello scorso secolo, ottenuta l'Indipendenza, sotto il Regno di Re AmaUllah, il Paese ha visto scuola pubblica, diritti uguali per tutti, diritti di famiglia, libertà per la donna ed annullato l'obbligo del velo ( dico velo perché il burqa è solo delle donne di etnia pashtun), la Costituzione, copiata di sana pianta dal Re successivo e fatta passare per nuova. Poi la Repubblica, poi il Governo Legittimo per libera elezione Rabbani-Massoud ci sarebbe da continuare ma mi fermo qui. Bisogna conoscere realmente, non da infarinatura, la Storia dei popoli prima di parlare e mai farlo spinti da personali ideologie. Comunque, allo scopo di chiarimenti, a questa pagina seguirà una cronologia storica di quella terra sì che il mondo occidentale si renda conto ancor più della gravità delle proprie azioni e delle proprie menzogne, non ultima quella spesso riportata a proposito dell'assassinio di Ahmad Shah Massoud, secondo cui l'attentato fu architettato da uomini di Bin Laden, cosa che andrebbe ad avallare e giustificare la versione ufficiale  circa l'attacco alle Twin Towers e conseguente invasione e bombardamento dell'Afghanistan, momento che si potrebbe ritenere il principio, ma non è cosi, perché il vero principio fu il costretto esilio dello Shah Reza Pahlavi, sovrano di confine, di poi il ritorno dell'ayatollah Khomeyni, l'invasione sovietica, la "costruzione" dei Taliban, l'assassinio di A.S.Massoud, le Twin Towers, etc. Ma avremo modo di trattare l'argomento nella cronologia prossima ventura, lì vedremo anche come ci sia stato, a Doha, un accordo tra gli attuali Taliban e gli Stati Uniti. Ma tutto questo non consola l'incredibile sofferenza inferta a quella gente la cui unica colpa è l'essere figlia d'una terra geograficamente e storicamente strategica. Da sempre. Ricchezza e tragedia. Ora però la chiusa vuole una poesia che amo particolarmente, è di H'ùshàl H'àn (1613-1694) poeta afghano:

" Il dolore è una cosa

che bisogna tenere ben cucita nel cuore

tenerla a disposizione

sì che forse se ne accorga

un certo giorno

il Signore"

Marika Guerrini      


mercoledì 4 agosto 2021

La saggezza del gatto, Er e il subumano


...se, accingendoti a segnare riflessioni sulla condizione in cui sta versando l'Umanità, riflessioni circa la prigionia in cui si dibatte, circa le costrizioni fisiche e psichiche a cui il suo vivere viene sottoposto. Se, mentre ti accingi a sottolineare quanto e come lo spirito di menzogna regni sul tutto, quanto e come questo tutto ammanti d'altruismo azioni criminali, quanto e come lo stesso tutto investa ogni aspetto dello scibile, agisca instillando paura negli uomini, rendendoli schiavi della menzogna e di se stessi. E se, mentre ti accingi a segnare quanto sopra, a condividere i tuoi pensieri e cerchi le parole sì che siano chiare, sì che non ledano l'altrui libertà, accade che il gatto salti sulla libreria alle tue spalle, che si strofini sui libri provocandone la caduta, che uno di essi, uno consunto dall'uso, finisca sulla scrivania aperto e le parole della pagina mostrata rimandino ai pensieri che stavi formulando, alle parole che stavi cercando, altro non puoi fare che fermarti, zittire ogni pensiero, lasciare ogni parola, staccare la penna dal foglio. Fermarti. 
Fermarti perché tu al "caso" non credi, non credi alla sua esistenza, ritieni che ogni accadimento abbia un senso, che le coincidenze abbiano un senso, sottile, sì, spesso, spesso da interpretare, ma un senso, un loro perché. E ti fai da parte, lasci spazio al libro caduto, alla pagina aperta, ai pensieri tradotti in parole tracciate nel 1977 con incredibile attualità, tracciate da un italiano degno di incarnare le luminose forze di questa terra figlia d'un Risorgimento ormai remoto, parole di un uomo speciale che il mondo ha conosciuto con un nom de plume che in questa pagina  non verrà dichiarato. Il perché lo si lascia all'intuizione lì dove si manifesti, lo si deve al rispetto per quel silenzio che sai l'autore avrebbe voluto. E mentre pensi questo lo ringrazi dal cuore per aver donato al mondo i suoi pensieri, e ringrazi anche l'inconsapevole saggezza del gatto saltato per quel caso che non esiste, sulla libreria. E sgomberi la mente. E fai silenzio in te. E ti metti in ascolto. Poi inizi a segnare, a dare al mondo qualche stralcio dei suoi pensieri.
Il piano sul quale è slittata l'umanità di questo tempo non si può non chiamare sub-umano. Si tratta dell'evento più grave della storia umana... E' il principio del regno della follia umana, che non può non tendere alla propria organizzazione sociale, mediante il potere di un meccanicismo inumano, come sistema ferreo della ipocrisia, dotato di tutte le parvenze della moralità, della giustizia, della fraternità, persino della religiosità. Follia realizzabile mediante la facile persuasione degli sprovveduti o degli ingenui di tutta la Terra, ossia di coloro che costituiscono la quantità manovrabile, il numero, la piazza necessaria...L'angoscia e la paura cominciano ad attanagliare l'uomo, perché il pensiero umano è slittato nel Subumano. Perciò gli uomini cercano di rifugiarsi nel gregge, cioè di ritornare nel gregge, che si riforma come nuovo sistema di aggregazione tra gli uomini, aggruppamento meccanicistico, non libero...". 
Queste le sue parole a cui nulla, è palese, vi sia da aggiungere, ciò malgrado, nel ripercorrere i suoi pensieri, il ricordo mi ha riportato alla mente altre pagine, pagine di Platone nel suo Politéia, così, mentre il gatto fautore di questo momento, soddisfatto della missione compiuta, sonnecchia con aria sorniona acciambellato sulla poltrona, vi narro una pagina di Platone in cui tratta di Er, il guerriero panfilio. Ascoltate. 
Er, il guerriero panfilio creduto morto e posto sul rogo affinché, libero dal corpo, volasse nell'Universo, all'improvviso si ridestò e prese a svelare agli uomini i segreti dell'invisibile. Raccontò e raccontò, finché, ad certo punto, per bocca di un araldo, un anghelos, si rivolse alle anime umane : Questa è la parola della Vergine Lachesis, figlia di Necessità, o voi anime di un giorno! disse e continuò, ecco l'inizio di un nuovo ciclo che porta morte all'umana stirpe. Il demone non sceglierà voi, ma voi sceglierete il demone... la colpa è di chi sceglie, il Dio è innocente." 
Poi tacque. E mentre il suo tacere risuona in noi, ci si mostra come la sacra severità di Platone accompagni le parole del filosofo romano, come l'antico pensiero sposi il pensiero contemporaneo, come anche la sua chiarezza ci indichi il  senso dell'ascesa e della decadenza dei singoli, la cui responsabilità individuale provoca l'ascesa o la decadenza degli Stati.
Ed è con questa splendida tensione sulla tragicità nel mondo con cui Platone va a chiudere il suo Politéia  che occiriente  va a chiudere questa sua pagina. 

Marika Guerrini
 

sabato 5 giugno 2021

Afghanistan: il Grande Gioco di specchi



 ...ho incontrato il Grande Gioco afghano al tempo dell'infanzia tra le storie che mio padre amava raccontare. Storie di guerra dal sapore di fiaba. Lui studioso di Storia internazionale, lui testimone, in quanto militare dell'Arma, della battaglia finale di El-Alamein, sapeva raccontare con la compassione verso il nemico e la severità verso la malvagità delle azioni. C'era spesso un bambino nelle sue storie, un bambino solo al mondo, costretto, suo malgrado, ad attraversare pericolose avventure per giungere sempre alla fine ad un atto d'amore. Al bambino, che io chiamavo Kim Due per via del personaggio di Kipling, anch'esso parte dei racconti di mio padre, non di rado accadeva di trovarsi nel bel mezzo di una battaglia fatta non di soli fuochi, ma di intrighi, di spie. Ma Kim Due vinceva sempre, con la sua intelligenza e ancor più con la sua capacità di amare. E il male veniva sconfitto dal bene. Sempre. Così, sul suono della voce narrante s'aprivano le immagini e si facevano parte della mia fantasia, dei miei pensieri bambini. 
Sì, ho incontrato allora la strategia del Grande Gioco. E, si sa, i bambini pur proiettati nel futuro per via delle forze di crescita e del desiderio di scoprire la vita, vivono il presente, vi si immergono totalmente, ed io vivevo tutte quelle storie, nulla mi sfuggiva, come fossero intorno a me ed io fossi in esse, con quella potenza che si perde man mano che il mondo ci avvolge. Poi il tempo. Nel tempo la mia scelta degli studi superiori, la ricomparsa dei pensieri immagine vissuti nell'infanzia e la decisione. E fu l'India il soggetto, la sua storia, la sua filosofia, la sua lingua antica e moderna, la sua cultura tutta. E dagli studi riemerse il Grande Gioco afghano. Non a caso, Kipling sarebbe stato il primo autore inglese in relazione all'India che avrei segnato nel mio piano di studi.
Al tempo dei racconti d'infanzia, mio padre chiamava gli intrighi, bugie, e le spie, bugiardi. Avrei collegato e compreso poi il senso delle parole: bugia e bugiardi, nell'ambito della sua esperienza di guerra sul fronte africano a diretto contatto con le truppe e la strategia inglesi.
E tutto si sarebbe fatto semplice avendo allenato la mente, sin dalla tenera età, ad andare oltre l'apparenza. Il Grande Gioco, The Great Game, in lingua originale, si sarebbe svelato alle mie ricerche culturali, ai miei pensieri.
Il mio primo viaggio laggiù, avrebbe fornito verifica a quella strategia, non solo per via di ulteriori studi in loco, ma anche e non ultimi, per i racconti di gente semplice, spesso bottegai. Tra i mille oggetti che affollavano le loro botteghe, le armi d'antiquariato per lo più da fuoco: fucili, pistole, erano quelli più presenti, e loro, i bottegai, sorridendo alle tue domande, come a dire: sono cose tue, si esprimevano, con approssimativo accento inglese: is English, ma'am, e quando la tua voce con altrettanto sorriso pronunciava: I am Italian, dopo qualche attimo di perplessità, sorridevano con diverso calore e t'invitavano a sedere sulla soglia della bottega, accanto a loro, libertà che non ci si permetteva con una donna, ritenendola mancanza di rispetto, ma il rispetto in questo caso non era in ballo, quel che c'era era la contentezza che fossi italiana. E ti offrivano tè nero, non in tazza inglese pur sempre presente tra le anticaglie della bottega, ma in un piccolo bicchiere di vetro come loro uso. Sì, era bellissima Heràt allora. Tempo fa. Con le sue cupole azzurre verso il cielo, la sua antica storia, il suo antico nome di Alexandria Aria, antica come i manufatti di tappeti intrecciati a raccontare quell' incontro di scambio che fu con l'occidente e s'affacciava ora dalla Cittadella sulle strade deserte di sabbia bianca. 
Poi, ancora il tempo, tanto, e il 2001. Heràt avrebbe mutato volto, il nome "Italia", con esso, avrebbe indossato la mimetica e calpestato la via bianca di sabbia.
 
L'ha fatto George W. Bush nell'ottobre 2001, prima di J.Biden, quando tuonò al mondo: Andiamo a civilizzare i barbari, e presero a bombardare l'Afghanistan, ora Biden novello presidente d'oltre oceano, con altrettanta enfasi urla la retorica della: Missione compiuta, indicando il ritiro delle truppe dal Paese orientale. 
Ma il vaso è colmo e vuole straripare tutte le menzogne di quell'estremo occidente figlio d'Inghilterra che di barbarie se ne intende, non avendo mai elaborato la propria. 
Vanno via le truppe, Nato, Coalizione Internazionale. E cosa hanno fatto in vent'anni se non portare distruzione e morte? 
Il Grande Gioco afghano non si è mai fermato, mai è terminato, neppure ora. Ora più che mai.
L'Afghanistan è distrutto, questa la verità. Si è mentito su tutto, si è sempre deviata l'attenzione su quel che si voleva consolidare in sordina, perché esplodesse al momento opportuno a motivare la presenza straniera e l'azione bellica di "aiuto" al popolo afghano contro il "terrorismo". Al-Qaeda, Taliban, Daesh, non fa differenza. Anzi, la fa, i Taliban voluti, costruiti, ed armati dagli Stati Uniti nelle madrasse pakistane degli anni '90, non sono più quelli dell'inizio, ma mujaheddin, ovvero difensori della sovranità del Paese. Il come riguarda la tradizione dell'Afghanistan, la sua propria storia e la sua sovranità da riconquistare. Ma il Grande Gioco ha impedito ed impedisce la verità e sempre accusa i Taliban. Intanto lì sono state fomentate le diatribe fra etnie, bombe a grappolo sono state lanciate a migliaia, l'uranio impoverito si respira ovunque, persino nel Dasht-i-Margo, il grande deserto a sud-ovest. L'economia, già misera per via della decennale occupazione sovietica, è stata impoverita in maniera esponenziale, gli afghani nella loro miseria hanno visto campi di cereali venir requisiti e convertiti in campi di papavero da oppio, campi di papavero da oppio spontanei, sono stati sottoposti a coltura intensiva: E mentre i bei fiori viola si trasformavano in polvere bianca all'interno di costruzioni, da noi occidente adibite a raffinerie prima inesistenti nel Paese, gli afghani vedevano morire i propri figli o finire ridotti a larve umane sotto i ponti. O partire per non tornare. Le forze di Coalizione hanno bombardato l'Afghanistan in ogni luogo, dalle feste matrimoniali agli ospedali, dalle scuole ai villaggi, bombardati direttamente, ma per errore, come sempre si è detto, dalle suddette forze, o lasciati luoghi saltare in aria con gente inerme compresi i bambini, per mano di terroristi al soldo d'occidente e dei suoi complici d'oriente, usati all'uopo. Ma mai, proprio mai, è stato bombardato un solo campo di papavero, mai una sola raffineria è saltata in aria. Mai alcun errore si è verificato in tal senso. Mai in vent'anni. 
Quali barbari sono stati civilizzati e quale missione è stata compiuta Signori Presidenti di  quell'incivile terra d'estremo occidente? 
Il vaso è colmo, non può che straripare. E strariperà. Non importa quando. Il tempo della Storia è lungo.

Quattro giorni fa, 1 giugno 2021, a risposta del missione compiuta e ritiro, in conferenza stampa, rilasciata dal Segretario Generale della Nato Jens Stoltenberg, a seguito della riunione del Consiglio Nord Atlantico nella sessione in cui vari Ministri della Difesa, si sono concentrati sull'agenda Nato 2030, ecco la dichiarazione relativa all'Afghanistan:  
"... I ministri della Difesa si sono concentrati sui piani per rafforzare la nostra unità, compreso un impegno rafforzato per la difesa collettiva. Ciò significa un'attuazione rapida e completa del nostro adattamento militare. e continui miglioramenti alla nostra prontezza, alle nostre capacità e ai nostri investimenti nella difesa.
I ministri della difesa si sono rivolti all'Afghanistan. il ritiro delle nostre forze procede in modo ordinato e coordinato. E in ogni fase la sicurezza del nostro personale rimane fondamentale. Stiamo finendo la nostra missione militare, ma non stiamo finendo il nostro sostegno agli afghani. Così oggi i ministri della Difesa hanno discusso la via da seguire. Continueremo la nostra presenza diplomatica civile a Kabul. Fornire consulenza e sostegno allo sviluppo di capacità delle istituzioni di sicurezza afghane. Stiamo anche come possiamo fornire istruzione e addestramento militare al di fuori dell'Afghanistan, incentrato sulle forze per operazioni speciali. E stiamo lavorando su come finanziare la fornitura di servizi che consentano agli alleati e alla comunità internazionale, di rimanere a Kabul, compreso il supporto per l'aeroporto. I ministri hanno convenuto che questo sostegno continuo sia il modo migliore in cui tutti noi possiamo contribuire agli sforzi di pace in Afghanistan...".
Fato ha voluto a kilometri di distanza, coincidente al rilascio della dichiarazione di Stoltenberg, che chi scrive rilasciasse due interviste-dichiarazioni su quel martoriato Paese e che in esse, venisse evidenziato lo spirito di menzogna e di intrigo che ha accompagnato l'Afghanistan in questi venti anni. Ma non solo. 
Chi volesse ascoltarle troverà in calce i riferimenti.
Si potrebbe andare avanti, ma questa è solo la pagina di un blog, non di un libro. si rimanda quindi, come spesso accade, chi volesse approfondire il passato di quella terra così come il presente, ai libri di storia ed anche di quella particolare narrativa che potremmo chiamare "vita narrata" che chi scrive ha segnato, e continuerà a segnare, le cui indicazioni  sono reperibili sul web ad iniziare dalla home page, di occiriente
Sì, il vaso è colmo, straripa e strariperà. La dea Speranza non si arrende lungo l'infinito tempo della Storia.

Marika Guerrini

p.s. riferimenti interviste

1) Intervista presentazione libro "AmanUllah il Re riformista- Afghanistan 1919/1929"                                           https://youtu.be/3MtwVpZdMI0

2) grparlamento podcast - Geo Parlamento del 29/05/2021 -Afghanistan

http://www.grparlamento.rai.it/dl/portaleRadio/media/Contentitem-79a59b47-dfc0-4f4c-a304-c0394e2e3de1.html


martedì 20 aprile 2021

Afghanistan... una pagina di getto


... diciannove aprile ore undici, momento più, meno.
 Il telefono squilla, sul display un numero sconosciuto, rispondo, la voce si presenta, è un nome del giornalismo di testata nazionale. Con voce gradevole mi chiede se sia possibile ch'io rilasci un'intervista sull'attuale situazione afghana, il cambiamento in atto, il ritiro delle truppe Nato. Sorrido, lui non lo sa ma io sorrido. Dice che andrebbe registrata domani intorno alle 16,30 se per me va bene. Sento che ha dato per scontato il mio consenso. Sorrido ancora. Chiedo se sarà riportata integralmente. Assicura di sì. Mi aspettavo una richiesta di questo tipo, dico, aggiungo: va bene. Ringrazia. Ricambio. Ci salutiamo. A domani, dice. A domani, dico. 

Dopo il click resto alla scrivania, mi accoccolo sui cuscini della poltrona come in un grembo. La mente prende un tragitto a ritroso, prende a riportare le volte in cui ho speso parole per l'Afghanistan, decine e decine di volte, migliaia e migliaia di parole. E' strano come la mente, spesso immemore, riesca a sciorinare immagini e suoni quando è il cuore a parlare. 

Intanto i luoghi nella mente si avvicendano lungo la nostra penisola, da sud a nord, sono molti, con essi ritorna anche qualche suono di parola: conferenze, convegni, incontri pubblici, privati, ufficiali, non. Poi s'affacciano i libri: storia, narrativa, anche in lingua inglese, quelli tradotti, anche quello in via di traduzione in lingua turca. Tornano alla mente le immagini della mostra fotografica, che volli itinerante in Italia, con gli scatti di Barat Alì Batoor. E tornano decine e decine di articoli, credo superino le due centinaia, non so con esattezza, non li ho mai contati, la lista è lunga, troppo. Di una cosa sono certa, tutto, sempre tutto sull'Afghanistan. Nel corso di venti anni, mentre laggiù imperava dolore e distruzione, le parole, le mie, ma non solo, facevano di tutto  per raccontare, specificare, comunicare, correggere quando si poneva il caso, narrare immagini di quella terra afghana che ancora oggi alcuni giornalisti, forse sprovvisti di attenzione, specificano: "Afghanistan, Stato orientale...", come fosse sconosciuto. Parole nel tempo che in alcuni attimi stento persino a riconoscere come mie, parole pronunciate, scritte per far sì che l'occidente potesse incontrare quella terra millenaria e complessa nella sua articolata storia, dalle origini ad ora, nell'archeologia, nei suoi vari credo religiosi, le sue etnie, nella sua musica, nelle ricchezze del sottosuolo, in tutta la sua realtà difficile da comprendere in Occidente, proprio perché estremamente sfaccettata, e per questo facilmente travisabile, strumentalizzabile se non la si conosce fino in fondo, se ci si muove per sentito dire o per ciò che interessi vari selezionano sì che si mostri o si taccia. 

Raccontare a dispetto d'ogni cronaca anche per quel suo essere stata millenni or sono, con la Mesopotamia, proiezione verso il futuro della Civiltà, una delle radici. Cosa incredibile oggi per chi non abbia studiato tutta la complessità di quella terra a cui nel 1747 si diede confine e nome Afghanistan facendolo divenire Regno a sé. Sì, sono un'infinità le parole spese per l'Afghanistan in questi venti anni, volendo prescindere da precedenti studi e ricerche, partendo solo da quella domenica del 7 ottobre 2001. 

Ed ora mi si chiede di parlare in merito a quel che sta accadendo, che non sarebbe dovuto mai accadere, perché quel 7 ottobre del 2001, non avrebbe dovuto mai vedere  bombardamenti radere al suolo città e città di quella terra, per un inganno, una menzogna. Perché da una menzogna ben programmata ma non ben congeniata, non ben gestita in una fallace sorpresa, da quel Ground Zero, quel foro newyorkese dell'11 settembre del 2001 con il crollo per implosione delle Twin Towers, anzi, per la precisione, dal 9 settembre 2001, giorno dell'assassinio di Ahmad Shah Massoud, capo carismatico dell'Afghanistan, ucciso nell'attentato attuato, si disse, da giornalisti forse marocchini, da servizi segreti occidentali, anche si disse. Da quel momento, da quell'esplosione, sarebbe partita la distruzione dell'Afghanistan. Lungo venti anni di guerra, torture, soprusi, violenze d'ogni tipo, estremo impoverimento del paese, totale indebolimento della gioventù, dei bambini, quelli che alcune nostre Onlus dicevano di proteggere, finiti come cavie farmaceutiche occidentali, spesso, molto spesso, troppo, o nel circuito dell'eroina, offerta loro, gratuita, per farli finire sotto i ponti di Kabul. In base all'età. Così si annienta la possibilità di futuro.  Molti troppi, come i campi di papaveri d'oppio spontanei, fatti moltiplicare e moltiplicare perché la nostra richiesta fosse soddisfatta, perché fosse sempre più proficuo il traffico in occidente. 

Il futuro afghano sotto i ponti di Kabul per un inganno, una conclamata menzogna a cui ancora oggi ci si riferisce, si nomina come fosse verità la dichiarazione ufficiale, verità persino a dispetto di leggi ingegneristiche, a dispetto di scatti fotografici, di chiara denuncia del falso. Fatta da molti tecnici del settore.

Ed ora ancora si chiede di parlare! E lo si chiede riportando la dichiarazione del neopresidente americano e la sua menzione dell'11 di settembre quale data finale del ritiro delle truppe Nato. Si chiede di parlare ancora, lo si è fatto per venti anni, in molti, si è detto tutto quel che c'era da dire e molto di più. Non è valso a nulla. Ora di cosa si dovrebbe parlare del fallimento d'occidente? Del nuovo Vietnam americano? Per dignità mi fermo qui.

Sì, questo, e tanto altro, mi ha riportato la mente stamattina. Quando le immagini si sono chiuse, le voci zittite, ho lasciato il grembo della poltrona, preso il telefono, cercato il numero, ancora impresso, della precedente telefonata, schiacciato il pulsante verde, la voce ha risposto al primo squillo: Pronto, ho detto, sono Marika Guerrini, ho ripensato la proposta, La ringrazio, ma non rilascio alcuna intervista. Spiacente, ancora grazie. Buongiorno!

Ho parlato di getto, non ho lasciato neppure un attimo ad un'eventuale replica. Ho chiuso la comunicazione. Se dicessi che non mi sia dispiaciuto averlo fatto, mentirei, mi è dispiaciuto aver accettato e poi rifiutato, avrei dovuto rifiutare subito, alla richiesta, sarebbe stato più elegante, ma non è andata così, il pensiero è andato all'Afghanistan, subito, alla richiesta, la mente per qualche attimo era stata immemore dei fatti, delle menzogne, del non detto, delle mie stesse parole, di quelle veritiere degli altri. Per qualche istante ho avvertito l'impulso di voler parlare di quella terra, ancora e ancora. Poi la mente s'è fatta memore. A ritroso. Completa. E il desiderio di silenzio s'è fatto avanti. Forte, molto forte. Rispetto all'Afghanistan, alla sua verità, alle mie parole orali, scritte, in pagine e pagine e pagine. Rispetto alle parole altrui, di verità anch'esse. 

Sì, è andata così, stamattina.

Ed ora due brevi stralci in chiusura di quest'ulteriore pagina, questa di getto,

ecco il primo:

"... c'è un'antica leggenda, così tanto antica da far incontrare nel contenuto due mondi geograficamente lontani, se pur uniti nella storia che fu, il mondo dei nativi americani e delle genti che vivevano in terra poi afghana millenni or sono... dice così: soffierò nel cavo della canna per ricordare al passero della neve quello che è stato, e che forse sarà ancora, se Dio vorrà." (1)

ecco il secondo:

" ... c'è tanta polvere ora dove c'era una volta l'Afghanistan...     C'è tanta polvere ovunque. 

Torneranno a zampillare le fontane? I cavalli selvaggi torneranno al galoppo? Ancora risplenderà il verde degli smeraldi? Tornerà a fiorire il tappeto erboso del tulipano? Tornerà la primavera o non sarà solo sogno?

 Indiscussa certezza di Dio... Tornerà.".(2)

Marika Guerrini

immagine: scatto di Barat Alì Batoor- collezione privata

(1) Marika Guerrini- Afghanistan Passato e Presente- Storia- ed. Jouvence 2014

(2) Marika Guerrini- Massoud l'Afghano-il tulipano dell'Hindu Kush- ed. Venexia 2004


venerdì 19 marzo 2021

Dante Alighieri ".. fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza..." (Inferno canto XXVI- Ulisse)

  .. dinanzi all'oceano che si apre col suo mistero e la sua solitudine, dinanzi a quelle Colonne d'Ercole, limite estremo del conosciuto mondo, Ulisse parla ai compagni, ricorda i perigli attraversati e superati con coraggio, rileva il loro esser giunti da oriente ad incontrare un occidente ancora in parte ignoto, li sprona a portarsi oltre il limite, immergersi in quell'inconosciuto e misterioso mondo, lì dove Europa ed Africa si fronteggiano, quel passo obbligato che avrebbe preso nome di Gibilterra. Parlando ai compagni, parla in realtà agli uomini tutti, come se fosse lui giunto ad una tale altezza spirituale da permettersi una visione d'insieme. Ulisse è ora al di sopra della stessa vita, la domina dall'alto e a quel vertice vuole attrarre l'intera Umanità, consapevole di una coscienza morale che sola può condurre alla canoscenza di cui sopra, quell'amore per la sapienza che sola, lasciandosi incontrare, può portare l'uomo a se stesso, condurlo alla parte più alta e profonda di sé. Ed è a questo proposito che alfine dice: fatti non foste per viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza. 
In questo brevissimo accenno di discorso che lo stesso eroe definisce orazion picciola, Ulisse tocca i più alti valori e sentimenti umani richiamando al contempo la fugacità della vita. Fa intendere come e quanto questa sia vana se non si ponga quale dardo teso verso ideali conquiste. 
E' un volo quello che Ulisse chiede ad ogni uomo, verso cui lo sprona, un ideale volo che prende vita nel cuore degli uomini tutti. E il volo si palesa ancor più folle, ancor più ardito, perché gli uomini hanno sprezzato quei limiti che facevano da monito a tutti i mortali. Ora, gli uomini sono chiamati a non aver paura di oltrepassare quel limite che la società, ormai lungi da ogni rispetto per l'essere umano e la sacra libertà, ha posto e pone all'armonico scorrere della vita, ha posto e pone agli stessi umani sensi, al loro essere desti, al loro agire secondo se stessi, come se la stessa vita non fosse più tale, ma morte, in cui i sensi non sono più desti. 
Ecco perché in quel folle volo c'è l'orgoglio di tentare una così sublime follia che si ponga in opposto a chi vorrebbe fermare la vita che, sola, attraversata in libertà, può portare alla conoscenza. E noi, nel cammino dell'eroe, nei suoi uomini, in quegli uomini che aveva spronato con tale appassionato discorso, scorgiamo un così assoluto ardore nel cammino che a stento lo stesso Ulisse avrebbe potuto trattenere, se avesse voluto.
Ed ecco che il cammino figurato per mare a portarsi oltre le Colonne d'Ercole, immergersi nell'inconosciuto senza alcuna paura di lasciarsi alle spalle i limiti della società, persino delle leggi da essa volute e rese inique, per giungere attraverso coscienza alla virtù e alla conoscenza, si fa metafora di vita, oggi più che mai, a ricordare ancora una volta agli uomini tutti, le iniziali parole di Ulisse che ci si ripresentano: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza. Ove in virtute sta la coscienza delle proprie ed altrui azioni senza di cui è impossibile giungere alla virtù, indi alla conoscenza, indi alla Libertà. E se accade che il raggiungimento di quest'ultima comporti la disobbedienza al nefando limite, a quelle Colonne d'Ercole poste dalla società ad impedire il cammino verso la conoscenza, ebbene, si attraversino, le si lascino alle spalle, sì che il tragitto dell'uomo possa riprendere a seguire il corso del sole, per quanto periglioso possa mostrarsi ed essere, possa continuare la navigazione da oriente all'ostacolante occidente secondo libertà, agognata meta nel percorso conoscitivo dell'Umanità.
Così, cari lettori, ancora una volta quel Sommo Poeta che la Storia e il destino d'una terra vollero italiano, ci viene in soccorso indicando, stavolta per voce di Ulisse, la via che conduce dalla costrizione del limite alla libertà, via che sola, scevra d'ogni paura, può condurre dalla tenebra alla luce.

Marika Guerrini

immagine Wikipedia 

mercoledì 24 febbraio 2021

Afghanistan terra di dolore e poeti




... quanto ampia sia, per l'animo umano, la capacità di immagazzinare dolore, si può svelare da un momento all'altro e allora può accadere di ignorare lo squillo del telefono, ignori il nome comparso sul display, ignori il cuore che suggerisce: rispondi, e non lo fai, ignori, sebbene lo squillo giunga da un paese che ami, così come il nome sul display, ma il paese ha il dolore radicato nella roccia, da tanto, da troppo, e tu non vuoi, non puoi. E' stato oggi, qualche ora fa, mentre mi accingevo
a segnare opinioni su questa sventurata Italia tradita da chi dovrebbe proteggerla, su quest'Italia falsamente liberata dall'ignoranza di governanti-lacchè per venire scaraventata tra le fauci di un inappuntabile drago. E' stato oggi, qualche ora fa, che il telefono ha squillato, che l'occhio ha riconosciuto il numero sul display, che la mente è tornata a Kabul. Non ho risposto. Poi ancora qualche istante e lo squillo si è riprodotto e un altro numero è apparso, altro numero ma stessa provenienza geografica. Ancora qualche istante e un terzo squillo, un terzo numero, stessa provenienza, ancora. Non ho risposto. Ho posato la penna, ho fatto silenzio in me come a temere che il respiro potesse azionare nuovamente lo squillo d'un qualsiasi telefono lontano, molto lontano. Le riflessioni sulle itale sventure se n'erano andate con tutto il loro interesse. Ho atteso ancora attimi, poi la mano si è mossa di moto proprio, il dito anche: ho digitato l'ultimo numero. La voce è giunta immediata. Ho ascoltato. Ho digitato poi il penultimo numero. Ho ascoltato. Infine ho digitato il primo. Voci diverse e simili, lontane raccontavano dolore e dolore e dolore. Non si fa l'abitudine al dolore, chi afferma il contrario è perché non sa viverlo fino in fondo. 

E' tanto che non scrive di noi, perché? Questo, tra le altre parole, ha detto la voce del primo squillo. Ho taciuto. Anche la voce ha taciuto ma in attesa. Poi con uno sforzo che ho vissuto sovrumano: Perché dopo anni di massacri, rivolte, stragi, distruzioni, anni di menzogne, di denunce, si diventa saturi, io sono andata oltre la saturazione, ho superato anche quella, non so più cosa dire, non so più che linguaggio usare, forse non so più cosa pensare, anche. E' quel che ho risposto all'attesa per poi pentirmi delle mie parole. All'altro capo, nell'etere: silenzio. E' a questo punto che gli ho raccontato una storia, una storia in versi che tempo addietro, molto tempo, lui, la voce, aveva raccontato a me, una storia scritta da Firdusi, il grande poeta, versi come una fiaba in cui a volte dolore e sofferenza servono a formare esseri speciali che possono far nascere la luce dalle tenebre, una storia poetica che ora racconto a voi. Ascoltate.

        " ... V'era un monte a nome Alburz, vicino al sole, remoto da umano consorzio. Ivi aveva il nido il Simurg, in luogo ignaro del genere umano. Su quel monte lo deposero e tornarono via. L'innocente figlio dell'eroe non poteva ancora distinguere il bianco dal nero. Il padre recise il legame d'amore gettandolo via spregiato, ma quando il padre lo gettò via spregiato, lo raccolse Iddio nutritore. In quel luogo giorno e notte se ne stava abbandonato quel piccolo senza riposo, ora si succhiava la punta delle dita, ora piangeva. Quando i piccoli del Simurg ebbero fame, l'uccello si levò alto al volo dal suo covo: ed ecco vide un lattante che gemeva e la terra intorno come un mare fluttuante. Sua culla era la  roccia, nutrice la terra, il corpo senza veste, il labbro senza latte. A lui dintorno nera terra squallida, alto sul piccolo batteva il sole... Il Simurg calò giù dalle nubi, protese l'artiglio, lo sollevò su da quelle rocce brucianti e lo portò via di volo fino ai vertici dell'Alburz. Così passò lungo tempo che il piccolo si trattenne segretamente in quel luogo. Egli divenne un uomo pari a un nobile cipresso, il petto come un monte d'argento, la vita come un giunco. La fama di lui si diffuse pel mondo. Il male e il bene non restarono mai celati... "                                                                                   

Marika Guerrini

mercoledì 3 febbraio 2021

L'Uomo e la Libertà



... Les dieux s'en vont, così Chateaubriand si espresse a proposito degli idoli caduti a Roma in seguito ad una strage di martiri. Così noi, scorrendo i giornali di oggi, come le cronache d'un ieri cumulativo di giorni, mesi, anni, ci scopriamo a pensare. E la storia rafforza il pensiero col suo sottolineare un graduale, costante, imbarbarimento dell'umanità. 
Quel mondo che oggi avrebbe, o dovrebbe avere proprio per motivi storici maturati in seno ad una rinascita d'occidente, i requisiti atti a definirsi "libero", quel mondo che da anni ritiene se stesso paladino contro tirannia, contro ogni forma di costrizione, rispettoso di una convivenza civile all'interno della società, quel mondo che sotto il vessillo della libertà dice di custodire la libertà di pensiero, di espressione, libertà da schiavitù politiche ed economiche, libertà per ogni individuo di sviluppare la propria personalità, di vivere alieno da paure per la propria vita e la propria sicurezza, quello stesso mondo abituato quindi da molto più di un secolo a considerarsi portatore, quando non elargitore, di principi universali in difesa di tutti i Diritti Umani, quello stesso mondo ha tradito e sta tradendo tutti i suoi principi. Tutti.
Principi, valori, si sono fatti orpelli, si sono fatti mere, effimere parole, in tali vesti hanno perso persino l'apparenza della maschera, la dignità per quanto falsa, di nascondersi dietro di essa.  Allora ecco dimostrato quanto dicevano gli antichi a proposito delle parole: ogni discussione è inutile ed ogni accordo è vano se prima non si è stabilita, su scala universale, una giusta concezione dell'Uomo. E poiché l'Uomo di cui sopra, non è l'uomo che si fa da sé in seno alla storia, come dettato da vecchie correnti post-hegeliane, tantomeno è il risultato di elementi materici d'aggregazione, tuttavia è quest'uomo che da tempo agisce, questo piccolo uomo s'è fatto, e continua a farsi, sconosciuto a se stesso. Ha dimenticato, e continua a farlo, di essere un'unità, ha dimenticato d'essere un Uomo-unità. Ha dimenticato e continua a dimenticare, che non può separare l'anima dal corpo, che i due agiscono di concerto, ha dimenticato il tempo in cui, per propria costituzione, sentiva le forze agenti nel moto dei pianeti sottendere alle proprie azioni. Allora, ad esempio, non sarebbe stato possibile per la scienza analizzare un metallo come l'oro senza rapportarlo all'azione del sole prima, dell'organo cardiaco poi, l'uomo comune percepiva se stesso microcosmo nel macrocosmo e questo elargiva conoscenza di per sé. Quel tempo è stato presente fino a circa la metà del XV secolo, poi ha iniziato a farsi passato, un passato sempre più remoto. In questo trascorrere l'uomo ha smesso di utilizzare le sue facoltà immaginativo-intuitive per percepire l'immortale che è in lui, benché l'immortale comunque esista. 
Da qui l'azione dell'intelletto ha preso a divenire intellettualismo, ha raffinato sempre più la parte "materica" di sé, così agendo, ha azionato un meccanismo che a sua volta ha fatto sì che il pensiero scientifico, un tempo riconosciuto nel suo moto primo, quale frutto di pura intuizione, quale moto di ricerca in cui le idee sempre contenevano di per sé un impulso morale consono all'Uomo-unità, negando a se stesso la scintilla, si sia affidato esclusivamente al calcolo materico-razionale circa tutto ciò che esiste, che sia evidente o infinitesimale dal punto di vista fisico. L'uomo portatore di tale pensiero, negandosi l'origine superiore dell'idea-intuizione che accoglieva plasmandolo il proprio pensiero, ha creato una gabbia e, rinchiudendovelo, vi si è rinchiuso. 
Imprigionato il puro principio del pensiero e inconsapevole di quest'azione fattasi stato effettivo, ha continuato ad ampliare la ricerca circa il pianeta e il fuori da esso, ad analizzare ogni campo dello scibile, senza accorgersi che il meccanismo precedentemente azionato aveva un pedaggio: la rinuncia all'Uomo-unità.  
Il campo della Genetica e della più giovane Epigenetica, sono i luoghi in cui, a saper osservare, questo pedaggio si evidenzia in larga misura e sono altresì i cavalli di battaglia del piccolo uomo contemporaneo che, con orgoglio, afferma d'essere in grado di creare la vita mentre in realtà dimentica un banale dettaglio che sin dall'infanzia avrebbe dovuto assimilare: la creazione è tale quando si fa dal nulla e con il nulla. Il piccolo uomo infatti non crea, agglomera, differenzia, feconda, modifica, struttura, pone in sequenza, procura moto ad una materia in realtà già esistente, agendo su di essa sempre comunque e ovunque, si muove in un circolo vizioso nel partire da essa per agire di poi su di essa, ancora sempre comunque e ovunque, per quanto infinitesimale possa essere o apparire l'esistenza della materia stessa. E questo lo fa per amore di se stesso, subordinando sempre e comunque tutto al suo utile, ai suoi fini, entro il suo limite che sempre e comunque è tale anche quando, e forse ancor più, ritiene d'agire per "amore" della società, e o dell'intero scibile umano. Così, agendo nella negazione dell'impulso primario del pensiero e della primaria sostanza dell'anima, entrambi in-creabili, l'uomo figlio dello spirito scientifico, nella sua prigionia, privo di conoscenza di sé quanto dell' Immortale in sé, contempla soltanto e sempre la materia morta, anche quando sembra vivente per via di moto autonomo solo in apparenza, vive quindi in una oscura perenne menzogna da cui si sprigiona la paura. Così, svuotato, ha creato una sorta di dualismo in cui, da un lato alberga l'uomo svuotato, dall'altro lo stesso uomo che, spinto da impulso prenatale e immortale comunque esistente in lui malgrado se stesso, vaga smarrito nell'oscurità alla ricerca di una luce, quindi di una verità, quindi di una reale libertà di poter Essere divenendo libero.
il piccolo uomo genera e si muove nella menzogna e nella paura da essa generata, negando a se stesso la conoscenza, negando a se stesso la libertà di Essere divenendo libero. 
Les dieux s'en vont? No, è l'uomo che, immemore di sé, li tiene lontani.      

 Marika Guerrini

immagine: Erfurt (Turingia), Chiesa dei Domenicani-1340/1445- Portale-  fonte Wikipedia