mercoledì 11 novembre 2015

Nāṣiriya: una pagina personale

... Nāṣiriya, 12 novembre 2003, l'esercito italiano subisce il più grave attacco dopo la seconda Guerra Mondiale, tra i 19 italiani uccisi 12 sono carabinieri. La base è la Maestrale, presidio dell'Arma all'interno dell'Operazione Antica Babilonia, la nostra missione di peacekeeping.
Alla notizia il silenzio s'era fatto immediato in me, nella mente, nel cuore, solo l'anima vibrava. Il dolore, immediato anch'esso, s'era fatto ancor più acuto nel sommarsi ad un dolore altro, personale, intimo, recente, ancora acerbo nella breve temporalità di un mese esatto: la perdita di mio padre. Questione di attimi poi, scevro da qualsivoglia sentimento, come lavato, un lampo alla mente, un pensiero in sembianza d'immagine s'era mostrato nitido: lui è lì, ad accogliere i "suoi" 12 carabinieri. Questa l'immagine pensiero.
No, non trasmutazione del dolore in altra forma o trasmigrazione in altra zona, come sosterrebbe la banale psicologia, ma una concomitanza di elementi come cesellati a formare una realtà irreale eppur reale altrove, conferma d'una vita oltre, al di sopra di noi, una vita superiore. E la sensazione che un immateriale filo unisse i due avvenimenti consumatisi a distanza d'un mese esatto l'uno dall'altro, s'era fatta percezione avvalorata da quella che aveva rappresentato in vita la figura di mio padre. 
Aveva indossato la divisa dell'Arma anche lui, all'epoca di due tipi una kaki d'ordinanza  l'altra nera, e, dal tempo della battaglia di Alamin, come gli egiziani chiamano el-Alamein, combattendo l'allora nemico, al dopo guerra combattendo la mala vita, quella dal nome Camorra con la C maiuscola, aveva onorato i valori umani e dell'Arma con assoluta abnegazione e quell'umiltà che è dei grandi. Il cedimento non l'aveva mai colto, neppure dinanzi alle minacce di capi camorristi alla sua famiglia, a me sua figlia maggiore, allora undicenne, dodicenne... malgrado l'inconfessato terrore vissuto nell'intimo, mai, e per la bambina di allora che, dall'oggi al domani, senza spiegazione, s'era trovata ad essere seguita o preceduta da due angeli custodi, ché tali erano ai suoi occhi i due carabinieri che a turno avevano preso ad accompagnare ogni suo passo, il coraggio di lui s'era fatto fonte di orgoglio, dignità, s'era fatto coraggio. 
Come avrebbe potuto la bambina di allora, poi donna adulta, non percepire quel giorno del 12 di novembre del 2003, ad un mese esatto dalla scomparsa terrena di un uomo che quando parlava dei "suoi" carabinieri faceva derivare quel "suoi" non dal loro essere sottoposti, bensì figli, come avrebbe potuto non percepire il trait-d'union tra i due avvenimenti, altro pensiero non avrebbe potuto formulare che: è lì ad accoglierli con amore, come li ha amati e protetti sempre, li ha preceduti di trenta giorni terreni, soltanto, un soffio lì dove ora sono insieme.
Quando i 12 carabinieri caduti a Nāṣiriya giunsero a Roma, con le altre vittime, al Vittoriano, fuori da esso, si era in tanti. Il tributo degli italiani silenziosi come non mai, composti come non mai nella piazza gremita, si fece ancor più toccante al passaggio del corteo funebre scandito dall'iniziale applauso, dai motori in sordina dei camion che ospitavano i caduti e dal picchiare sul selciato degli zoccoli dei cavalli dei Corazzieri che, a passo d'uomo, scortavano. E un forte senso patrio, ormai peregrino anche quando verbalmente citato, si fece presente come non mai. A rinfrancare il cuore. 
Marika Guerrini    
foto dal web

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