venerdì 6 marzo 2020

Afghanistan e la macabra farsa senza plauso


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... la scorsa settimana, il giorno 1 marzo, in seguito alla firma di pace suggellata da una stretta di mano avvenuta a Doha ventiquattr'ore prima, tra Abdul Ghani Baradar e Zalmay Mamozy Khalilzad, rispettivamente inviato per gli Stati Uniti e diplomatico afghano di adozione americana, già Segretario di Stato nonché Ambasciatore per gli Usa sotto la presidenza G.W. Bush e B. Obama, ed il capo della delegazione talebana portavoce di quest'ultima, un mio amico, in una telefonata da Bruxelles, si chiedeva e mi chiedeva, come mai, data la lieta novella afghana, non avessi accennato alla cosa. L'interrogativo non celava il sottile rimprovero verso quel che riteneva una mia distrazione o peggio, una noncuranza, né sarebbe stata celata la sua delusione alla mia risposta: Non mi presto alle farse, scriverò qualcosa tra qualche giorno, quando l'accordo si rivelerà falso. 
Da qui era nata una discussione, lui difendeva a spada tratta il ramoscello d'ulivo, io apostrofavo le sue parole con ironia ed una certa fastidiosa apparente saccenteria circa l'aspetto antropologico a tutto tondo degli afghani e l'utilitaristica ipocrisia americana. Così dopo uno spiacevole scambio di opinioni, per fortuna intervallato da qualche risata, la telefonata si era chiusa sui saluti e gli: a presto pronunciati da entrambi. 
Con un intervallo di una manciata di minuti da questa telefonata, me ne giunge un'altra, stavolta da Kabul e la voce di un conoscente dice: L'accordo è saltato, Ghani non cede sulla liberazione dei prigionieri. Alla notizia pur scontata segue il mio: Ovvio, accordo previo accordo! Non c'è bisogno d'altro, ci siamo capiti. Intanto la notizia circolava sul web a conferma del falso e dell'ovvio. 
La prima guerra lontano dai propri confini gli Stati Uniti, formatisi da breve lasso, la combatterono poco più di duecento anni fa nel Mediterraneo contro un certo Yusuf Qaramanlì figlio del Pascià di Tripoli Alì Qaramanlì. Siamo alla fine del XVIII secolo e Yusuf Qaramanli è senza dubbio una figura controversa, Signore di Misurata, s'era fatto "strada" spargendo sangue ovunque andasse alla conquista, ma questo tutto sommato non si discostava dal modus vivendi che all'epoca riguardava un po' tutti i conquistatori erranti, né si discosta oggi da quel tempo il modo di agire americano, infatti anche allora, come sempre poi, il "pirata" del Mediterraneo aveva prosperato nelle sue angherie grazie all'aiuto occidentale, in special modo americano. Questa la tecnica tradotta in parole: ti aiuto, dopo di che se stai ai miei ordini ti uso, altrimenti ti ricatto o ti attacco. Questa è la tua libertà, la democrazia, e la civiltà di cui io AMERICA ti permetto, magnanimamente, di far parte! 
 Il commento è superfluo e banale ma, per chi avesse curiosità da soddisfare nonché tempo da perdere, basta che apra la finestra sulla storia e lanci uno sguardo sui vari paesi venuti in contatto ravvicinato con gli Stati Uniti, egli vedrà sempre snodarsi in cronologia sei fasi: 
1) fianco scoperto dato da problematiche interne del Paese nel mirino di conquista 

2) strisciante fomentazione straniera di manifestazioni, atti terroristici e fac-simili

3) guerriglia, sempre interna, o guerra civile, asseconda del popolo e del suo capo

4) intervento americano (a volte preceduto da intervento di un suo paese alleato) a         difesa  della salvaguardia dei diritti umani minacciati quasi sempre da dittatori e simili

5) bombardamenti sul paese in questione, elemento questo moderno per via dell'uso di             aerei ed ordigni esplosivi mentre prima tutto si svolgeva su vie d'acqua e di terra

6) inizio occupazione previo sbarco e ulteriore capillare distruzione via terra, oggi 
    azioni queste sempre accompagnate o precedute da bombardamento.

A questo punto gran parte del paese vittima in questione è spacciato.
La differenza tra ieri ed oggi è nell'ulteriore umano declino, poiché mentre in precedenza, fino al XIX inizio XX secolo le guerre, benché terribili, richiedevano comunque coraggio se non altro per il corpo a corpo, oggi c'è la viltà delle bombe a spianare la strada, modalità questa per cui gli Stati Uniti andrebbero insigniti del Nobel esattamente come il penultimo inquilino della Casa Bianca. Bisognerà pensarci.
C'è una speranza per l'Afghanistan? Mi viene chiesto di frequente. Non lo so, rispondo per non apparire illusa, ma forse ciò di cui sono convinta è che Speranza non sia l'ultima dea, ma la dea dei coraggiosi, di chi non s'arrende. E proprio questo è il punto dolens. L'Afghanistan nei millenni, da che non esisteva come nome neppure lontanamente negli odierni confini, è stato sempre popolato da guerrieri coraggiosi ed indomiti, le cui tracce, se pur pallide, si sono viste fino al 1989 con la ritirata dell'Armata Rossa sovietica, si sono viste con Ahmad Shah Massoud, assassinato, checché se ne sia detto, dai servizi segreti che è superfluo menzionare. Un Paese le cui tracce di coraggio emergono ancora da alcuni suoi giovani, figli silenziosi, che chi scrive ha avuto la fortuna di incontrare ed amare come propri figli, cosa che le ha permesso di toccare con mano il coraggio di quel popolo, cosa che ora, malgrado esso sia in parte venduto, in parte fiaccato e totalmente distrutto quando non ucciso ( 100.000 vittime civili a partire dal 2009, tralasciando gli otto anni dal 2001), fa sperare comunque, ma dovrà trascorrere tempo e tempo perché una nuova generazione possa sorgere e crescere nel grembo di quella terra. Ecco il punto più doloroso: quel terribile ottobre del 2001, per loro Rajab 1422, che gli afghani, se potessero, cancellerebbero dal loro calendario, non ha aperto soltanto una triste pagina della loro storia, ma da quel momento ha aperto il varco al dilagare della peggiore delle armi, ancor più infida d'ogni altra fino ad allora usata: l'eroina.
L'azione bellica straniera dopo aver costruito la prima raffineria d'oppio afghana, anno 2002, ha preso a potenziare la propria guerra con la distruzione della gioventù afghana, ovvero il futuro del Paese e del suo popolo. Ha preso a distruggere la possibilità della speranza, naturale in un popolo di antico coraggio guerriero, proprio per questo ancor più vulnerabile rispetto ad altri per le ferite dell'anima che vengono a farsi ancor più profonde. E questo non è un caso, ma uno studio deliberato e consapevole, perché chi pianifica certe strategie, non è il generale di turno o chi per, no, loro sono esecutori di disegni di grande intelligenza tracciati da conoscitori dell'animo umano e delle possibili fragilità da procurare o usare.
Certo non tutti i giovani afghani sono vittima dell'eroina, ma molti di quelli che popolano la massa, coloro troppo poveri per avere mezzi per studiare, troppo poveri anche per fuggire dall'inferno della distruzione pagando trafficanti di uomini che procurino loro una via di fuga, a quei giovani viene offerto un inferno gratuito, lì, a portata di mano, un inferno inebriante, un inferno che fa dimenticare di stare vivendo in esso. e cosa c'è di più bello del perdere la coscienza degli affanni se non lasciarsi andare alle illusioni che si fanno credere realtà. Il fatto che siano allucinazioni non ha alcuna importanza. Arma di grande intelligenza questa. Ma occiriente ed i libri di chi scrive hanno già trattato l'argomento in pagine e pagine.
"Sai, signora, io così sono felice, non penso più, è tutto bello", queste parole scolpite in me, furono pronunciate un giorno da un giovane afghano, La pronuncia di esse mostrava l'assenza di denti su un volto che s'intuiva dovesse essere stato bellissimo. Non seppi rispondere. La mia comprensione nei suoi confronti era totale. Mi allontanai a nascondere le lacrime. Sono cose che fanno male queste. Molto. Troppo. 
Sì, questa è l'arma in assoluto più micidiale che si possa usare, arma diabolica: la distruzione dell'essere umano, con esso del coraggio, della possibilità di rialzarsi, del futuro di un Paese, di un popolo. E' questa l'arma terrifica che viene usata contro il popolo afghano. In silenzio.
Strette di mano, accordi, pace, null'altro che farsa, macabra farsa a coprire ogni verità!

Marika Guerrini

immagine: mostra fotografica "C'era una volta l'Afghanistan" scatto di Barat Alì Batoor -collezione privata-   

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