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"Accademia platonica" Mosaico Pompeiano |
... Verità o veridicità, che dir si voglia, se solo ci fermassimo a pensare, poi a riflettere, capiremmo quanto sia necessario sentire appieno l'elemento morale della "verità", o no, non l'assoluta, ché quella non è degli uomini, ma la "veridicità" in un'epoca in cui la vita ne tradisce il significato, poiché, imprigionata nella materia, gravida degli obiettivi di questa, è ben lungi dal muoversi secondo il suo più alto assunto, originario, che la farebbe degna di se stessa, degna d'essere vissuta. E il mondo allora, e solo allora, non verrebbe lasciato ad assistere alle nefandezze che occorrono in questi tempi dalla breve numerazione, bensì potenti nel celare ingannevoli giochi di potere in moto tra le quinte di un corpo invisibile ad occhio nudo, ma pur materia, quindi per natura impugnabile, manovrabile, utilizzabile, potenziabile nella sua azione e nella narrazione della sua azione. Corpo virale che viene eretto a condottiero della stessa vita ed essa si fa sogno, ombra in veste di realtà. Si fa maja e, in quanto illusione, assume ancor più parvenza di realtà. E il falso si fa vero e il vero si nasconde allo sguardo, all'anima. E le parole si fanno inutili suoni sia che pronuncino verità sia che pronuncino falsità, ma c'è Platone, egli sa come raccontare questi nostri numerabili giorni, ne parla con Glaucone ne "La Repubblica" e allora noi, rispettando tutte le sue parole ma a tratti, in questa pagina, snellendole del dialogo reso in punti sospensivi, ché troppo esteso risulterebbe in questa sede: regaliamoci del tempo ed ascoltiamo.
" ... Pensa di vedere degli uomini in una dimora sotterranea, una caverna, il cui ingresso, aperto verso la luce, sia largo quanto è larga la stessa spelonca: lì loro sono sin da fanciulli, gambe e collo incatenati sì da non potersi muovere, né guardare altrove se non dinanzi a se stessi, perché i legami impediscono loro di volgere la testa intorno. Lontana, alta, dietro di loro, la luce di un fuoco risplende. Tra il fuoco e i prigionieri, in alto passa una strada e, lungo questa via, v'è un piccolo muro simile a quelli che i burattinai innalzano fra sé e gli spettatori, al di sopra del quale mostrano le loro marionette....
... Ora immagina, lungo questo muricciolo, uomini che portano su di sé ogni sorta di oggetti, oggetti che sorpassano il muro: piccole statue raffiguranti uomini ed animali, di pietra, di legno, d'ogni forma. Immagina che alcuni di questi spettatori parlino mentre altri stanno zitti.
- Strana immagine, strani i tuoi prigionieri...
-Simili a noi però, io dissi. Prima di tutto, infatti, tu immagini che costoro vedano di se stessi e dei compagni qualcos'altro che non siano le ombre proiettate dal fuoco su quella parete della caverna che sta loro di fronte?
- Non può essere altrimenti se per tutta la vita son costretti a tenere immobile la testa.
-E lo stesso dovremmo dire degli oggetti che vengono portati? -Certamente.
- E allora, se potessero parlare tra loro non credi che designerebbero quali oggetti reali le ombre che vedono? - Necessariamente.
- Non solo, ma se vi fosse un'eco in questo carcere, che, tutte le volte che uno di quei tali parlasse (dietro il muricciolo) rimandasse i suoni dal fondo, non credi che prenderebbero la sua voce per quella dell'ombra che vedono passare? - Eh, sì, per Zeus!....
- Né potrebbe avvenire altrimenti, dissi, ché per quella gente la realtà altro non può essere che l'ombra degli oggetti......Ora considera cosa accadrebbe loro se venissero sciolti e guariti dalla loro ignoranza. Se uno di loro fosse sciolto, di colpo costretto ad alzarsi, girare il collo, a camminare, guardare verso la luce, se, facendo tutti questi movimenti soffrisse ed il barbaglio gli impedisse di vedere quelle cose di cui prima scorgeva le ombre, cosa credi che risponderebbe a chi gli dicesse che fino ad allora non aveva visto che vacui simulacri e che ora, invece, più vicino a quelle che sono le essenze e proprio perché volto verso oggetti reali, vede le cose con maggiore esattezza e poi, mostrandogli ad uno ad uno gli oggetti che passano, lo costringesse, con una serie di domande a rispondergli cosa sia? Non credi che si troverebbe in gran dubbio, non solo, ma che riterrebbe gli oggetti che prima vedeva, ovvero le loro ombre, più veri di quelli reali di ora? - Sì, molto...
- Non solo, ma se qualcuno lo costringesse a guardare la luce, non credi che gli farebbero male gli occhi e fuggirebbe indietro,volgendosi a quelle cose che invece può guardare e che le riterrebbe molto più chiare di quelle che ora gli vengono mostrate? - E' così...
- E se usando la forza, continuai, qualcuno lo trascinasse via di là, per l'aspra ed erta via e non lo lasciasse prima d'averlo condotto fuori, alla luce del sole, non credi che soffrirebbe e si ribellerebbe nell'esser trascinato così, e che, una volta giunto in faccia al sole, gli occhi ricolmi di luce, non potrebbe vedere nessuno di quegli oggetti che noi riteniamo veri? - No, certo...
- Io credo, per di più, che si dovrebbe abituare se volesse vedere il mondo che sta sopra la caverna. Facilmente potrebbe vedere dapprima le ombre, poi le immagini degli uomini e degli altri oggetti riflessi nelle acque, infine le cose stesse: quindi, alzando gli occhi verso la luce degli astri e della luna, durante la notte contemplerebbe le costellazioni e lo stesso cielo più facilmente che di giorno il sole e del sole la luce abbagliante... E finalmente il sole, io credo, e non nelle acque l'immagine del sole, o in altro fondo che ne rifletta la luce, ma il sole stesso, là dove veramente è, potrebbe guardare e contemplarlo quale esso è in sé...-Per forza...
-Dopo di che, ormai, così potrebbe concludere intorno al sole: stagioni ed anni sono prodotto del sole, e tutto ciò che sia nel mondo visibile è governato dal sole, non solo ma, in un certo senso il sole è causa di tutte le cose che quel tale ed i suoi compagni vedevano nella caverna... - Ebbene, se si ricordasse ora di quella sua prima dimora e di quello che là credeva sapere, se ripensasse ai suoi compagni di prigionia, non ti sembra che si sentirebbe felice del suo cambiamento e sentirebbe pietà di quegli altri?...-Senza dubbio.
-E se fra coloro che sono prigionieri vi fossero stati onori e lodi, reciprocamente scambiati, e premi per chi con occhio acuto avesse veduto per primo gli oggetti che passavano, per chi si fosse ricordato meglio quale di quegli oggetti passava prima, quali dopo o quali passassero insieme, sì che con più abilità si potesse indovinare quel che stava per accadere, credi che costui ancora ne avrebbe desiderio, o invidierebbe tra i prigionieri coloro che vengono onorati o hanno un posto di comando? O penserà quello che dice Omero e veramente vorrebbero lavorare la terra servo di un altro neppure assai ricco e sopportare ogni male piuttosto che ritornare a quelle sue ingannevoli opinioni e vivere come viveva prima? - Proprio così, preferirebbe soffrire piuttosto che vivere in quel modo.
- Supponiamo ancora, seguitai, che quell'uomo riprenda il suo giusto posto e discenda bruscamente dal sole, non verrebbe a trovarsi come cieco?... - Certo!
- E se costui dovesse, nuovamente a gara con quei prigionieri, distinguere le ombre fino a che si trova abbagliato e prima che i suoi occhi si siano rimessi nel loro giusto foco, e ci vorrebbe senza dubbio molto tempo perché si abituassero, non farebbe egli ridere e non si direbbe di lui che per essere salito lassù è tornato in basso con gli occhi rovinato e che, dunque, non vale la pena di tentare una simile ascensione? E se qualcuno poi cercasse di scioglierli e di condurli in alto, se potessero avere quel tale fra le mani ed ucciderlo, non lo ucciderebbero? - Lo ucciderebbero, sì!
-Ed ora, amico Glaucone, questa nostra immagine va fatta esattamente corrispondere a quanto abbiamo detto sopra, e così paragoniamo questo nostro vivere nel mondo sensibile a quella che è la vita nella caverna e la luce del fuoco nella caverna a quello che è l'effetto del sole: ponendo poi l'ascesa al mondo superiore, e la visione delle cose che vi sono, ad immagine dell'ascesa dell'anima verso il mondo intelligibile, non ti ingannerai su come io penso, ché appunto il mio pensiero tu desideri conoscere: ma Dio sa se poi è quello vero. Ad ogni modo io ritengo che così sia davvero, che cioè nel mondo intelligibile l'idea che ha in sé il fine ultimo sia l'idea del Bene, che soltanto dopo lunga fatica si riesce a vedere, ma una volta che l'abbiamo compresa, per necessità logica dobbiamo concludere che essa è la universale ragion d'essere di tutto ciò che c'è di bello e di buono, che nel mondo visibile ha generato la luce, che la verità è come ora vede le cose verso cui è rivolta (la luce)... Non solo, ma non è naturale anche questo che da quanto abbiamo detto si deduce come tanto gli incolti e coloro che non conoscono la verità, quanto coloro che per tutta la vita si siano abbandonati soltanto allo studio, né gli uni né gli altri saprebbero adeguatamente governare uno Stato, gli uni perché non hanno nella propria vita uno scopo cui tendere ed al quale adeguarsi in ogni azione, sia in privato che in pubblico, gli altri perché volontariamente non muoverebbero neppure un dito poiché, ancora in vita, ritengono d'essere stati trasportati ad abitare le isole dei beati? ... Spetta dunque a noi fondatori obbligare tali elette nature a volgersi che di tutte abbiamo detto essere la più sublime, la contemplazione del Bene, e a fare quell'ascesa. Ma quando siano giunti a quell'altezza ed abbiano sufficientemente contemplato il Bene, non si conceda loro ciò che oggi si concede. - Cosa?
- Di restare lassù e non voler più scendere fra quei prigionieri, né prender parte alle loro fatiche e ai loro onori, a prescindere dall'importanza di questi. - Ma allora faremo loro un torto..?...
- Ancora una volta, amico mio, hai dimenticato che per la legge non ha alcuna importanza assicurare benessere ad una sola classe sociale, ma che la legge cerca di assicurare il benessere della città con l'unione dei cittadini tutti, li persuada o li costringa, e facendo sì che si scambino quei servigi che ciascuno di loro può rendere alla comunità: e se la legge è tutta tesa nel creare simili diritti allo Stato, non è certo che ognuno volga la propria attività dove più gli piace, ma perché attraverso loro essa concorra a cementare l'unione statale... Dunque amico Glaucone, considera che non siamo ingiusti verso i filosofi che da noi son cresciuti, anzi avremo buone ragioni da dire, quando daremo loro un dovere, di aver cura degli altri e di esserne custodi. A loro diremo infatti che nelle altre città chi nasce filosofo è ragionevole che non abbia parte nell'attività politica, ché si sono formati da se stessi, indipendentemente dal loro rispettivo governo: ora, quel che nasce da generazione spontanea, e non deve a nessuno la propria formazione, è giusto che a nessuno, chiunque esso sia, ne debba pagare le spese. Ma voi, noi vi abbiamo formato per lo Stato e per voi stessi, come negli alveari duci e re, e vi abbiamo dato un'educazione di gran lunga più perfetta e completa di quella che hanno i filosofi delle altre città e vi abbiamo resi più capaci di partecipare di entrambe gli aspetti. Voi, dunque, dovete, quando ad ognuno spetterà il proprio turno, discendere nel comune mondo degli altri ed abituarvi a vedere anche ciò che è nella oscurità delle tenebre: anzi, una volta fatta l'abitudine alle tenebre, infinitamente meglio degli altri ci vedrete e riconoscerete ogni immagine, quale ne sia il valore e di quale realtà sia il riflesso, perché voi avete già visto la realtà vera del Bello, del Giusto e del Bene. Ecco come il nostro Stato per noi sarà governato da svegli e non in sogno, come lo è nella maggioranza degli Stati attuali, i cui cittadini si lottano per delle vane ombre, disputandosi il comando come fosse un grande bene. Ma la verità è questa: quello Stato in cui il comando sia affidato a coloro che meno di tutti ne abbiano desiderio, sarà per forza il migliore e il più felicemente governato. Invece lo Stato i cui governanti avranno un carattere opposto a questo, sarà retto in senso opposto."
Ecco cosa dice Platone! A noi, ora, altro non resta che tacere.
Marika Guerrini