mercoledì 17 aprile 2013

parole su...Boston Bagdad

...è per il piccolo Martin, otto anni, che spendiamo alcune parole su Boston, la maratona, le due esplosioni, i tre morti, i centoquaranta feriti. Per la piccola vittima d'un sistema malato. Ma non da solo il piccolo Martin ha messo le ali, altri bambini erano con lui, a fargli compagnia. Bambini come lui, bambini d'un mondo diverso. Un numero imprecisato di bambini, un numero alto. Un numero tra Bagdad e Nassiriya, Kirkuk e Falluja, Samarra e Salaheddin, Tuz Khurmatu e Dohuq, bambini che hanno spiegato le ali con lui e come lui per esplosioni causate, volute. Per eplosioni di decine di ordigni disseminati, di quattordici autobombe, di spari. Cinquanta sono stati i morti, laggiù, duecentosettantatre i feriti, laggiù. Stesso giorno 15 aprile di questo 2013 dell'inizio.
E il mondo ha visto fumo su Boston, e volti sfigurati nella disperazione. E ha udito sirene su Boston. e immagini su immagini su immagini. "L'America colpita ancora" si è urlato, scritto, digitato, enfatizzato. E quell'11 di settembre del 2001 è tornato alle menti americane, è tornato con lo sgomento, la paura. E paura americana si è sommata a paura americana, ha preso spazio, corpo, si è fatta terrore. Terrore, elemento base, lo stesso che tiene a bada i popoli, li tiene sotto il giogo.
Ma il mondo non ha visto nulla di Bagdad, Falluja, Nassiriya e ancora, nulla o quasi. Il mondo d'occidente non ha visto nulla di quella stessa data benché irachena. E il giorno seguente non ha visto nulla, quando Bagdad ha continuato ad esplodere, a partorire vittime innocenti: otto morti, diciassette feriti. Il mondo non ha urlato per Bagdad, non urla, tace o glissa, mentre s'adopra per Boston alla ricerca dei responsabili di turno. Sì, certo, Bagdad, Falluja, Nassiriya, Kirkuk, Samarra, Salaheddin, Dohuq, Tuz non hanno bisogno di indagini: è a causa delle imminenti elezioni, s'è detto, le prime dopo il ritiro delle truppe Usa, s'è detto. Le truppe Usa. Quelle che, con le parole di Luigi XV, dovrebbero cantilenare Après moi le déluge! Dovrebbero farlo lungo il ritiro, sulla via di casa. Dovrebbero farlo per quell'Ancien Regime, quella tenebra, che lasciano quale scia ove s'assenta  ogni libertà, fraternità, uguaglianza. Che lasciano al loro passaggio. Dopo.
Così, mentre Obama, furbescamente, non ipotizza su perché, su cosa, su chi, qualcuno insinua: matrice straniera, qualcuno suggerisce: matrice interna. Sull'interna lo fa il documentarista Alex Jones:  l'FBI è dietro ogni complotto terroristico americano, dice e: potrebbe essere stata un'azione per porre, in futuro, ogni evento sportivo sotto il controllo della Transportation Security Administration.   
Lo fa il giornalista radiofonico Dan Bidondi, parla di false flag, lo stesso giornalista che si è chiesto, ha chiesto, perchè in situazione di assoluta tranquillità, qualche minuto prima della prima esplosione, dagli altoparlanti una voce ha invitato i partecipanti alla calma.
Lo fa il Pravda.ru, che si domanda se l'azione non possa servire ad accusare la Siria o l'Iran per poi attaccare.
Lo fanno in molti mentre il presidente degli States non si pronuncia. Noi pensiamo che sì, l'America debba guardare in casa propria, guardare a se stessa, a quel che provoca tra i suoi propri figli, anche. Potrebbe iniziare dagli Hata Group, per dirne uno,  o fac simili, che da anni predicano odio nel paese, che hanno causato centinaia di vittime all'insaputa o quasi del mondo. Che guardi in casa l'America. Che inizi a pensare a se stessa, alla propria gente, allo stato d'assedio, di paura, in cui costringe "democraticamente" il proprio popolo. Che guardi in casa l'America e non infanghi, non dissacri con ulteriori falsità il sacrificale volo dei propri e degli altrui bambini verso una Libertà ben lungi dalla sua menzogna.
Marika Guerrini

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