domenica 19 gennaio 2014

KABUL

... diciottesimo giorno di questo nuovo anno, due giorni fa. 
La stilo aveva preso a tracciare su un foglio parole per comporre questa pagina, appunti di contenuti da sviluppare poi, digitando sulla tastiera. Parole sull'attentato a Kabul di cui, all'alba, una voce amica, al telefono mi aveva reso partecipe: c'è stato un attentato ieri sera, aveva esordito: qualcuno s'è fatto esplodere nel locale del ristorante libanese, quello a Wazir Akbar Khan, il quartiere residenziale, nella stradina, ricordi? Sì, avevo risposto. 
Poi: s'è fatto esplodere al chek della porta di metallo, due suoi complici sono entrati subito dopo e si sono messi a sparare all'impazzata, poi sono stati uccisi.
La voce aveva continuato indifferente al mio sonno interrotto, alla fatica d'un assurdo risveglio, indifferente alle tre ore e mezza di fuso orario. Aveva continuato col numero delle vittime: 21, col fatto che 13 fossero stranieri, che vi fossero funzionari dell'Onu, che uno di questi fosse un incaricato dell'Unama, la missione Onu a Kabul, Vadim Nazarov, che vi fosse anche Wabel Abdallah, libanese, rappresentante del Fondo monetario. Aveva continuato col ricordare che la zona era sempre sotto stretta sorveglianza proprio per la presenza di ambasciate, abitazioni di diplomatici, uffici. Dopo, la voce era passata al: buon giorno e tu come stai? Stavo meglio prima, quando stavo dormendo, avrei voluto rispondere, invece ho sorriso alla cornetta, a me stessa e: bene, bene... Circa quattro ore più tardi, avevo preso a tradurre in parole su di un foglio la notizia, aggiungendo che l'azione era stata rivendicata dai taliban, ma che questa cosa non ha alcun significato, che il termine taliban altro non è oramai che una sigla, così come al-Qaeda, una sigla di comodo. Ribadendo, per l'ennesima volta che il concetto di taliban ha acquisito da tempo, in Afghanistan, un senso diverso, un diverso significato, per via della sostanza, per il fatto che la maggior parte di quegli uomini sono solo afghani combattenti per la libertà dallo straniero, dall'invasore, dal degrado morale in cui è stato fatto precipitare il Paese. Aggiungendo che è ora di smetterla con la menzogna della guerra al terrorismo, dell'aiuto alla popolazione, della democrazia da esportazione. Ricordando che i combattenti islamici jihadisti legati ad al-Qaeda sono frutto dell'intelligence occidentale, formati negli ultimi tempi della Guerra Fredda, sguinzagliati poi in tutta la regione, rafforzati in seguito all'invasione dell'Afghanistan e dell'Iraq eccetera eccetera, continuando con  cose dette e ridette. Avevo pensato di agganciarmi alla parole di Malalai Joya per non sentirmi Giovanni nel deserto: " Questa guerra vile e disgustosa, sta riducendo il nostro paese in uno Stato di mafia e crimini di guerra...sono 12 anni di barbarie, la soluzione ai nostri problemi non verrà mai dagli eserciti che stanno occupando il Paese. Nel 2014 l'amministrazione Obama ha detto che gli americani lasceranno il Paese, ma è una grande bugia, gli Usa hanno approvato la creazione di basi militari private che resteranno", sì, le parole di quest'ex parlamentare afghana ripudiata per il suo senso di verità e il coraggio d'esprimerlo, Malalai, che ora viaggia per il mondo a raccontare la verità sull'Afghanistan e in patria vive in clandestinità per le continue minacce alla sua vita. Questo stavo scrivendo quando il telefono ha squillato interrompendo il flusso delle parole, dei pensieri, quando ha squillato nuovamente e in linea v'era ancora Kabul. 
Era flebile questa diversa voce, era giovane come di fanciulla. Era Aidha, la sua voce. L'ho riconosciuta al: morning Marika jan...l'ho riconosciuta dopo oltre un anno di silenzio, l'ho riconosciuta subito. Ci siamo salutate, ero felice di sentirla, le ho fatto mille domande in quella nostra lingua mista tra inglese dari e italiano, poi lei:  Ricordi, Marika jan, Jamal? Sì. certo che lo ricordo. Ci siamo sposati l'anno scorso, ma l'altro sabato sono scappata da casa. 
La storia cambia. Lei racconta io ricordo, immagino. L'altro sabato è una settimana fa. Erano stati promessi l'uno all'altra che avevano dieci anni. Ora ne hanno diciassette. Aidha parla di eroina, di violenza, di botte ricevute. Parla di un bambino perduto per le botte ricevute al quarto mese di gravidanza. Aidha parla e il cuore mi si stringe. E' orfana di guerra Aidha, di questa sporca guerra. Ora è tornata da una vecchia zia, di Jamal non sa nulla da una settimana. Ricordo Jamal, era un bambino splendido nel cuore e sul volto. 
In Afghanistan un grammo di eroina costa meno di 7 dollari, circa 5 euro. I tossicodipendenti, ad oggi, sono più di due milioni, un numero enorme dove deserto e montagne diradano gli uomini, un numero in aumento. Di questo numero un terzo sono donne e bambini. Bambini molti assuefatti già a due, tre anni per induzione, dal respiro dei genitori. Nella sola Kabul i tossicodipendenti sono oltre 70.000. L'antico palazzo di Darul Aman, vecchia sede culturale reale, ora forato in ogni dove, di notte è un girone dell'inferno dantesco, lo stesso girone che di giorno è sui prati e sotto i ponti della città, tra fango ed acque gelide in inverno putride in estate. E pensare agli antichi giardini di Kabul, alle sue antiche bellezze. ma questa è un'altra storia. E' storia di ricordo. 
Ora, la peste silenziosa, l'AIDS, s'aggira per la città in aumento anch'essa, mentre dalle raffinerie d'oppio, prima inesistenti così come sconosciuta era l'eroina, piovono sul popolo quantità di questa sostanza e, negli ultimi tempi anche di crack. L'abbiamo detto in altre pagine, ma lo ripetiamo: le raffinerie, tante, sono tutte in zone controllate da Usa e GB. E il traffico parte e si sviluppa al 99% dalle stesse zone. 
E' così che si distruggono i popoli, che si annientano le generazioni, che si frantumano interi mondi. Sono armi micidiali queste, altro che le chimiche della Siria.  Kabul s'è fatto emblema di devastazione, emblema d'un paese annientato, sgretolato non solo nelle sue mura, nelle sue millenarie bellezze naturali, artistiche, storiche, ma nell'anima, nella moralità, nella dignità. E  la droga ha gioco facile, "solleva" dalla disperazione, ottunde le coscienze, annulla il dolore, ogni dolore. Dinanzi a questa devastazione gli estremismi, se ci sono si acuiscono, se non ci sono, si formano. Da una parte e dall'altra, nella criminalità che contribuisce, alimenta, la distruzione, nel fanatismo che ad essa vuol porre fine. Dove far pendere la bilancia? I così detti taliban, non sono nulla o quasi al confronto di questa occidentale vile arma di distruzione di massa, questa strategia di morte. Come potremo sostenere la severità degli sguardi afghani, di coloro che resisteranno alla nostra criminale follia?
Marika Guerrini

scatto di Barat Alì Batoor

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