... le immagini giunte dalla città santa di Kèrbala in questi giorni, sembrano uscire dalle pagine di un mio libro, quello ambientato a Baghdad, che questa città cita nel titolo, lo vedete qui, a lato, con la storia di un giornalista embedded americano racchiusa tra le pagine, un giornalista che, per amore di verità, svela il dietro le quinte del marzo 2003, quando la terra irachena, spettatrice di se stessa, si vide bombardata dalla coalizione Usa-Gran Bretagna a cui, in un primo momento si accodarono Spagna e Bulgaria, malgrado il divieto dell'Onu si fosse mosso per salvarla data la falsità dell'accusa.
Ricordiamo tutti quel casus belli, l'accusa a Saddam Hussein circa la presenza sul territorio di Armi di Distruzione di Massa, armi proibite dagli accordi internazionali, benché questa sia cosa marginale per chi sia solito infischiarsene. Del resto questo stesso genere di armi, tra cui atomiche e batteriologiche in grado di procurare sterminio a uomini, animali e cose compreso il suolo, e protrarlo nel tempo, furono della stessa tipologia delle armi usate dalla Nato guidata, come da prassi, dal gatto e dalla volpe, nell'ottobre del 2001, per bombardare l'Afghanistan. Tipologia di ordigni già usati dagli Usa negli anni sessanta per disboscare la giungla in Vietnam, cosa che toglie ogni dubbio alla cognizione di causa da parte degli attori avvezzi all'uso di tali ordigni e ai loro devastanti effetti.
Ora però, rinfrescata la memoria, ritorniamo ad oggi. Pare che in Iraq le rivolte sanguinarie e sanguinose stiano dilagando sempre più a circa un mese dall'inizio. Negli ultimi giorni ai ribelli si sono uniti studenti dei licei e delle università, il che non fa presagire la fine dei moti. Eppure gli iracheni hanno uno Stato "libero", si direbbe, un Presidente, Barham Salih, curdo che ha operato nella civiltà americana, ha studiato in Gran Bretagna, uno che ai tempi del " despota" Saddam Hussein era stato anche in prigione, perché curdo, perché ribelle. Uno che tempo fa si espresse attribuendo agli Stati Uniti la "liberazione " dell'Iraq. E ancora e ancora. Quindi gli iracheni dovrebbero sentirsi fortunati e non protestare contro il primo ministro Adel Abdul Mahdi rivendicando possibilità lavorative, giustizia e un drastico cambiamento del Governo ritenuto corrotto. Ma più di ogni altra cosa gli iracheni dovrebbero sentirsi liberi. E allora ci chiediamo: come potrebbe l'antica grande Mesopotamia sentirsi libera tra i resti delle sue rovine, come potrebbe sentir cantare il Tigri sulle sue sponde calpestate da 5.200 soldati statunitensi di stanza nel Paese, che, dopo l'obamiana finzione di ritiro delle truppe che determinò il premio Nobel per la Pace all'allora Presidente Usa, sono inesorabilmente stati presenti, come sempre accade loro?
Dalla distruzione dell'Iraq del 2003, dalla defenestrazione di Saddam Hussein, con la finzione dell'abbattimento della statua del Rais eseguita da soldati americani mentre la folla non era quella mostrata al mondo, ma quattro miseri iracheni pagati ad essere protagonisti del film, dall'esecuzione di colui che, pur dittatore, aveva portato il paese a livelli di modernità equiparati a livelli europei, con leggi a favore del popolo come, ad esempio, la casa a chi non poteva permetterselo, l'istruzione accessibile a tutti, borse di Studio per l'estero a studenti universitari meritevoli, e così via. Da allora, quando non sbarcavano immigrati iracheni sulle nostre coste, dopo una storia che può, se pur in maniera totalmente diversa, paragonarsi a quella dell'Iran al tempo dello Shah Reza Pahlavi: progresso, ammodernamento, aiuto americano e tradimento al momento opportuno, non poteva essere che l'Iraq dopo l'armistizio (1988) seguito alla guerra per i confini iniziata e provocata dall'Iraq (1980), con l'aiuto anche degli americani che rifornivano di armi sia l'Iraq che l'Iran, si fosse riappacificata, anche se a loro modo, con l'Iran, non poteva essere perché il pericolo per gli Usa era, ed è, la possibilità che l'Iran si facesse padrone dell'intera regione, con tutte le ingenti risorse naturali, quindi economiche, di cui la natura ha dotato quei luoghi. E allora eccoci qui a tracciare questa pagina perché anche ora è così e sarà sempre così finché non si avrà il ridimensionamento dei segreti patti che legano il gatto e la volpe.
L'Iraq si trova tra due fuochi ancor più da quando, lo scorso anno Trump ha deciso di tradire l'accordo sul nucleare (Jcpoa) inasprendo così la tensione con l'Iran, si trova ad un bivio tra Stati Uniti e Iran. Ma qualche mese fa, se non erro lo scorso luglio, il Presidente Barham Salih ha parlato di indipendenza da entrambi gli attori che alitano sulla sua terra, si è tenuto equidistante con una leggera propensione, più che legittima, verso il confinante Iran. Ma questo l'orso Grizzly non può permetterlo. E non può farlo neppure il suo amico Israele. E allora si fomentano proteste per le vie di Kèrbala. Proteste per le vie di Baghdad. E allora figure incappucciate sparano sulla folla e non si sa chi siano, o da chi abbiano ricevuto l'ordine. E allora decine e decine di morti e centinaia di feriti. E allora ...
Noi ci fermiamo qui, stiamo a guardare, mentre il Tigri piange.
Marika Guerrini
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