mercoledì 29 novembre 2023

"Italia mia, benché 'l parlar sia indarno"

  


...il tempo scorre in apparenza, soltanto, in questo Paese che non si sa per quanto ci venga dato di chiamare Italia. Così, nell'apparenza del tempo, sfogliando vecchie pagine di
 occiriente, ché chi scrive stampa in cartaceo le sue pagine, ci si è trovati, e non è la prima volta, a scorrere parole i cui contenuti datati, in tal caso 2018, calzavano perfettamente l'attualità, l'oggi, il qui ed ora, eccezion fatta per alcuni nomi di Ministri e Presidente del Consiglio, ché quello a presiedere la Repubblica è ad oltranza. Ma sono solo nomi che nulla tolgono all'azione sostanziale, bensì la sottolineano. A questa evidenza, scemato il proposito di stilare una nuova pagina sugli stessi contenuti, si è pensato di riproporre la pagina passata solo in apparenza, con qualche rivisitazione di aggiornamento. Eccola:

Si possono considerare quali cittadini coloro che iniziarono ad essere presenti nella Nazione ospitante a partire dal padre del padre (Aristotele, Politica, libro III cap.1, lezione 1). 
E’ la sapienza di Aristotele a parlare: per essere considerati a tutti gli effetti, cittadini di una Nazione, bisogna che gli ospiti abbiano maturato un forte amore verso il bene pubblico della Nazione ospitante, la qual cosa li rende integrati in essa a tutti gli effetti, aggirando in tal modo, o contenendo, il pericolo di un loro nuocere alla Nazione stessa. E’ questo quel che dice. Oggi qui, ora, malgrado resti valida l’aristotelica sentenza, il concetto espresso non è più sufficiente poiché in seguito ad accordi internazionali presi da precedenti governi partoriti di fatto da colpi di Stato, vedi quelli voluti da un altro Presidente, e risultati poi subdoli, si è andati ben oltre la possibilità di applicare l’aristotelica saggezza. Ben oltre si è giunti, ben oltre ci si trova.

Sull’onda di una pseudo democrazia dell’accoglienza si è permesso ad organizzazioni, che di umanitario hanno solo la facciata, di prendersi “cura” di gente che ha perso tutto, che si muove sull’inconsistente filo d’una speranza quasi sempre vana. Si è permesso, e si permette, a cittadini italiani di sfruttare le altrui disgrazie per il proprio tornaconto economico sotto forma di manovalanza d’ogni tipo e in ogni settore, producendo così un nuovo schiavismo. Si è permesso, e si permette, alla malavita nazionale ed internazionale di fornire “materiale” organico umano, per lo più di minori, ma non solo, allo scopo di soddisfare le nostre, ed altrui, richieste di trapianti di organi, per cui bambini, una volta approdati sui nostri lidi, spariscono come inghiottiti dal nulla.  Si è permesso e si permette di fare sui migranti, gente inerme e spesso ignorante, sperimentazioni di farmaci, vaccini compresi, sì che cavie umane. Si è permesso e si permette alla malavita di incrementare giri di prostituzione di entrambe i sessi, anche in questo caso rivolto a giovani vite quando non giovanissime, a volte bambine, allo scopo di soddisfare le nostre aberrazioni di paese civile, le nostre affezioni morali lontane da ogni coscienza benché dai più giustificate.
A tal proposito questa pagina vuol raccontare un aneddoto. Gli occhi di chi scrive, tempo fa, all’inizio di ciò che si sarebbe poi trasformato in flusso migratorio, hanno visto esponenti della così detta Roma bene, aggirarsi  alla ricerca di giovani immigrati rifugiati politici, di cui per rispetto in questa sede si omette la provenienza, adescati da figuri senza volto e senza nome, ché di uomini non si può parlare per non degradare l’essere umano. Quegli occhi hanno visto questi figuri aggirarsi tra i giovani al fine di soddisfare le proprie aberrazioni sessuali contro natura. Aggirarsi in pieno giorno, sotto gli occhi di tutti anche di volontari rappresentanti associazioni umanitarie, oh, certo c'erano e ci sono tra esse, e tra loro in esse, delle eccezioni, ma eccezioni, appunto. Così le non eccezioni vedevano, sapevano, nessuno  interveniva, parlava. Allo stupore degli occhi di chi scrive e alla seguente denuncia del caso, la risposta mai lasciava dubbio: purtroppo è così, sta a loro negarsi, parole come un mantra o meglio un cliché; sta a loro, loro chi, ragazzini disperati in un paese estraneo, sfuggiti alle bombe lanciate sulla loro terra con la nostra complicità, ragazzini alla ricerca d’una speranza, alla ricerca d’una vita, i cui occhi s’erano posati così tanta volte sulla morte da non saper più distinguere la stessa vita, da non poter o non saper più scegliere? Loro chi? Purtroppo è così, sta a loro negarsi! Queste le parole della civiltà in cui il purtroppo acuisce l'ipocrisia.
Si potrebbe continuare ad elencare gli innumerevoli contro da cui sono investiti la maggior parte dei così detti migranti in questa nostra “civile” mercificazione dell’umano.
Ben venga quindi la chiusura dei nostri valichi europei di frontiera, i porti italiani, ben venga il giro di vite, ma non basta. Eh, no, non basta Signor Ministro dell’Interno, non basta Signor Ministro della Difesa, non basta, è un provvedimento a metà, così facendo si colpisce la malattia, il dolore, non la causa. Si colpisce lo sfruttato, il perseguitato, l’ingannato, il violentato non chi sfrutta, perseguita, inganna, violenta.  E tutto resterà non solo intatto, ma si espanderà a luoghi e tempi, porgerà il fianco al moltiplicarsi di nuove strategie ad un più raffinato, nascosto delinquere. Ed oltre.
 Bisogna che l’Italia, contemporaneamente alla chiusura dei porti, oggi accordo con porti di altra nazione, dei valichi di frontiera europea, oggi trasferiti ad altri valichi, ponga fine al traffico d’armi, almeno al proprio, quello nazionale. Bisogna che l’Italia ponga fine alla partecipazione dei nostri militari sugli scenari di guerra. Sappiamo bene che le armi vanno al terrorismo internazionale, voluto e creato in occidente, a volte fomentato, solo a volte, il terrorismo da noi mantenuto e assurdamente protetto. Quello stesso terrorismo che, vedi Londra, Berlino, Parigi, Nizza, si fa boomerang, ma calcolato, voluto perché tutto appaia, tutto quadri agli occhi del mondo. Sappiamo bene quanto le nostre truppe siano al servizio dei poteri forti, dello straniero, delle strategie geopolitiche di supremazia in ogni settore, non certo della tanto decantata PACE e questo sovente malgrado e a dispetto del desiderio o della volontà delle stesse truppe.
Sì, certo, i soldati italiani sono quelli dal comportamento più sano, più umano rispetto ad altri, sui teatri di guerra, ma è questione di indole di popolo, tutto qui e non basta.  L’Afghanistan* è stato evidente inizio dell’internazionale processo distruttivo ancora in corso, con i suoi morti per bombe o malattie da radiazioni, da uso di ordigni all’uranio impoverito vietate da leggi internazionali, con la depauperazione del territorio da risorse minerarie, con l’impoverimento del costume, della tradizione, con l’incremento straniero alla delinquenza locale, eccetera eccetera, s’è fatto emblema di tutto quel che accade. L’Afghanistan lo sa bene.
E lo sa bene la ex pacifica Siria di al-Assad che viveva serena la sua vita civile senza debiti con il Fondo Monetario Internazionale, senza che i Rothschild controllassero la sua Banca Centrale, che viveva con il divieto di formazione di Società Segrete, Massoneria compresa. La Siria che possiede gas e un piano per costruire oleodotti, eccetera eccetera ed ora continua eroicamente a resistere malgrado distruzioni d’ogni tipo, malgrado colpita anche da menzogne d'ogni tipo, Come non bastasse.
E lo sa bene l’Iraq con la menzogna sulle armi inesistenti che ha strappato a quel popolo, malgrado alcuni atteggiamenti dittatoriali, solo alcuni, dignità, ricchezza, civiltà con l’uccisione di Saddam Hussein, gettando alla mercé americana ogni sua risorsa, ogni sua vita.
 E tutta l’Africa lo sa dal barbaro assassinio di  Muammar Gheddafi voluto, comandato fatto eseguire su commissione da Francia, Gran Bretagna e Italia, quest'ultima benché recalcitrante dati i rapporti storici e privilegiati con la Libia. L’Africa che con la distruzione del Governo libico di Gheddafi ha visto sfumare la possibilità di liberarsi dal CFA (Comunità Francese Africa), la moneta, prima franco ora euro, artefice di distruzione dell’economia dei paesi africani, moneta la cui convertibilità è garantita dal Ministero del Tesoro francese, moneta che Gheddafi voleva abolire, liberando l’intero continente africano, arricchendolo, ma questo ed altro non si poteva permettere, quindi l'annientamento della Libia, l’assassinio, il caos, da qui anche il traffico di vite umane: molti " nostri" migranti.
L’Italia è stata e continua ad essere presente con i suoi uomini sui teatri di guerra. Lo fa tenendosi dentro ad un’Alleanza Atlantica che non ha più senso d’esistere checché ne dica la politica italiana  complice della svendita di questo Paese. Lo fa ospitando il numero più alto in Europa di basi Nato in cui sostano, 50 ad Aviano e 20 a Ghedi, 70 testate nucleari, ma potrei sbagliare per difetto, comprese bombe termonucleari, la cui sola presenza sul nostro suolo, in caso di conflitto, si presterebbe ad essere motivo di attacco preventivo da parte del nemico così come di un apparente amico. L’Italia lo fa permettendo ai bombardieri americani, che siano droni o caccia, di involarsi dal proprio suolo, lo stesso che ripudia per Costituzione la guerra, permettendo la distruzione e partecipando, con uomini, basi, armi, permettendo a portaerei nucleari di solcare i nostri mari, di esercitarsi in essi.. E’ questo in sostanza, ma non solo, il silenzio dei nostri politici tutti, circa le armi. Sono questi i motivi di partecipazione ai teatri di guerra? Hanno nome Aviano, Ghedi, Licola, Sigonella? C'è questo tra le quinte, Signori Governanti? C'è questo ma non solo.
Quando, e se, finirà l’Italia d’essere serva, quando, e se, riprenderà la propria legittima Sovranità? La propria libertà? Questo potrebbe essere lo storico momento d'inversione di rotta. No, non basta chiudere i porti, i valichi ora diretti altrove, non basta chiedere o legittimamente pretendere dall’Europa la partecipazione all’accoglienza dei migranti, allo smistamento eccetera eccetera, non basta se tutto procede polverizzando terre, violando sovranità di Stato, costringendo popoli a mendicare aiuto, rifugio, pane quotidiano. A mendicare la dignità d’essere uomini. No, Signori Governanti, non basta, non vanno presi provvedimenti a metà, tanto meno si inizia dalla fine, innanzi tutto si agisce sulle cause, poi sugli effetti collaterali e non, altrimenti, o si è ingenui o menzogneri o ipocriti. Alla stregua dei precedenti altri che hanno portato il nostro Paese a perdere ogni Sovranità. A perdere ogni giorno la guerra da quello sventurato 1945. Solo con la ripresa della Sovranità, della libertà si potrà agire secondo la voce di Aristotele.
Ma, come spesso si trovano a dire le pagine di occiriente, il desiderio di libertà di cui sopra, oggi, ora, è pura utopia, desiderio di scrittore. Null’altro. "

Questa la passata pagina rivisitata di occiriente, ma è bastato tutto ciò? No, il peggioramento è talmente evidente da non potersi negare, la guerra pianificata, voluta, azionata tra Ucraina e Russia ne è prova lampante, così come lo è acconsentire, permettere senza alcun diniego, critica, azione di forza perché a mali estremi estremi rimedi, come canta il proverbio, il genocidio che Israele sta compiendo dei palestinesi, quest'orrenda diabolica distruzione d'un popolo inerme, mentre anche chi verbalmente condanna, quando e se lo fa, nel racconto manipola la realtà, oppure sta alla finestra a guardare migliaia di angeli-bambini volare in cielo. Risposta al terrorismo? No, menzogna!  
E' così che al desiderio di libertà si somma, in quest'aggiornamento alla pagina datata di cui sopra, un forte desiderio di umanità, un'umanità dimenticata quando non rinnegata. Il desiderio di un ripristino di Umanità, accanto alla preghiera di pietà per coloro che la negano o la rinnegano o la distruggono. Signore perdona loro perché non sanno quel che fanno, recita un testo sacro al di là e al di sopra d'ogni credo.

Ma è giunto il tempo e la pagina chiede la chiosa, noi la lasciamo ai versi di Francesco Petrarca, al suo "Canzoniere" ai versi dedicati all'Italia afflitta  da piaghe mortali, ricordando la sua preghiera al Signore del cielo: Rettor del cielo, io cheggio che la pietà che ti condusse in terra ti volga al tuo diletto almo paese, ricordando il monito ai governanti: voi cui Fortuna ha posto in mano il freno... poco vedete et parvi veder molto. Governanti, al suo tempo Prìncipi, che per personali interessi e vane illusioni, permettevano allo straniero e a soldati prezzolati e privi d'amore di calpestare il bel suolo italiano. Ora ecco le parole del poeta, alcuni versi da: Italia mia benché 'l parlar sia indarno. Ma come sopra erano parole di scrittore e null'altro, ora queste sono desiderio  di poeta. Null'altro. Ascoltiamo: 

"Italia mia, benché 'l parlar sia indarno
à le piaghe mortali
che nel bel corpo tuo sì spesso veggio
piacemi almen ché miei sospir sian quali
spera 'l Tevero e l'Arno

e 'l Po dove doglioso et grave or seggio.
Rettor del cielo, io cheggio
che la pietà che ti condusse in terra
ti volga al tuo diletto almo paese...

... e i cor che dura et serra
Marte superbo et fero,
'ntenerisci et snoda;...

... voi cui Fortuna ha posto in mano il freno
de le belle contrade
di che nulla pietà par che vi stringa
che fan qui tante pellegrine spade?

perché il verde terreno
del barbarico sangue si depinga?
Vano error vi lusinga:
poco vedete et parvi veder molto
ché 'n cor venale amor cercate o fede.

Qual più gente possede
colui è più dà suoi nemici avolto.
O diluvio raccolto
di che deserti strani
per inondar i nostri dolci campi!

Se da le proprie mani
questo n'avene or chi sia che ne scampi?...

Marika Guerrini
(*) per saperne di più sulla storia dell'Afghanistan: Marika Guerrini, Afghanistan passato e presente, ed. Jouvence. Milano 2014 




venerdì 13 ottobre 2023

Mediterraneo: Mare Nostrum, lo scudo violato e la luce d'Occidente

 ... l'idea del Mare Nostrum non è soltanto una realtà storica, ma è una segreta forza delle genti italiche e mediterranee attraverso i tempi. Per questo motivo essa sorge nell'ideologia del Sacro Romano Impero, affiora nello spirito eroico delle Crociate, nell'etica cavalleresca, nel sistema dell'età feudale, per riaffermarsi poi con le Repubbliche Marinare che daranno vita ad una stirpe di guerrieri e navigatori lanciati alla conquista del mondo. 
Da quell'antica epoca fino al secondo conflitto mondiale, l'Italia, geograficamente e non solo,  ancorata nel cuore del Mediterraneo, significava il predominio di quest'antico mare ed esso assumeva un senso sia spaziale che spirituale a cui gli italici lidi rispondevano facendo di se stessi centro, punto cruciale, zona di irradiazione di grandi forze, a volte incredibili. E sempre, lungo migliaia di anni, era stata la tradizione, la fedeltà alle origini, l'anima di ogni evento che prendesse corpo sulle nobili acque. Malgrado drammi e lotte le avessero attraversate mai erano riuscite a frantumarne il ruolo, o forse compito. 
Poi l'epoca contemporanea. 
In essa, come per avverso destino o deliberato calcolo di chi nega ogni possibilità di evoluzione singola e collettiva, le acque un tempo scudo di grandezza, sono state fatte teatro di lotte intestine, locali e diffuse rivolte, fratricidi conflitti. Il vessillo mostrato da chi, negando evoluzione, violentando sovranità di Stati e di Storia, si è arrogato e si arroga il diritto di intervento nella forma al momento più opportuna alla propria supremazia, sempre sventola professando la difesa del mondo, ammantandosi di filantropismo, di liberalismo, di umanitarismo, da cui la retorica sulla difesa dei diritti umani, su annientamento di pseudo dittature, su esportazione di democrazia, persino su controllo di credo religiosi, e ancora e ancora, il vessillo altro non è, in tal guisa, che dispensatore di menzogna. 
Così all'antico Medi-Terraneus, il nome ne dà senso, veicolo di civiltà, culla di terre che, affratellate dalle sue acque, lo cingono in abbraccio, non è restato e resta che la dimenticanza delle proprie origini, la dimenticanza del compito. Non ha potuto e non può negare di farsi veicolo e spettatore di distruzione e morte. E allora volge lo sguardo alle sue sponde del sud e vede false primavere affollare le vie del Marocco, dell'Algeria, della Tunisia, della Libia, dell'Egitto. E vede la Libia non più primavera ma incendio. E spera sia finita questa eco che ovunque risuona, ma si sbaglia. Ecco, sulle sue sponde ad oriente il Libano e le rivolte, poi lo sguardo scorge l'antica Siria, terra di Assiri, parte di quell'Impero che lo chiamò Mare Nostrum, lì le sponde si incendiano mentre archeologiche vestigia, pilastri dell'Umanità, crollano a farsi polvere. E' nel breve non tempo dello sventolio di uno stesso menzognero vessillo, che lo sguardo si posa sull'antica Palestina, sulla moderna Israele, mentre oltre le sponde, interna l'eco rimbomba da terre che pur se non bagnate dalle sue acque, da secoli e per secoli le hanno attraversate con la storia che portava, unendole, all'italica terra che era stata.
Ed è con lo sguardo posato su quest'ultima che Mare Nostrum o Mediterraneo, che dir si voglia, sente profondi e possenti turbini salire dagli abissi ad agitare le proprie acque, scudo di terre emerse lungo millenni di storia. 
Come ha potuto e può l'Italia, suo cruciale riferimento di coraggio e grandezza, farsi servile? Come ha potuto e può assistere inerte al disfacimento di quel cuore d'Occidente cui i suoi figli, lungo millenni hanno dato lustro unendo mondi e facendosi veicolo di Civiltà? Come ha potuto e può rinnegare l'immaginario ponte lanciato sul suo Mare ad unire storie, culture, genti d'ogni colore e razza, da esso lambite e, a loro volta, messaggere di altrui storia, cultura, Civiltà giunta da Oriente a formare la Civiltà Mediterranea? Come ha potuto e può l'Italia, nella moderna ed attuale decadenza, dimenticare quella superumana legge che la volle luce d'Occidente? 
Questi i segreti interrogativi dello scudo violato. Del Mare Nostrum. 

Marika Guerrini 
  

lunedì 11 settembre 2023

Oggi 11 settembre 2001

...  la medaglia ha sempre due volti. 11 settembre 2001:


" Ore 15, minuto più, meno. Cammino in una via di Trastevere, qui, verso San Cosimato. La mia zona un po' sì, un po' no. Sono uscita da casa che erano le 14,45... La via deserta è calda, piacevole. Qualche folata di aria settembrina scompiglia i capelli all'incrocio dei vicoli... Ho la mente appesantita, il cuore. L'ultimo saluto a una speranza è di due giorni fa. Saluto ad una terra che amo.. Aquiloni non volano più in quella terra.... Avevo sperato in una liberazione da parte di Massoud *....gli è stato impedito. Il capitolo è stato chiuso due giorni fa. Con l'assassinio. E la menzogna ha firmato false identità agli attentatori. E il cuore è pesante. Ora. La speranza è coperta da un drappo verde. Lontano. Nel Panjshir, in Afghanistan. Per chi ancora non avesse capito. Ancora non sapesse, non ricordasse, non volesse.... " Poi il racconto nel libro entra nel vivo: 

"Un ristorante qui, a Trastevere, l'esterno di esso e tavoli rigorosamente vestiti di bianco, rigorosamente vuoti. Qualcuno viene fuori dal locale, va verso un tavolo.... poggia su quel tavolo una piccola radio portatile....E' accesa....Sono lì, sto passando a pochi centimetri...Dalla radio giunge un frastuono a più voci. Indistinto. Non si capisce. Il volume è piuttosto alto. Rallento. Distinguo rumori, sirene. una voce ansima, sovrasta i rumori, prova a farlo. Si scusa per il disagio, la cattiva ricezione. Non comprendo il motivo. Mi fermo. New York colpita, Twin Towers, paura, ecco. Parole scollegata in un contesto sconosciuto. Ancora non capisco. penso ad un racconto radiofonico. Di quelli che danno a volte sulla Rai. Sorrido. cammino. La voce c'è di nuovo, continua nell'affanno. Retrocedo di qualche passo. Affanno, voce, rumori, sirene, troppo realistico. Tutto troppo. Sospetto. Penso: reale. No, non è possibile. Ma ci credo. Subito. L'atmosfera è ferma. Intorno silenzio, alcuna voce che non sia della radio. la piazza mi si apre davanti. C'è un bar non distante, lo so, lo conosco. Vado verso il bar. Alcune persone all'interno, il capo verso l'alto: guardano. In alto su di una staffa a parete un televisore acceso. " A questo punto del libro giungono le immagini che accompagneranno i futuri pensieri:

"Una delle Torri Gemelle di New York ha un aereo in un fianco, si vede la coda. Fumo nero fuoriesce dallo stesso fianco. L'immagine va a ripetizione. Sembrano corpi umani. Mi guardo intorno. Immobile nella sua postazione il barman ha un bicchiere vuoto in una mano. Nell'altra una fetta di limone all'estremità di un coltello. Lo sguardo allo schermo. Ho certezza delle immagini: sono reali, è una diretta. E' accaduto. Le parole dell'inviato neppure le sento, solo le immagini. Nei pochi passi tra la radio e il bar ho pensato: se è vero quel che sospetto d'aver capito, ecco perché l'assassinio di Massoud l'altro ieri. E: è la stessa matrice. Lo schermo sta confermando i miei pensieri.... S'interrompe il replay, cambia il vociare, urla ancora in diretta, altra torre, altro aereo, altra facciata. Stessa dinamica. Ci guardiamo, il barman, le quattro o cinque persone, io. Nello scorrere dello sguardo scorgo due persone in più, alle mie spalle.... sono americani... si sente dalla lingua bisbigliata tra loro. Nessun altro parla, bisbiglia. Sono dell'Accademia Americana, forse, la sede romana di studi e ricerca sita sul colle che si alza da qui, da Trastevere.... Sguardi corrono tra noi. Muti. Poi il crollo, sul video in tempo reale. Le torri si sono afflosciate su se stesse. Hanno ceduto. il simbolo economico, della potenza, la modernità della nostra civiltà è crollato su se stesso.... Ed io non ho provato nulla. A quel crollo, quel vuoto, quel ground zero, come l'hanno chiamato, lo chiamano. Non ho provato nulla.... Alcun pensiero che non fosse silenzio. Poi sono uscita dal bar.... era stato un film. Come fosse un film. Ancora un film. Di quelli visti, rivisti, sui disastri, le sciagure, le catastrofi. Naturali o provocate, dagli uomini o dagli dei. Ce n'è una vasta gamma. Tutti hollywoodiani o di imitazione. E tutti finiscono con gli eroi, l'inno nazionale, la speranza che aleggia sulle macerie del giorno dopo. The day after... Questo il the end. Sempre, la fine....E' la fiaba americana, questa. malate fantasie, bisogno di dimostrare a se stessi la pionieristica capacità di sopravvivenza. Possibile tutto nel manuale dei boy scout." A questo punto, nel testo l'intuizione sul futuro: 

" Ho pensato all'Afghanistan: andranno in Afghanistan. E ho visto.... E ho pianto....Un enorme ground zero. Molto, molto più grande del grande foro newyorkese. Un ground zero quotidiano, d'ogni alba, d'ogni tramonto.... Tanti ground zero disseminati lungo il tempo a venire, a breve. E lo spazio....Questo ho visto. Sarebbe stato. E' stato. Continua ad essere. E'. Cosa si sarebbe addotto al mondo, quale motivazione o menzogna, non avrebbe avuto alcuna importanza. Il mondo avrebbe creduto.... Quel giorno delle Twin Towers ho pregato. Forse. "

Gli attimi di racconto si fermano qui, questi volevamo ricordare, riprendere da uno dei libri di chi scrive. Oggi lunedì 11 settembre 2023.

Marika Guerrini

Nota  

* Ahmad Shah Massoud, Ministro della Difesa Stato Islamico dell'Afghanistan, Governo Legittimo Rabbani-Massoud (1992-2001)

lunedì 10 luglio 2023

Eco assordante delle bombe a grappolo e sue emanazioni

 ... c'è una pagina in "Afghanistan passato e presente" *1, nel corpo dell'undicesimo capitolo, lì, la Storia del paese, quella con la S maiuscola, apertasi millenni prima dell'anno zero, dopo aver attraversato, spesso celata nell'ombra di altro nome, secoli e secoli di grandiosità, aver vissuto imperi e regni, conseguito vittorie persino sull'Impero Britannico, aver conquistato con il trattato di Rawalpindi indipendenza e modernità, si ritrova a sprofondare nella notte della sua stessa vita e lei, la Storia di quella terra si farà storia di altri sulla propria terra. Causa ad oggi nota al mondo: la menzogna. Quest'ultima, partorita in seno all'estremo occidente, verrà attuata all'insegna del Grande Gioco afghano, la vecchia strategia colonialista di kiplinghiana memoria, che vuole l'attore, interprete principale e autore, nascondersi dietro comparse selezionate con cura. Così la Storia di quella terra ha visto l'annullarsi d'ogni antica gloria che, pur fattasi, malgrado occupazioni e avversità,  memoria e traccia di un cammino verso il futuro, si troverà a percorrere un'unica via, ad affondare nella bianca polvere del deserto. E il mondo? Il mondo dopo qualche fiato, dimentico, volgerà altrove lo sguardo senza avvedersi che ogni seguente e presente bellico, benché altrove, benché distante, affonda le sue radici nella strategia usata dallo straniero in quella terra solo geograficamente lontana. Lì, in quell'esperienza  lo straniero affila le armi, fisiche e non, da lì trae tattica e strategia, annullando in essa il percorso evolutivo d'un popolo, sovrano diritto d'ogni popolo. Ma resterà la Storia a ricordarlo, quella che alberga nella memoria del suo stesso genio, e questo a noi basta.
 Ora però è tempo di aprire il libro, andare all'undicesimo capitolo, alla sua pagina e corrispondere al titolo della pagina che si va tracciando.

" In Afghanistan l'occidente ha violato tutti i diritti umani, civili, molti di quelli legislativi, è venuto meno alle dichiarazioni dell'ONU e, oltremodo, ha violato i doveri etici. Seguendo le regole del Grande Gioco, e non per le Twin Towers che siamo certi ne facessero parte, l'occidente, in questo caso Usa e Gran Bretagna, ha tenuto ben presente l'esperienza dell'Armata Rossa che, combattendo sul suolo, aveva dovuto cedere, quindi, preventivamente ha zittito il capo carismatico Massoud, ed ha evitato persino l'ultima lealtà di un combattimento al suolo iniziando con un "intervento chirurgico": bombardamento e invio di "aiuti umanitari". In realtà gli "aiuti umanitari" che venivano paracadutati, avevano, non a caso, gli stessi involucri di plastica gialla delle micidiali bombe a grappolo, il che impediva alla popolazione la distinzione. Sono saltati in aria migliaia di civili, più che altro bambini affamati che, scambiandoli per viveri, perché questo veniva annunciato dagli altoparlanti, si precipitavano a raccoglierli e, per sopravvivere, morivano... Anche i Taliban, in meno di un mese, da 25.000 unità furono ridotti a 10.000, caddero infatti sotto i bombardamenti... fiaccati, furono costretti alla resa...". 

Questo è stato allora, a guida dell'Afghanistan era il Governo Legittimo Rabbani -Massoud nato da libere elezioni (1992-2001)  dopo di allora, dall'ottobre del 2001 in poi, lo straniero, man mano, usando sempre la stessa strategia, ha rafforzato le truppe dei Taliban a proprio uso e consumo  ancor più che nel primo momento destabilizzante il paese, 1996, luogo Kandahar.

Ma, restando alle Cluster Bombs, nome originario delle bombe a grappolo, di recente, per quel caso che non esiste, ho incontrato un giovane uomo afghano, al tempo bambino. E' stato  un brevissimo incontro in un giorno di pioggia, come se il cielo non reggesse il dolore e si sciogliesse in pianto. Poi nulla, silenzio, non ho più visto il giovane uomo né so dove ora sia. Ma quel giorno ha raccontato cose che nessuno vuol sentire, ancor meno ricordare. Cose che neppure chi scrive, se pur avvezzo alle tragiche conseguenze di quella guerra, vorrebbe sentire, racconti le cui immagini non si vogliono ripercorrere, ancor meno narrare. Basti sapere che i segni di quegli ordigni sono sul corpo di Hussein, nome fittizio, come su migliaia di altri se pur diversi o simili. Sono lì, evidenti in un piede che non c'è più, un piede assente. Ma non allora, non nei primi anni di guerra, accadde la perdita, bensì tre anni fa, per esplosione di uno di quegli ordigni in un campo un tempo coltivato, ora misero e spoglio, fatto di ciuffi d'erba sparsi. Esplosione causata dall'inconsapevole scontro di un piede con un ciuffo d'erba apparentemente innocuo.

Le Cluster Bombs, infatti, non formando corpo unico, malgrado il lancio e l'impatto con il suolo, nello spargersi, possono restare inesplose anche per anni, dipende dalle condizioni del suolo, dalla vegetazione se più o meno fitta, e così via. Hussein, si è trovato a passare di lì tre anni fa e, all'improvviso: esplosione, indicibile dolore, perdita dei sensi. Ma la vita che si muove secondo saggezza, ha voluto tenere Hussein con sé e l'espandersi del boato, ha allertato dei passanti poi accorsi. L'eco però è rimasta, incisa, assordante, a ricordare. 

Gli Stati Uniti, tranne che negli ultimi tempi della loro presenza in Afghanistan, non hanno mai smesso di usare le Cluster Bombs, così come altri ordigni di simile portata, anche dopo il 2008, malgrado la Convenzione di Oslo avesse stabilito  (maggio 2008) il divieto assoluto non soltanto dell'uso, ma della produzione ed anche di un eventuale trasferimento. Più di centoventi paesi hanno nel tempo firmato e poi ratificato l'accordo, Italia inclusa. Non l'hanno mai fatto Stati Uniti, Russia, India, Brasile, Israele, Cina e Pakistan.  Ed ora il robot tenuto a capo degli Stati Uniti, ha firmato, suo malgrado, dice, per il bene ucraino, dice, un permesso speciale di invio di bombe a grappolo all'Ucraina, alla mercé di quella teatrale comparsa, selezionata con cura e posta, come da copione, ad apparente guida del paese baltico. Assoluta pericolosa follia! 

Per ora noi ci fermiamo qui. Si lascia alla riflessione del lettore la costruzione della trama e dell'ordito nell'elaborare i fatti lontani, vicini, attuali e contingenti. Trama e ordito come in un grande fiorato tappeto afghano. 

Marika Guerrini

Note 

* Marika Guerrini , Afghanistan passato e presente, -Storia- Jouvence - Milano 2014


giovedì 6 aprile 2023

Migranti: the trail of tears

 




la grande illusione
 ... da "RossoAcero" * 1

"...Scrivo e sono qui, lontana dalla casa romana, nell'angolo di un'Italia del sud... Sono qui, in un'altra casa, altra stanza, altro tavolo dietro ad un'altra vetrata... Un costone separa me e le mie pagine dal mare, poi strapiomba tra vortici e gorghi. E' autunno. E' quasi il tramonto. C'è la mareggiata. Da stamattina soffia il maestrale, anzi da tre giorni. Ora, entrato da un quadrato della vetrata assente di vetro, sta provando a scompigliare i fogli pressati dai ciottoli. Due pile. Fogli segnati in una, in attesa di segno nell'altra. In attesa di divenire racconto.
Il mare ha levigato questi ciottoli. Ci sono sempre ciottoli, pietre, frammenti di roccia, minerali, fossili, sempre dove io sono, ma quasi mai fanno mostra di sé, si rendono utili. Sempre da sempre, dove io sono, tengono ferme le cose. Siano libri, porte, finestre o fogli, appunto. Perché non si inclinino, non sbattano, non volino. Come farebbero questi fogli scritti e non, che volerebbero con le immagini di Melì, di un ragazzo dai capelli lunghi e neri e lisci, di un padre perduto troppo presto. Volerebbero con le cattedrali di Istanbul, il sogno americano, l'Afghanistan, gli stralci d'una certa storia, le leggende in essa, le tue parole. E le parole sulle tue parole... E mentre i ciottoli salvano le cose vicine e lontane, il maestrale con la mareggiata va placandosi nel tramonto.
E' fuori stagione, m'ha detto stamattina un pescatore a proposito del maestrale e: quann ca' stà o' maestral'e, signò, là ce stà o' viento cauro, o' scirocco.*2 Ha detto anche. 
Il suo qua, il là, sono le coste dell'Africa, Oriana, come fosse all'altro capo del golfo. Eppure Totonno o'capitano, come qui lo chiamano per via dei suoi trascorsi di viaggio sui mercantili, il mare lo conosce tutto. Odore, sapore, movimento, bellezza, insidia. Conosce tutti i suoi venti ed i chilometri che percorrono. Conosce la loro intensità, l'origine, la direzione, la forza e la debolezza. Li riconosce al primo soffio, ancor prima del primo soffio. Conosce l'ampiezza di questo mare, le tempeste e la calma.
 O' viento s' fa' o' stesso signo' , e quann'è accussì fort, chill' povere cristian' morn'.*3
Cristiani per Totonno o' capitano vuol dire persone. E' ai migranti che si riferisce, ai naufragi che da tempo popolano questo mare con i corpi dei figli di Allah. Ai naufragi che saranno. E' che, nella semplicità di Totonno, Oriana, quelli che tu chiami figli di Allah, sono poveri e cristiani. Come lui.
Ora tutto s'è placato, il vento, il mare, ora che l'ultimo raggio di sole s'è allungato sull'acqua. E upupe incoronate beccano sul costone non so cosa. 
E' silenzio. Sospensione. Poi il vespro, le campane. Qui come sull'altra sponda il muezzin. Stesso silenzio, stessa sospensione. Chissà se Totonno lo sa o ne ha ricordo, del muezzin, dei deserti, della preghiera oltre il mare di entrambi. Il mare lungo le terre dei disordini che saranno. Poi. A rompere i silenzi. Poi. Teme. Bisbiglia Cassandra." *3  

Parole tratte da un romanzo, parole segnate che era il 2012. Parole date al mondo l'anno successivo con la loro prima edizione. Parole a suscitare immagini vicine e lontane dal loro primo suono, primo segno, eppure parole attuali ché diverse non potrebbero essere. I migranti. Mondi pregni di vite in transito. Mondi di storie trascinate per monti e valli alla ricerca di un sé lasciato alle spalle. Mondi in balìa di flutti. Chi è l'Oriana a cui lo scrittore si rapporta? E' Oriana Fallaci sensibile giornalista così come scrittore, malgrado al fine infettata dalla patologia di quella terra che chiamiamo America, come fosse la sola ad essere tale e non soltanto parte delle Americhe. Prima dell'incontro con Totonno o' capitano, infatti, chi ha dato vita al comporsi del romanzo, ricorda ad Oriana la rabbia e l'orgoglio a cui la giornalista aveva dato errato indirizzo: rabbia verso la terra afghana, orgoglio per gli Stati Uniti d'America. Ed è per questo che riporta le sue parole denominanti figli di Allah i popoli musulmani, di cui la Fallaci aveva compreso ben poco o forse nulla. Così, nello snodarsi delle parole, nel raccontare ad Oriana la vera America attraverso la storia dei nativi, attraverso ricordi di famiglia con la vita di Melì, madre di sua madre ed il padre di lei, Joseph, entrambi figli legittimi di quell'America a cui la Fallaci canta gloriosi peana, con l'evocare la profetessa Cassandra, la visione futura delle cose del mondo che si sarebbe attraversato, il suo vaticinio, chi narra giunge a Totonno che con semplicità e sottile verità risponde all'ipocrisia dei quesiti irrisolti ancora oggi. In questi nostri giorni. 
In tal guisa si evidenzia da centinaia di anni, benché in tempi e luoghi sempre diversi, il fenomeno delle migrazioni forzate ad opera, diretta o trasversale, della strategia "americana", l'annientamento altrui a favore d'una propria mondiale, o quasi, supremazia. C'è qualcosa però che non va dimenticata, l'origine britannica della strategia che, all'inizio della tuttora adolescente storia degli Stati Uniti d'America, tracciò il "Cammino delle lacrime", "The trail of tears" con la persecuzione dei popoli nativi, unici figli realmente legittimi di quella terra.
Quanti cammini intrisi di lacrime saranno ancora da percorrere prima che venga permesso alla consapevolezza di afferrare le redini dei popoli?

 Marika Guerrini

Note

* 1) Marika Guerrini, RossoAcero, Città del Sole Edizioni, Reggio Calabria, 2013 
         
* 2) Trad. dal dialetto cilentano: Quando qua c'è il maestrale, signora, là c'è il  vento caldo, lo
     scirocco .
            
* 3) Trad. dal dialetto cilentano: Il vento è lo stesso, signora, e quando è così forte quei poveri 
      cristiani muoiono.



domenica 15 gennaio 2023

Iran: "Memoires" le origini del malessere iraniano


... " Nous avion quitté Téhéran par un vent glacial... ce 16 janvier 1979..." (1). Questa immagine mi ha introdotta al libro " Mémoires", éditions XO Paris, 2003. Autore S. A. I. Farah Pahlavi, nata Diba. 

E' avvenuto vent'anni or sono. La notizia dell'esistenza di "Mémoires" mi era giunta a poco più di un mese dall'uscita editoriale, avevo ordinato il libro alla casa editrice, mi era stato consegnato in una settimana. Liberato dall'involucro di carta l'avevo aperto a caso e, per quel caso che non esiste, mi ero trovata a pagina 295 sulle parole di cui sopra in una sferzata di vento glaciale. Prime parole della quarta parte del testo. Inizio della fine. Così, il soffio gelido di quel vento immaginato a raggelare l'animo più che i volti all'aeroporto di Téhéran, aveva raggelato il mio respiro riportandomi alla mente un'altra immagine, quella di un uomo il cui ultimo gesto, prima di imboccare la scaletta dell'aereo, era stato chinarsi, raccogliere un pugno di terra e deporla in tasca. Quell'uomo era lo Shah Reza Pahlavi e quel gesto sarebbe stato l'ultimo compiuto nella sua terra. La visione del ricordo aveva acuito in me ancor più il gelido soffio immaginato, mostrato ancor più lo straziante dolore del Sovrano. 

Da allora, da quell'immediata lettura allargatasi poi a tutto il testo, fino alla scorsa settimana, il volto di Farah Pahlavi, impresso sulla copertina, avrebbe occupato per circa vent'anni la prima fila di uno scaffale nella libreria del mio studio, ora è qui al mio fianco, sulla scrivania, il suo volto è nascosto, il libro aperto mostra la dedica dell'autrice: A' la memoire de tous ceux qui ont été assassinés par l'obscurantisme. A' la memoire de tous ceux qui ont donné leur vie pour l'integrité de l'Iran. Au peuple iranien. A' mes enfants. Pour l'amour de mon roi." (2)

Ho vissuto in Iran in tempi inizialmente non sospetti fattisi poi sospetti, tempi in cui i prodromi di quella che sarebbe stata la fine del Regno, si sarebbero fatti sempre più evidenti a partire dalle università in cui l'iniziale subdolo volantinaggio contro lo Shah, si sarebbe fatto sempre più palese. 

Ho vissuto in Iran in quei tempi, a Mashhad, ho vissuto i prodromi all'ombra della grande moschea dedicata all'Imam Hussein, ho vissuto nelle strade su cui quotidianamente centinaia di pellegrini si riversavano ad onorare il Santo in quella città santa, ho camminato tra la gente indossando jeans e T-shirt, accanto a donne anziane alcune con indosso il chador, accanto a giovani donne che il chador avevano dimenticato. Ho vissuto in quell'oriente mentre tra gli studenti, al maschile o femminile che fossero, volantini passavano di mano in mano a sobillare gli animi istillando il morbo della Rivoluzione. Ma suoni vocali quali libertà, modernizzazione, potere al popolo, auspicanti una successione del clero al Governo in atto, avevano un amaro sapore, qualcosa stonava alle orecchie, ai pensieri, alle riflessioni di ventenni studenti stranieri, presenti in quel paese a ricercarne l'antica storia, la letteratura, l'arte, ed ancor prima, gli antichi imperi. E stonavano ancor più vivendo tra la gente del popolo, percependo il loro amore per lo Shah Reza e la Shahi Farah, amore espresso con semplicità, malgrado svariate pecche compiute da parenti dello Shah e dalla Savak, la polizia segreta di Stato che spesso, troppo spesso, fosse per quell'estremizzare che caratterizza il dna iraniano, fosse per eccesso di zelo o, come accadde poi, per tradimento nei confronti del Sovrano, usavano violenza facendo credere che l'ordine venisse dall'alto, risultasse lui il mandante. "...la police agissait parfois sans aucun discernement...j'en parlai au roi, qui démit le chef de la police nationale..."(3) 

Frequenti episodi in tal senso si susseguivano quasi quotidiani, ma l'azione punitiva del Sovrano veniva taciuta. Sì, complotti su complotti si susseguirono sotto il cielo iraniano del tempo. Scriverà lo Shah nel suo diario: "L'erreur que j'ai faite c'est de n'avoir pas utilisé nos propres médias pour lutter contre cette intoxication incessante."(4)  

Eppure il popolo semplice, quando si sentiva libero da qualsivoglia costrizione, esprimeva amore per quel Sovrano che aveva principiato riforme su riforme, quali libertà di velo per le donne, frequenza di scuole d'ogni ordine e grado, borse di studio elargite per paesi esteri, modernizzazione della tecnologia, evoluzione in campo medico sanitario e persino l'esilio per esponenti del clero che perseguivano l'ortodossia attaccando ogni riforma e più di tutto l'emancipazione femminile. Tra questi l'àyatollàh  Ruhollāh Khomeyni. 

Certo, non si trasforma un paese in un anno né in due e neppure in dieci, tanto più se la cultura è antica e i fanatismi religiosi agiscono sulle genti, così che, per ovvie ragioni, quel mondo non possa fare altro che muoversi avanzando e retrocedendo. Malgrado ciò era lampante che tutto fosse stato avviato per la trasformazione, l'emancipazione, la modernizzazione, checché se ne sia detto e scritto nel nostro malato occidente e si continui a farlo: " Le plus incompréhensible était que tout ce que la monarchie avait fait de positif pour l'Iran était décrit d'un seul coup comme négatif par les médias occidentaux.." (5) 

C'era però qualcosa che il popolo semplice rimproverava al Sovrano: la scarsa severità verso gli oppositori, verso l'ortodossia del clero, verso le azioni della Savak e dei giovani ribelli. Ma allo stesso tempo l'antica saggezza del popolo semplice, faceva sì che la comprensione per le enormi difficoltà in cui versava lo Shah nell'attuare la trasformazione della società, vivesse comunque. E proprio questa comprensione sarebbe stata poi attaccata e recisa usando la religione quale arma sul popolo semplice, mentre sui giovani si sarebbe usata la falsa promessa dell’ideale democratico.

Certes, je n'attends pas de la jeunesse qu'elle se montre conservatrice. Dans tout le pays, elle se porte vers les idéaux qui lui paraissent les plus généreux. Au nom de la justice, on peut lui faire faire des grandes choses. Mais aussi les pires." (6)  Parole di Reza Shah pensando e scrivendo dei giovani manipolati da coloro che stavano preparando la fine del Regno ed il rientro di Khomeyni che avrebbe usato la religione facendola passare attraverso i giusti ed innati ideali dei giovani. A proposito della manipolazione e l'uso, in qualche riga precedente, ancora lo Shah: " Il leur fallait des troupes; ils les trouvérent dans les universités et, bientòt, jusque dans les écoles. Avec succés, malheureusement." (7)

Lo Shah da tempo, pur consapevole delle avversità intestine, delle manovre avverse del clero, aveva deciso per una democratizzazione della società, una liberalizzazione del regime, di continuare a regnare ancora per poco tempo, il necessario per la formazione del figlio alla successione, nel frattempo governare secondo la Costituzione accordando al paese tutte le libertà necessarie al formarsi di una democrazia. Ma gli oppositori, gli intellettuali e i giornalisti che poi avrebbero inneggiato ed appoggiato i mullah e Khomeyni, continuarono ad agire come se lui affermasse il contrario. Non poche furono le modalità di menzogna, tra cui: " Le cynisme des agitateurs ne connuut pas de limites, On m'a rapporté le cas de gens décédés de mort naturelle, de maladie ou qui avaient péri dans un accident et donc le corps avaient été récuperés... hissés sur les épaules de quelques meneurs qui s'en allaient les promener à travers la ville vociférant: Voilà une victime du regime! ..."(8)  

Ancora da un diario dello Shah, che, dimagrito e silenzioso, con l'avanzare delle rivolte spesso diceva come a se stesso: Mais pourquoi ? Pourquoi?  Ma perché? Perché? non comprendendo perché un popolo con il quale per lungo tempo si era sentito in comunione avesse ceduto ad uno oscurantismo religioso.

 

Reza Shah ama il suo popolo, mi disse un giorno Leylamentre, sua ospite, me ne stavo accovacciata su di un kilim sorseggiando del tè rosso e seguendo in tv la visita della Shahi ad una scuola di Tabriz. In quell'occasione mi avrebbe mostrato con orgoglio vecchie foto di quando, bambina, aveva incontrato lo Shah in visita alla scuola di Mashhad da lei frequentata. Era una donna semplice Leyla, il marito faceva il taxista, la sua bambina si chiamava Shirin, aveva sei anni. A Shirin parlavo in italiano perché lo imparasse, lei rispondeva in persiano perché lo imparassi. La loro casa confinava con quella di noi quattro studenti italiani, i nostri giardini erano invisibili l'uno all'altro per via dell'alto muro di cinta che li circondava, ma si udiva lo zampillio delle piccole fontane circolari sì che un perenne saluto. Era una donna semplice Leyla con l'acutezza antica d'una terra antica non ancora contaminata da mode d'occidente. 

Ma, ecco, mi sono lasciata andare al ricordo personale, mi scuso con il lettore per l'inopportuna debolezza, intanto è giunto il tempo di chiudere questa densa pagina, lasciamo la parola a "Memoires", all'ultima sovrana di quella terra tornata all'attualità, sovrana Farah Pahlavi, benché in esilio, perché non c'è rivoluzione che possa cancellare la sovranità, al contrario la sovranità può placare una rivoluzione quando e se non venga tradita. 

Notre arrivée à la Maison Blanche fut un moment difficile. Des manifestants s'étaient massés derriér les cordons de sécurité, certain pour nous applaudir, d'autres pour nous insulter..."  così, mentre Reza Shah e Carter in presenza di giornalisti e personalità, ebbero il primo scambio di parole "...de violentes bagarres éclaterént entre les manifestants de sort que la police dut intervenir... je me dis en moi-meme qu'au temps de Richard Nixon jamais les manifestants n'auraient été autorisés à s'approcher si prés de nous...C'est au cours de ce voyage officiel que je découvris avec stupéfaction le portrait d'un de nos religieux agité par un groupe d'étudiants..." (9) e poi ancora: “ ...l’opposition iranienne avait vu en Carter un allié pour ses combats de demain, et le vent de revendications n’aurait sans doute pas soufflé avec cet force si un autre homme avait accédé à la Maison Blanche...” (10)   

La pagina si chiude qui, sulle parole tratte dalla visita ufficiale di Reza Shah e la Shahi Farah alla Casa Bianca, Stati Uniti, novembre 1977, presidente il democratico Jimmy Carter.

Il ritratto issato e agitato dinanzi alla Casa Bianca da studenti iraniani era quello di Rudollàh Khomeyni.

Non c'è altro da dire.

 Marika Guerrini

 

NOTE di traduzione

 !) “Abbiamo lasciato Téhéran con un vento glaciale... questo 6 gennaio 1979”;

2) “Alla memoria di tutti coloro che sono stati assassinati a causa dell’oscurantismo. Alla memoria di tutti coloro che hanno dato la loro vita per l’integrità dell’Iran. Al popolo iraniano. Ai miei figli. Per l’amore del mio Re”;

3) “La polizia agisce senza alcun discernimento”;

4) “L’errore che ho fatto è non aver utilizzato i nostri media per lottare contro questa incessante intossicazione”;

5) “La cosa più incomprensibile era che tutto ciò che la Monarchia aveva fatto di positivo per l’Iran veniva immediatamente descritto come negativo dai media occidentali”;

6) “Certo non mi aspetto dalla gioventù che sia conservatrice. In tutti i paesi ella mira a quegli ideali che sembrano più grandi. In nome della giustizia si possono far compiere alla gioventù grandi cose. Così come dei disastri”;

7) “Avevano bisogno di truppe, le hanno trovate nelle università e ben presto anche nelle scuole. Con successo, malauguratamente”;

8) “Il cinismo degli agitatori non ha limiti. Mi è stato riferito di gente deceduta di morte naturale, di malattia o che sono morti in un incidente, dopo di che il corpo è stato recuperato... issato in spalla da qualche capo (rivoluzionario) che si è messo a camminare per la città urlando: ecco una vittima del regime!” ;

9) “Il nostro arrivo alla Casa Bianca fu un momento difficile. Manifestanti si erano ammassati lungo i cordoni di sicurezza, alcuni per applaudire altri per insultarci... violente risse scoppiarono tra i manifestanti, tanto che dovette intervenire la polizia... io dissi a e stessa che al tempo di Richard Nixon i manifestanti non sarebbero mai stati autorizzati ad avvicinarsi a noi... Fu durante questo viaggio ufficiale che scoprii, con stupore, il ritratto di uno dei nostri religiosi che veniva agitato da un gruppo di studenti...”.

10) “...l’opposizione iraniana aveva visto in Carter un alleato per le sue battaglie future e il vento delle rivendicazioni non sarebbe esploso con quella forza se un altro uomo fosse stato alla Casa Bianca”.

 





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