... " Nous avion quitté Téhéran par un vent glacial... ce 16 janvier 1979..." (1). Questa immagine mi ha introdotta al libro " Mémoires", éditions XO Paris, 2003. Autore S. A. I. Farah Pahlavi, nata Diba.
E'
avvenuto vent'anni or sono. La notizia dell'esistenza di "Mémoires"
mi era giunta a poco più di un mese dall'uscita editoriale, avevo ordinato il
libro alla casa editrice, mi era stato consegnato in una settimana. Liberato
dall'involucro di carta l'avevo aperto a caso e, per quel caso che non esiste,
mi ero trovata a pagina 295 sulle parole di cui sopra in una sferzata di vento
glaciale. Prime parole della quarta parte del testo. Inizio della fine. Così,
il soffio gelido di quel vento immaginato a raggelare l'animo più che i volti
all'aeroporto di Téhéran, aveva raggelato il mio respiro riportandomi alla
mente un'altra immagine, quella di un uomo il cui ultimo gesto, prima di
imboccare la scaletta dell'aereo, era stato chinarsi, raccogliere un pugno di terra
e deporla in tasca. Quell'uomo era lo Shah Reza Pahlavi e quel gesto sarebbe stato
l'ultimo compiuto nella sua terra. La visione del ricordo aveva acuito in me
ancor più il gelido soffio immaginato, mostrato ancor più lo straziante dolore
del Sovrano.
Da
allora, da quell'immediata lettura allargatasi poi a tutto il testo, fino alla
scorsa settimana, il volto di Farah Pahlavi, impresso sulla copertina,
avrebbe occupato per circa vent'anni la prima fila di uno scaffale nella
libreria del mio studio, ora è qui al mio fianco, sulla scrivania, il suo volto
è nascosto, il libro aperto mostra la dedica dell'autrice: A' la
memoire de tous ceux qui ont été assassinés par l'obscurantisme. A' la memoire
de tous ceux qui ont donné leur vie pour l'integrité de l'Iran. Au peuple
iranien. A' mes enfants. Pour l'amour de mon roi." (2)
Ho vissuto in Iran in tempi
inizialmente non sospetti fattisi poi sospetti, tempi in cui i prodromi di
quella che sarebbe stata la fine del Regno, si sarebbero fatti sempre più
evidenti a partire dalle università in cui l'iniziale subdolo volantinaggio
contro lo Shah, si sarebbe fatto sempre più palese.
Ho vissuto in Iran in quei tempi, a
Mashhad, ho vissuto i prodromi all'ombra della grande moschea dedicata all'Imam
Hussein, ho vissuto nelle strade su cui quotidianamente centinaia di pellegrini
si riversavano ad onorare il Santo in quella città santa, ho camminato tra la
gente indossando jeans e T-shirt, accanto a donne anziane alcune con indosso il
chador, accanto a giovani donne che il chador avevano dimenticato. Ho vissuto
in quell'oriente mentre tra gli studenti, al maschile o femminile che
fossero, volantini passavano di mano in mano a sobillare gli animi istillando
il morbo della Rivoluzione. Ma suoni vocali quali libertà,
modernizzazione, potere al popolo, auspicanti una successione del clero al
Governo in atto, avevano un amaro sapore, qualcosa stonava alle orecchie, ai
pensieri, alle riflessioni di ventenni studenti stranieri, presenti in quel
paese a ricercarne l'antica storia, la letteratura, l'arte, ed ancor prima, gli
antichi imperi. E stonavano ancor più vivendo tra la gente del popolo,
percependo il loro amore per lo Shah Reza e la Shahi Farah, amore espresso con
semplicità, malgrado svariate pecche compiute da parenti dello Shah e dalla
Savak, la polizia segreta di Stato che spesso, troppo spesso, fosse per
quell'estremizzare che caratterizza il dna iraniano, fosse per eccesso di zelo
o, come accadde poi, per tradimento nei confronti del Sovrano, usavano violenza
facendo credere che l'ordine venisse dall'alto, risultasse lui il mandante.
"...la police agissait parfois sans aucun discernement...j'en parlai au
roi, qui démit le chef de la police nationale..."(3)
Frequenti episodi in tal senso si
susseguivano quasi quotidiani, ma l'azione punitiva del Sovrano veniva taciuta.
Sì, complotti su complotti si susseguirono sotto il cielo iraniano del tempo. Scriverà lo Shah nel suo diario: "L'erreur que j'ai faite c'est de n'avoir pas utilisé nos propres
médias pour lutter contre cette intoxication incessante."(4)
Eppure il popolo semplice, quando si
sentiva libero da qualsivoglia costrizione, esprimeva amore per quel Sovrano
che aveva principiato riforme su riforme, quali libertà di velo per le donne,
frequenza di scuole d'ogni ordine e grado, borse di studio elargite per paesi
esteri, modernizzazione della tecnologia, evoluzione in campo medico sanitario
e persino l'esilio per esponenti del clero che perseguivano l'ortodossia
attaccando ogni riforma e più di tutto l'emancipazione femminile. Tra questi
l'àyatollàh Ruhollāh Khomeyni.
Certo, non si trasforma un paese in
un anno né in due e neppure in dieci, tanto più se la cultura è antica e i
fanatismi religiosi agiscono sulle genti, così che, per ovvie ragioni, quel
mondo non possa fare altro che muoversi avanzando e retrocedendo. Malgrado ciò
era lampante che tutto fosse stato avviato per la trasformazione,
l'emancipazione, la modernizzazione, checché se ne sia detto e scritto nel
nostro malato occidente e si continui a farlo: " Le plus incompréhensible
était que tout ce que la monarchie avait fait de positif pour l'Iran était
décrit d'un seul coup comme négatif par les médias occidentaux.." (5)
C'era però qualcosa che il popolo
semplice rimproverava al Sovrano: la scarsa severità verso gli oppositori,
verso l'ortodossia del clero, verso le azioni della Savak e dei giovani
ribelli. Ma allo stesso tempo l'antica saggezza del popolo semplice, faceva sì
che la comprensione per le enormi difficoltà in cui versava lo Shah
nell'attuare la trasformazione della società, vivesse comunque. E proprio
questa comprensione sarebbe stata poi attaccata e recisa usando la religione
quale arma sul popolo semplice, mentre sui giovani si sarebbe usata la falsa
promessa dell’ideale democratico.
" Certes, je n'attends
pas de la jeunesse qu'elle se montre conservatrice. Dans tout le pays, elle se
porte vers les idéaux qui lui paraissent les plus généreux. Au nom de la
justice, on peut lui faire faire des grandes choses. Mais aussi les
pires." (6) Parole
di Reza Shah pensando e scrivendo dei giovani manipolati da coloro che stavano
preparando la fine del Regno ed il rientro di Khomeyni che avrebbe usato la
religione facendola passare attraverso i giusti ed innati ideali dei giovani. A
proposito della manipolazione e l'uso, in qualche riga precedente, ancora lo
Shah: " Il leur fallait des troupes; ils les trouvérent dans les
universités et, bientòt, jusque dans les écoles. Avec succés,
malheureusement." (7)
Lo Shah da tempo, pur consapevole
delle avversità intestine, delle manovre avverse del clero, aveva deciso per
una democratizzazione della società, una liberalizzazione del regime, di
continuare a regnare ancora per poco tempo, il necessario per la formazione del
figlio alla successione, nel frattempo governare secondo la Costituzione
accordando al paese tutte le libertà necessarie al formarsi di una democrazia.
Ma gli oppositori, gli intellettuali e i giornalisti che poi avrebbero
inneggiato ed appoggiato i mullah e Khomeyni, continuarono ad agire come se lui
affermasse il contrario. Non poche furono le modalità di menzogna, tra cui:
" Le cynisme des agitateurs ne connuut pas de limites, On m'a
rapporté le cas de gens décédés de mort naturelle, de maladie ou qui avaient
péri dans un accident et donc le corps avaient été récuperés... hissés sur les
épaules de quelques meneurs qui s'en allaient les promener à travers la ville
vociférant: Voilà une victime du regime! ..."(8)
Ancora da un diario dello Shah, che,
dimagrito e silenzioso, con l'avanzare delle rivolte spesso diceva come a se
stesso: Mais pourquoi ? Pourquoi? Ma perché? Perché? non
comprendendo perché un popolo con il quale per lungo tempo si era sentito in
comunione avesse ceduto ad uno oscurantismo religioso.
Reza Shah ama il suo popolo, mi disse un giorno Leyla, mentre,
sua ospite, me ne stavo accovacciata su di un kilim sorseggiando del tè rosso e
seguendo in tv la visita della Shahi ad una scuola di Tabriz.
In quell'occasione mi avrebbe mostrato con orgoglio vecchie foto di
quando, bambina, aveva incontrato lo Shah in visita alla scuola di Mashhad da
lei frequentata. Era una donna semplice Leyla, il marito faceva il taxista, la
sua bambina si chiamava Shirin, aveva sei anni. A Shirin parlavo in italiano
perché lo imparasse, lei rispondeva in persiano perché lo imparassi. La loro
casa confinava con quella di noi quattro studenti italiani, i nostri giardini
erano invisibili l'uno all'altro per via dell'alto muro di cinta che li
circondava, ma si udiva lo zampillio delle piccole fontane circolari sì che un
perenne saluto. Era una donna semplice Leyla con l'acutezza antica d'una terra
antica non ancora contaminata da mode d'occidente.
Ma, ecco, mi sono lasciata andare al
ricordo personale, mi scuso con il lettore per l'inopportuna debolezza, intanto
è giunto il tempo di chiudere questa densa pagina, lasciamo la parola a
"Memoires", all'ultima sovrana di quella terra tornata all'attualità,
sovrana Farah Pahlavi, benché in esilio, perché non c'è rivoluzione che possa
cancellare la sovranità, al contrario la sovranità può placare una rivoluzione
quando e se non venga tradita.
" Notre arrivée à la
Maison Blanche fut un moment difficile. Des manifestants s'étaient massés
derriér les cordons de sécurité, certain pour nous applaudir, d'autres pour nous
insulter..." così, mentre Reza Shah
e Carter in presenza di giornalisti e personalità, ebbero il primo scambio di
parole "...de violentes bagarres éclaterént entre les manifestants de
sort que la police dut intervenir... je me dis en moi-meme qu'au temps de
Richard Nixon jamais les manifestants n'auraient été autorisés à s'approcher si
prés de nous...C'est au cours de ce voyage officiel que je découvris avec
stupéfaction le portrait d'un de nos religieux agité par un groupe
d'étudiants..." (9) e poi ancora: “
...l’opposition iranienne avait vu en
Carter un allié pour ses combats de demain,
et le vent de revendications n’aurait sans doute pas soufflé avec cet force si
un autre homme avait accédé à la Maison Blanche...” (10)
La pagina si chiude qui, sulle parole
tratte dalla visita ufficiale di Reza Shah e la Shahi Farah alla Casa Bianca,
Stati Uniti, novembre 1977, presidente il democratico Jimmy Carter.
Il ritratto issato e agitato dinanzi
alla Casa Bianca da studenti iraniani era quello di Rudollàh Khomeyni.
Non c'è altro da dire.
NOTE di traduzione
2) “Alla memoria di tutti coloro che
sono stati assassinati a causa dell’oscurantismo. Alla memoria di tutti coloro
che hanno dato la loro vita per l’integrità dell’Iran. Al popolo iraniano. Ai
miei figli. Per l’amore del mio Re”;
3) “La polizia agisce senza alcun
discernimento”;
4) “L’errore che ho fatto è non aver
utilizzato i nostri media per lottare contro questa incessante intossicazione”;
5) “La cosa più incomprensibile era
che tutto ciò che la Monarchia aveva fatto di positivo per l’Iran veniva
immediatamente descritto come negativo dai media occidentali”;
6) “Certo non mi aspetto dalla
gioventù che sia conservatrice. In tutti i paesi ella mira a quegli ideali che
sembrano più grandi. In nome della giustizia si possono far compiere alla
gioventù grandi cose. Così come dei disastri”;
7) “Avevano bisogno di truppe, le
hanno trovate nelle università e ben presto anche nelle scuole. Con successo,
malauguratamente”;
8) “Il cinismo degli agitatori non
ha limiti. Mi è stato riferito di gente deceduta di morte naturale, di malattia
o che sono morti in un incidente, dopo di che il corpo è stato recuperato...
issato in spalla da qualche capo (rivoluzionario) che si è messo a camminare
per la città urlando: ecco una vittima del regime!” ;
9) “Il nostro arrivo alla Casa
Bianca fu un momento difficile. Manifestanti si erano ammassati lungo i cordoni
di sicurezza, alcuni per applaudire altri per insultarci... violente risse
scoppiarono tra i manifestanti, tanto che dovette intervenire la polizia... io
dissi a e stessa che al tempo di Richard Nixon i manifestanti non sarebbero mai
stati autorizzati ad avvicinarsi a noi... Fu durante questo viaggio ufficiale
che scoprii, con stupore, il ritratto di uno dei nostri religiosi che veniva
agitato da un gruppo di studenti...”.
10) “...l’opposizione iraniana aveva
visto in Carter un alleato per le sue battaglie future e il vento delle
rivendicazioni non sarebbe esploso con quella forza se un altro uomo fosse
stato alla Casa Bianca”.
...
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