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Suleiman Mansour - Donna che porta Gerusalemme- 1997 * |
... giorni e giorni, mesi, sono trascorsi in attesa che qualcosa, la pietà forse, arrestasse l'insostenibile violenza che, in quotidiane immagini, giunge da quel lembo di Palestina dal nome Gaza, a partorire dolore, insostenibile anch'esso. Ma nulla è accaduto, vana l'attesa mentre violenza si sommava a violenza e urla e pianti e occhi di terrore e bambini. Lontana la culla, l'amore, la casa, la vita. Mio Dio quanti bambini! Vana la speranza di pietà mentre rimbomba il complice silenzio del mondo che potrebbe, se volesse, arrestare il flagello, ma resta a guardare il genocidio in atto, genocidio ineguagliato nella storia da che vi è storia, genocidio paragonabile a quello perpetrato sui Nativi Americani attuatosi però in un più ampio lasso di tempo. Dinanzi a questo tutto i giorni dell'attesa si sono esauriti, lo sguardo dell'anima si è portato a contemplare il ricordo, il sole vivo e splendente da sempre in quella che fu terra di luce. Allontanatasi dalla contingenza, l'anima potrà permettere alla mente di elaborare, segnare questa pagina sì che non sia intrisa di violenza anch'essa, sì che possa guidare il dolore, guardare dall'alto il flagello, permettere la compassione, la pietà. Ed è così che antiche immagini hanno preso a scorrere su quella che fu Terra Promessa, poi Santa, la Ertz Israel del suono ebraico, Palestina nell'italo suono. Ed è così che lo sguardo è tornato laggiù, in quella terra lambita dal mare e dal deserto, fresca ed arsa, è tornato sulla via che da Gaza porta a Gerusalemme, poi procedendo verso est ha sostato sul Monte degli Ulivi volgendosi alla città più volte distrutta, più volte rinata, a Gerusalemme. Città di Davide, città che Ezechiele profetizzò "centro della terra" nonché "madre del genere umano"(1). Ivi giunto, lo sguardo dell'anima si è inoltrato nei vicoli della città Santa e ha continuato finché, improvvisi, rossi papaveri si sono mostrati alla vista lungo i fianchi rocciosi della montagna affacciata sulla solitudine del deserto. E' stato allora che una domanda è giunta alla mente: come può tanta aridità permettere tale fioritura? Alla domanda parole millenarie si sono presentate: " Osservate i gigli del campo come crescono, non lavorano né filano, ma vi dico che neppure Salomone, in tutta la sua gloria, fu mai vestito come uno di essi" (2). E l'animo, al ricordo delle parole, si stupisce della propria dimenticanza . E' lì, sosta in questo sentimento quando, rientrato a Gerusalemme, altre parole risuonano: " Asciugherà il Signore Jahvé le lacrime su ogni volto"(3). E ancora l'animo si stupisce. Poi qualcosa, forse il colore del deserto, il suo riverbero o quello remoto del mare, o forse la tensione dell'anima a tener lontano il frastuono del flagello in atto comunque nello spazio fattosi imminente malgrado la realtà geografica, certo è che qualcosa è emerso da studi giovanili, versi anch'essi lasciati alla dimenticanza, versi di Elsa Lasker Schueler, (4) versi dedicati al Signore degli Eserciti, passati poi alla liturgia cristiana quale Sanctus Signore Dio dell'Universo, versi tratti da "Il canto dell'eletto", eccoli: " Sabaoth dice nella sera: tu devi allontanare con amore (le angustie)
E io ti donerò le perle della mia corona
Trasformerò il tuo sangue in miele d'oro gocciolante
Cospargerò le tue labbra con i profumi delle mandorle dolci
Tu devi dissipare con amore!
E circonda le mie feste con l'oro fuso del tuo giubilo
E la malinconia che affligge Gerusalemme con i germogli di infiorescenze cantatrici
Un giardino rigoglioso diventerà il tuo cuore e dentro sogneranno i poeti.
Oh, un giardino pensile sarà il tuo cuore patria dell'alba di tutti i soli,
E verranno le stelle a dire alle tue notti lo scintillio del loro sussurro.
Sì, mille rami tesi sosterranno le tue braccia
E saranno suadenti consolazioni alla mia nostalgia di Paradiso"
E ancora nella poesia " Caos":
" La mia madrepatria è un'anima vuota,
là non fioriscono più le rose nel caldo respiro..."
Sulle parole che Else Lasker Schueler, figlia di Israele, tracciò per la propria terra d'origine, alla ricerca della propria identità, e sulle immagini pittoriche di Suleiman Mansour, arabo palestinese, di cui un'opera è qui riportata, questa pagina volge al termine. Entrambi, la Schueler, tempo fa e Mansour ancora oggi, accompagnati nell' esilio dal ricordo della patria perduta, se pur in diversa forma. Decine e decine di artisti d'ogni ramo, d'ogni origine, artisti di quella terra, sono stati accompagnati e sono accompagnati dal rinnovarsi d'uno stesso dolore. Da antico tempo, da tempo passato e nel tempo attuale. Quanti saranno oggi, ora, i palestinesi a cui sarà permesso di attraversare in vita la stessa nostalgia mentre innocenti volti di Abele quali candidi gigli imbiancheranno il cielo?
Schalom, As-salaam Alaykum, Pax Vobiscum, antico e perenne s'alza un appello vitale, appello dallo stesso significato che non può essere ignorato. Non c'è altro da dire.
Marika Guerrini
note
*) Suleiman Mansour (Ramallah- Palestina 1947) pittore e scultore di spicco, le sue opere sono esposte in tutto il mondo.
1) Ezechiele, Salmo 87,5
2) Matteo 6, 28-29.
3) Isaia 25,8
4) Else Lasker Schueler (Helberfeld oggi Wupperal 1869- Gerusalemme 1945) figura centrale della poesia tedesca.