martedì 23 agosto 2016

J'accuse moi-même: la perdita dell'umanità

- perché?-
... " Nel farsi del giorno il poeta chiuse la finestra, posò la penna. Tacque. S'adoprò in altro che fosse qualsiasi cosa. Mentre s'adoprava serbava custodito il silenzio in sé. Un infinito silenzio senza parole né immagini. Il poeta lo lasciò scorrere. Lo lasciò espandersi sin nella più piccola parte del suo essere. Lasciò che percorresse ogni spazio, ogni tempo. Lasciò che vivesse alla luce di una lanterna. Il silenzio mutò, vibrò. S'espanse la luce. Il poeta seppe ch'era giunto l momento. Aprì la finestra. Le immagini presero a scorrere, oltre essa a svolgersi. In suoni. In forme. Allora, solo allora, il poeta iniziò a tradurle in parole. Sul biancore del foglio. Perché la loro luce non si spegnesse. Non si lasciassero portar via...".
Questo l'incipit di un mio libro dedicato ad Ahmad Shah Massoud passato al mondo come "il leone del Panjshir" chiamato nel testo "il tulipano dell'Hindu Kush". Libro scritto in seguito all'attentato che avrebbe interrotto la sua vita il 9 settembre 2001 e a due giorni permesso la distruzione dell'Afghanistan.
Allora non sapevo, se pur intuivo, che altro sarebbe accaduto di terribile. Non sapevo, se pur immaginavo, che un'escalation di violenza senza eguali avrebbe colpito paesi e paesi, dando seguito agli effetti di quell'attentato dai più ignorato, quell'attentato lontano. Non sapevo, se pur conoscevo la matrice di quell'atto infame e infamante, i suoi motivi nascosti, la collusione dell'estremo occidente che da tempo aveva scelto la via della menzogna ed ora stava scegliendo di incamminarsi verso il tramonto trascinando seco l'antico continente europeo e non solo, collusione con quei sauditi partecipanti allo stesso, benché diverso, gioco di potere per il potere. 
Eppure, malgrado la facoltà immaginativa avesse da anni preso a scorrere in me quale conoscenza di fatti e quinte di fatti, se qualcuno avesse narrato quel che ora è il nostro sofferto pane quotidiano, se l'avesse, per predizione, mostrato in immagini viventi, non avrei creduto alle sue parole né ai miei occhi.
Nel libro di cui sopra, dopo l'incipit, la narrazione penetra un mondo che s'è fatto ricordo, mentre pagine di taccuino raccontano la sua bellezza e quella delle sue genti e in una pagina dice: ... "Lì, in quella terra, la storia affiorava sempre, tutta, anche negli sguardi dei bambini. Ad osservare non erano diversi dagli sguardi adulti, non per precoce vecchiezza, ma per antica allenata saggezza. I bambini incontravano gli adulti nella saggezza, gli adulti incontravano i bambini nell'entusiasmo... Afghanistan cuore dell'Asia, cuore di guerrieri e poeti insieme... ". Poi quel mondo aveva preso a saltare in aria con la sua storia, nella sua polvere. A saltare in aria con la sua gente. Adulti e bambini. Entusiasmo e saggezza. E tutti avevano preso a vivere, ancor più di prima, di guerra e di guerra e di guerra. E questo vivere di guerra si era espanso, si è espanso. E continua. E il saltare in aria per via di bombe al napalm, all'uranio e d'ogni altra sostanza s'è fatto norma, norma dichiarata e smentita. Norma di cui ci cibiamo da allora.
Così, affacciati alla finestra di questa nostra quotidianità continuiamo a vedere sgretolarsi la storia, che non è storia altrui ma dell'intera umanità, nostra storia, che poi si chiami Kabul, Aleppo, Sanaa, Palmira, Baghdad, Homs, Daraya, Mosul, Ramadi, Falluja, Leptis, Sabrata, non importa. Che si mostri in innumerevoli siti patrimonio Unesco o in reperti locali distrutti da false provocate "primavere arabe", non importa. E la mano d'azione nel distruggere, non importa. Ma l'idea a monte, sì. Il pensiero distruttivo, sì. La volontà distruttiva, sì. Il profitto che ne giunge, sì. Che sia economico nell'immediato o a lunga gittata, che sia dominio strategico sul pianeta o su una parte di esso. Le armi sono nostre. Che siano armi strumenti fisici o armi dell'anima, dei pensieri, dei sentimenti. Questo, sì, importa. 
Eppure continuiamo, affacciati alla finestra di questa nostra quotidianità, a vedere l'azione di queste armi tutte e, con esse tutte, bambini, sempre più bambini, saltare in aria. E nulla cambia se per suicidio o omicidio. Se autori o vittime. Nulla. I bambini suicidi sono già morti prima di morire, i bambini uccisi anche. E' l'infanzia che sta morendo. E alcuna azione è più grave di questa nell'economia della vita, più aberrante, più terrifica. E con essi sta morendo il futuro. E' questo che si vuole? E' la perdita dell'umanità, che si vuole? E' la totale aberrazione dell'anima, che si vuole? Lo sguardo non v'ha volto altrove o ad altri ma su noi stessi.
Marika Guerrini
scatto di Barat Alì Batoor- coll.privata-