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martedì 9 maggio 2017

cosa farebbe oggi Lawrence d'Arabia?

Augustus John, Colonel T.H.Lawrence, 1919
... Condottiero, diplomatico, agente segreto, combattente, guastatore, politico. Spericolato e coraggioso, leale e subdolo, amante dell’archeologia, ma anche umanista, orientalista, conoscitore della cultura araba: lingua, costume, religione.  Al servizio della grande rivolta araba ma innanzi tutto della supremazia inglese. Dall’animo combattuto in questo, un po’ o forse molto. Chissà.
Rincontrato dopo averlo incontrato da bambina come tutti noi o quasi, sullo schermo, per poi ritrovarlo da adolescente tra le pagine da lui segnate, quelle de I Sette pilastri della saggezza, sì, è di lui che si sta trattando, di Thomas Edward Lawrence, ma anche di John H. Ross, ma anche di T.E. Shaw, e potremmo continuare ma ci fermiamo sul suo nome da leggenda: Lawrence d’Arabia.
Leggendario perché qualcuno di nome Thomas Lowell, al tempo, 1919, corrispondente americano, lo aveva seguito in Medio Oriente con un fotografo. Da lì le immagini dell’uomo leggenda nel deserto, tra i beduini, a dorso di cammello, a bordo di una Rolls Royce da guerra, a cavallo di una moto e così via.  E Thomas Lowell, ne aveva fatto una star, nel breve arco di  pochi mesi, tra documentari e fotografie, una star internazionale.
Vita di viaggi quella di Lawrence, da sempre, ancor prima della laurea, fu allora che si innamorò del Medio Oriente, o così credette. Poi, al rientro, gli studi di archeologia di quelle terre, anche di essi si innamorò e tornò in quei lidi. Era il 1910. Per il British Museum andò in missione di scavo in Siria. Poi la guerra, la Grande Guerra, e l’Egitto. E la sua vita si affastellò di dispacci, articoli, relazioni, rapporti, messe a nudo dell’Intelligence britannica, la rete informativa di cui era divenuto colonnello. Poi una presa di posizione a favore degli Arabi per un tradimento degli inglesi, quindi rinnegato il ruolo ufficiale, rifiutati onori, onorificenze e la propria identità. E aveva iniziato da zero. Nel Raf s’era fatto aviere semplice e meccanico di aerei e infermiere e… una, due, tre volte, più volte, nascondendosi al mondo per mostrarsi sotto spoglie dalle diverse identità.
E la conquista di Aqaba e la vittoria di Tafileth e il trionfale ingresso a Damasco e ancora e ancora, io l’ho rincontrato poco fa, a Miran Shah, sulla frontiera indo-afghana di allora, pakistana-afghana di ora, l’ho rincontrato che in quella terra era la primavera del 1928, l’ho rincontrato tra le pagine di un libro di storia che sto scrivendo, curando, un libro che tra alcuni mesi sarà edito, si potrà leggere.
L’ho rincontrato in quei lidi in veste di aviatore, forse, di infermiere, forse, di spia, certo. L’averlo rincontrato nella mia penna, sotto una montagna di finzioni e mezze verità, al tempo pubblicizzate, amplificate a creare leggenda, fra numerosi travestimenti di quest’infelice eroe desideroso e timoroso della celebrità, quest’eroe non eroe, vittima della sua duplicità, questo Lawrence che si mostrava e nascondeva, l’averlo rincontrato a vagare aggirandosi in Afghanistan mentre, tra un complotto e l’altro contro Re Aman'Ullah,  traduceva l’Odissea di Omero, ha fatto nascere in me una domanda: Cosa avrebbe fatto il leggendario Lawrence in questi nostri tempi, cosa avrebbe fatto laggiù, cosa farebbe ora? 
La risposta che mi sono data non è chiara neppure a me stessa, ma tiene conto dei postcolonial studies, come vengono chiamati quegli studi strategici che hanno fatto, fanno, scuola, che non a caso si chiamano Progetto Lawrence, di cui usufruisce l’Us Special Operation Command per addestrare i Seal, i Ranger, i Delta Force e tutte le forze speciali di stanza in Afghanistan e non solo. Studi di strategie tratti, molti, dal suo Encyclopædia Britannica. E allora guerriglia: attentati, imboscate, interventi mirati, micce accese a fomentare contrasti interetnici, distribuzioni di armi, e ancora e ancora. Troppo anche per lui. Sì, troppo anche per lui dato il tragico destino della sua fine detta: incidente, di cui ho sempre sospettato fosse un suicidio. Ma questa è idea personale anche se non sono sola in essa. Ed è questo che lascia in sospeso la domanda fatta a me stessa, il: troppo anche per lui. La sua assurda, probabile sete di giustizia e di assoluto, capovolta ogni volta, smentita ogni volta, portata avanti tra intrighi e menzogne, la stessa che lo aveva portato a rigettare la propria identità, che lo aveva fatto sentire reietto, indegno, all’ultimo gradino della scala, ad espiare, ma che, dopo la negazione di sé, lo porta a Miran Shah, dove l’ho ritrovato con addosso abiti da Mullah, a volte, la lunga Jhubba di seta, altre, con intorno al capo i setaccio o gli imama di vari colori. Dove l’ho ritrovato a camminare tra la gente di quella terra, a farsela amica, a distribuire soldi ed armi tra le tribù, a mentire ancora e ancora, complottare ancora e ancora, contro Re Aman’Ullah a favore sempre e comunque delle dinamiche britanniche di cui non può fare a meno, come una malattia che prende corpo dalle sue stesse ceneri. Come una droga che conosci e sai e non vorresti e assumi. Cosa farebbe ora Lawrence d’Arabia in Afghanistan? Non lo so, forse esattamente quel che altri stanno facendo, fanno o  forse no, per via della differenza di cultura, di stile.
Sue parole da Miran Shah: “ Intorno a noi sono basse colline di porcellana nuda… la quiete è così intensa che mi strofino le orecchie chiedendomi se sto diventando sordo…”. 
Una sua riflessione posteriore: “Tutti gli uomini sono abituati a sognare, ma non tutti allo stesso modo. Quelli che sognano di notte, nei ripostigli polverosi della mente, scoprono, al risveglio, la vacuità di quelle immagini; ma quelli che sono abituati a sognare di giorno sono soggetti pericolosi, perché può accadere che recitino il loro sogno ad occhi aperti, per attuarlo. Fu quanto io feci.”
Marika Guerrini

immagine : Augustus John, Colonel T.H.Lawrence, 1919

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