lunedì 23 dicembre 2013

quella lontana notte di Natale

da taccuino
... "... una manciata di tempo e il melograno ha lasciato alle spire del vento le sue foglie tutte. Ora, nudo e intirizzito, altro non mostra che il rubino dei suoi frutti spaccati, gravidi di piccole gemme rubino anch'esse. Sulla parete il termometro segna venti gradi sotto lo zero. Li intuisco questi gradi, più che vederne il tratto segnato, così come intuisco la data sul calendario, nel bagliore luminoso del quarto di luna che entra dalla vetrata di questa casa di fango e paglia che s'affaccia sul piccolo giardino. Un alto muro di cinta abbraccia questa casa, come a proteggerla dal mondo esterno, dal mondo estraneo alla sua vita. E' stato il gelo improvviso ad interrompere il mio sonno, ora, avvolta in strati e strati di indumenti, coperte, scialli, guardo oltre la vetrata il giardino e, le stelle. 
La fontana che nel giardino accompagna, con la sua rotondità, l'abbraccio del muro di cinta, tace il chiacchierio quotidiano, ha congelato il suo zampillio e mostra piccole sculture in trasparenti stalattiti e stalagmiti di ghiaccio che la luna trasforma in argento. Intorno è  assoluto silenzio. Il villaggio dorme. Dormono i suoi abitanti, i cani randagi, dormono anche i gatti di questa casa, i gatti che chiunque alloggi tra queste mura, che sia momentaneo o prolungato il soggiorno, che sia straniero o locale la persona, eredita. Sì, dormono gli stessi gatti che solo qualche ora fa, voraci e indomabili, dall'abbaino che s'apre sulla cucina, saltavano nei piatti colmi di chelo-kebab. E guardo le stelle.
Sono sempre così tante le stelle in quest'emisfero del pianeta. Ogni notte è un manto luminoso che t'avvolge, riscalda, coccola, ma questa notte sono ancor più vicine. Come  a voler ancor più accogliere i desideri degli uomini, i pensieri, come se ancor più volessero unire il mondo celeste all'umano. Ed io le guardo brillare in miriadi di luci intermittenti, presenti quasi a toccarle, come se un immenso albero di Natale fosse illuminato da milioni di piccole luci. E' la notte del 25 dicembre. E' la notte di Natale. E' il mio primo Natale in terra musulmana. E' così incredibilmente Natale!"                
Quel villaggio non esiste più. E' stato raso al suolo una notte di dicembre del 2011. Non sappiamo se fosse la notte di Natale. Il villaggio non era segnato sulle carte geografiche prima, ancor più dopo, non è mai stato segnato sulle carte, ha vissuto la sua vita invisibile al mondo. Allora, nel 2011, dopo il bombardamento da droni, i pochi sopravvissuti, per lo più uomini assenti quella notte dalle loro case, lo abbandonarono. Ora frammenti di mura, di case, briciole di fango e polvere, lamentano il passato come bocche sdentate sotto le stelle. Quelle stelle così vicine agli uomini.  E noi ci chiediamo se quel villaggio, la sua vita, le sue notti, quella lontana notte di Natale, non siano stati che elementi di fantasia nella nostra vita. Soltanto.
Marika Guerrini

mercoledì 11 dicembre 2013

"All'Italia" un melanconico sguardo

... nulla v'è d'imprevisto, non v'è stupore meraviglia sorpresa. Pagine d'ogni tipo d'allerta sono state segnate da tempo. Ma nulla. E non v'è nulla che si possa dire, ora, nulla che non sia stato detto, che non sia stantio, nulla. Resta la poesia dei suoi figli. E non si sa per quanto ancora. Episodi occorsi ieri, oggi, ora, fanno disperare. Episodi come in Sicilia, lì dove liceali hanno fatto irruzione, arrabbiati, in uno di questi supermercati del libro, questi che vanno di moda, questi in cui, sostituito da ogni tipo d'orpello da mercato, l'odore della carta della polvere dell'inchiostro è sparito con il silenzio. Hanno fatto irruzione urlando: bruciate i libri e chiudete le saracinesche! Non il: chiudete le saracinesche, dato il motivo di rivolta, ma il: bruciate i libri. Questo fa male. Questa logica conseguenza della nostra protratta ignoranza che negli anni altro non ha partorito, e continua a partorire, se non ignoranza o pseudo intellettualismi sotto spoglie di pseudo cultura, ché di conoscenza non v'è ombra. Questo fa male.
..." O patria mia, vedo le mura e gli archi 
e i simulacri e l'erme 
torri degli avi nostri,
ma la gloria non vedo,
non vedo il lauro e il ferro ond'eran carchi
i nostri padri antichi. Or fatta inerme, 
nuda la fronte e nudo il petto mostri.
Oimè quante ferite,
che lividor, che sangue! oh qual ti veggio,
formosissima donna! Io chiedo al cielo
e al mondo: dite dite;
chi la ridusse a tale? E questo è peggio,
che di catene ha carche ambo le braccia;
sì che sparte le chiome e senza velo
siede in terra negletta e sconsolata,
nascondendo la faccia
tra le ginocchia, e piange.
Piangi, che ben hai donde, Italia mia,
le genti a vincer nata
e nella fausta sorte e nella ria.
    Se fosser gli occhi tuoi due fonti vive, mai non potrebbe il pianto
adeguarsi al tuo danno ed allo scorno;
che fosti donna, or sei povera ancella.
Chi di te parla o scrive,
che, rimembrando il tuo passato vanto,
non dica: già fu grande, or non è quella?
Perché, perché? dov'è la forza antica,
dove l'armi e il valore e la costanza?
chi ti discinse il brando?
chi ti tradì? qual'arte o qual fatica
o qual tanta possanza
valse a spogliarti il manto e l'auree bende?
Come cadesti o quando
da tanta altezza in così basso loco?
nessun pugna per te? non ti difende
nessun de' tuoi? L'armi, qua l'armi: io solo
combatterò, procomberò sol io.
Dammi, o ciel, che sia foco
agl' italici petti il sangue mio.
    Dove sono i tuoi figli? Odo suon d'armi
e di carri e di voci e di timballi:
in estranee contrade pugnano i tuoi figliuoli.
Attendi, Italia, attendi. Io veggio, o parmi,
un fluttuar di fanti e di cavalli,
e fumo e polve, e luccicar di spade
come tra nebbia lampi.
Né ti conforti? e i tremebondi lumi
piegar non soffri al dubitoso evento?
A che pugna in quei campi
l'itala gioventude? o numi, o numi:
pugnan per altra terra itali acciari.
Oh misero colui che in guerra è spento,
non per li patrii lidi e per la pia
consorte e i figli cari,
ma da nemici altrui
per altra gente, e non può dir morendo:
Alma terra natia,
la vita che mi desti ecco ti rendo...." Giacomo Leopardi
... altro non v'è da dire.
Marika Guerrini


venerdì 29 novembre 2013

Afghanistan: una lunga pagina


ritirata sovietica febbraio-marzo 1989
... i passi stranieri avevano preso a calpestare per l'ultima volta la bianca terra afghana. Sotto il nostro sguardo sfilavano soldati dell'Armata Rossa, giovani, molto giovani. A tracolla vecchi fucili vuoti di tutto, abbandonati sulle gambe stanche, penzolavano con esse da porta pacchi a traino di polverose camionette dell'esercito sovietico. E la frontiera lì, a pochi passi, quella che separa la Valle del Panjshir dal resto del mondo. Le parole che Robert Gates, Consigliere per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti d'allora, poi direttore della CIA, aveva scritto al presidente Jimmy Carter, si stavano attuando. Daremo ai sovietici il loro Vietnam, aveva segnato in una lettera mentre carri armati dell'Armata Rossa entravano a Kabul dando inizio all'occupazione, mentre l'Unione Sovietica prendeva a tracciare la propria fine, mentre l'occidente viveva quel Natale del 1979, il 26 di dicembre. Lui sapeva della direttiva firmata da Carter il 3 luglio dello stesso anno, quella ufficiosa, la direttiva per incrementare gli aiuti agli oppositori del regime filo sovietico di Kabul. Ora gli aiuti segreti di allora stavano maturando i primi frutti.
Valle del Panjshir
A seguire, nove anni d'occupazione da quel '79, anni di lotta, di resistenza, di coraggio e tragedie infine gli accordi, l'armistizio. L'Unione Sovietica nella rappresentanza di Anatoly Tkachyov, ufficiale dell'Armata Rossa, che più volte aveva incontrato Ahmad Shah Massoud, capo dell'Alleanza del Nord, ormai leggenda, s'arrendeva al coraggio afghano, a quel popolo guerriero, popolo da sempre separato in frazioni interne, da sempre unito in un solo corpo di fronte allo straniero. Così tanto indomito, così tanto unito da far elaborare ai britannici, XIX sec., la strategia del Great Game, il Grande Gioco, un'infida slealtà fatta assurgere a strategia per la conquista di quella terra. A nove anni da quel '79, dall'armistizio, il febbraio del 1989 e la ritirata dello straniero dall'Afghanistan. Carcasse di carri armati lasciati lungo la via, campi minati a procurare mutilazioni passate presenti e  future, centinaia di esuli in Pakistan, cicatrici di guerra nelle città, ma lo straniero era fuori. Completamente fuori. Lo straniero sovietico, così, come, per paradosso, si conviene ad una guerra umana. L'altro no, l'altro s'era intrufolato, s'intrufolava sotto mentite spoglie. Lentamente. Astutamente.  
Da allora 25 anni circa. Quel daremo ai sovietici il loro Vietnam, era implicito di altri significati, molti altri. Il Great Game si sarebbe fatto più nascosto, più capillare, più arguto.  La sua espansione più ampia. Si sarebbe fatto degno figlio dei nuovi tempi. Le verità si sarebbero nascoste dietro l'apparenza dei fatti, spesso, quasi sempre. L'episodio delle Twin Towers, preceduto di due giorni dall'assassinio di Ahmad Shah Massoud, che l'ufficialità ha voluto scollegato in realtà azioni di unica matrice, non sarebbe stato che la punta visibile di un iceberg  sommerso. E allora l'Afghanistan fatto passare per soggetto d'azione, in verità architettato oggetto di conquista.
E allora bombe Blu-82, ad iniziare una guerra ignobile e menzognera. Armi micidiali di distruzione di massa usate in Vietnam per disboscare la giungla. Ma la giungla in Afghanistan non c'era. E allora, a seguire, le proibite, per gli altri, bombe a grappolo e l'uso di uranio impoverito e irruzioni nelle case private con violazione d'ogni dignità e violenze d'ogni tipo, quelle svelate e quelle tenute nascoste al mondo e a se stessi. E fiumi di esuli e migliaia e migliaia di morti civili, ancor più bambini e vili droni a volare sulle procurate miserie, quelle che si sanno e che non si sanno. Così per dodici anni. Dodici anni di guerra subumana.
Ora, alla vigilia del ritiro delle truppe statunitensi fissato per il 2014, in cartellone un patto bilaterale politico e militare, un patto da firmare per la Security and Defense Cooperation agreement between the United States of America and the Islamic Republic of Afghanistan, questa la definizione ufficiale dell'accordo di cooperazione. Questo porterebbe la presenza Usa a stanziare in quella terra per altri dieci anni ed oltre. Porterebbe quella terra a diventare   colonia Usa nel cuore dell'Asia e noi faremmo da spalla, ci accoderemmo, è quel che ci riesce, in compagnia di Germania e Regno Unito. Questo, tutto questo porterebbe alla fine dell'Afghanistan. Fine. Questo se l'accordo dovesse essere firmato da Hamid Karzai.
E allora l'assemblea, la Loya Jirga convocata da Karzai, fantoccio in mani straniere,  privo di qualsivoglia capacità di principio di costruzione della nazione. E i 2500 partecipanti tra notabli, anziani, rappresentanti d'ogni professione, parlamentari, tutti distribuiti in seggi di cui un quarto riservato alle donne. E allora i quattro giorni di tradizione e la chiusura lo scorso 24 c.m., cinque giorni fa con un nulla di fatto.
Loya Jirga 2013- seggi delle donne

Gli afghani avevano messo delle condizioni all'approvazione dell'accordo, 31 articoli, consideriamone sette tra gli indicativi: 
1) rispetto della Sovranità del paese; 2) rispetto dell'integrità territoriale inclusa la salvaguardia dei siti storici, delle tradizioni e delle religioni; 3) divieto di irruzione per i soldati americani in case afghane; 4) perseguimento, presso la base di Bagram, delle truppe straniere coinvolte in reati e crimini in terra afghana; 5) proibizione di uso e o stoccaggio di armi chimiche nel paese; 6) trasferimento alle autorità afghane dei prigionieri afghani presenti a Guantanamo Bay; 7) l'accordo serve a rafforzare pace e stabilità nel paese, riguarda solo la lotta al terrorismo. 
Ci fermiamo qui. Si può immaginare quali tra questi articoli siano stati negati dagli Usa a-priori, come quello del perseguimento dei reati a Bagram, ma sappiamo anche che i non negati non verrebbero ugualmente  rispettati. Tra abusi, dimenticanze, errori, scuse, escamotage di vario tipo, tutto filerebbe secondo i piani. Come da prassi americana.
Dulcis in fundo, Karzai dopo aver sottolineato con gli Usa alcuni punti, vedi l'irruzione nelle case il cui  punto venendo meno farebbe saltare ogni accordo, ha dichiarato che pur se rettificato dalla Loya Jirga e approvato dal Parlamento, la firma, propria, sull'accordo non ci sarebbe stata che dopo le elezioni del 4 aprile 2014. Non c'è dubbio il pro domo sua, ma così ha detto. Reazione immediata di John Kerry al telefono: telefonata interrotta.
Il film continua con un nulla di fatto. Per ora.
Marika Guerrini
p.s.
per la foto della ritirata si ringrazia La Voce della Russia”, hyperlinkpost_it@ruvr.ru.

martedì 12 novembre 2013

gli ulivi di 'Amer

... è notte nel villaggio di Kufr Qaddum, una notte di settembre. E nel sonno della notte è immersa la casa di Abd al-Karim Amer. E durante lo stesso sonno, bagliori altalenanti hanno preso a dipingere le mura esterne di rosso arancio come da fiamma, mentre nuvole di fumo s'univano al crepitio di legna arsa. Fumo denso, odoroso di foglie, di frutti. Odoroso di olio caldo, verde, come da frutti a un passo dalla maturazione. Sì, sono alberi a bruciare laggiù, oltre la linea di quel confine confiscato, abusivo, quel confine che 'Amer può attraversare due volte l'anno, solo due, previo permesso concordato con l'esercito di altra gente. Due volte per entrare nella sua terra, due volte, due permessi, due momenti, uno per la concimazione l'altro per la raccolta. Sono ulivi quella notte a bruciare, una trentina di ulivi in buona età di resa, tra i 40 e i 45 anni, sono tanti. E tanti sono i più giovani, quelli di tre anni, una settantina, frantumati, tutti, tutti ridotti a pezzi di tronchi, di rami. " Forse sono stati rotti prima, dice 'Amer, prima dell'incendio di questa notte", ma non può esserne certo. 
E' adiacente all'insediamento di Qedumin, l'appezzamento di 'Amer, quel suo pezzo di terra in cui può entrare due volte l'anno, in cui i coloni possono entrare sempre. Anno dopo anno da anni questo accade, e ogni anno è poco prima del raccolto e ogni anno sono un tot numero di piante. E non accade solo ad 'Amer. E non accade solo nel villaggio di Kufr Qaddum. Accade ovunque i palestinesi vengano a contatto con i coloni israeliani. Ogni giorno ogni notte ogni sempre. Sono storie quotidiane, queste. Storie che tutti conosciamo, di cui sappiamo. Storie che raccontiamo proprio per questo.
Le centinaia di 'Amer hanno rinunciato alla denuncia al reclamo, hanno rinunciato a proteggere le loro cose le loro case, tutto, a volte persino se stessi. La risposta israeliana è la stessa, sempre: negazione della verità, quando va bene, arresto o uccisione quando non va. E spesso non va. I coloni sono armati, tutti, sempre. I coloni hanno il sostegno dell'esercito israeliano, tutti, sempre. Tutti sempre come noi che sappiamo e voltiamo lo sguardo, turiamo le orecchie.
Ma non è, come andiamo dicendo, questione di strisce di Gaza, di linee di confine, di abusivismo legalizzato, di prepotenza arroganza delinquenza, no, non è neppure questione di profitto economico, benché ci sia, e non è questione di coloni, no, è questione di costume. E' il costume d'una fetta dell'umanità che persevera in comportamenti tribali. 
E allora si bruciano gli ulivi, si occupano case, si confiscano terre, si chiudono sorgenti d'acqua quando non si fanno essiccare, si distruggono raccolti, si spara ad altezza d'uomo tra la folla dei mercati palestinesi. E allora si azionano bulldozer a demolire edifici d'ogni tipo, residenziali e non, negozi, abitazioni nel cuore di Gerusalemme, in ogni sua zona, lasciando all'addiaccio intere famiglie, portando via loro tutto. Duecento ordini di demolizione, proprietà palestinesi, tutte, sedicimila cittadini coinvolti, contando solo a Gerusalemme. Contando solo nello scorso mese di ottobre. 
E allora si occupano moschee, come quella di al-Aqsa per costruire al suo interno una sinagoga, secondo un recente piano israeliano e si approvano leggi come fatto dal Ministero per gli Affari Religiosi Israeliani, secondo cui si consente agli ebrei di pregare all'interno della moschea. E allora si fa deviare la costruzione del muro sulla Linea Verde, ricordate, 1948 il concordato, si fa deviare per un giacimento di petrolio scoperto che è poco. Deviare perché giacimento su territorio di entrambi, Israele e Palestina, si fa deviare sì da escludere quest'ultima, questo Stato che esiste senza per il mondo esistere. Il mondo che tace la quotidianità e finge di lavorare per un incontro che non ci sarà perché non si vuole sia. E nel frattempo che il mondo, come avvezzo a fare, finge, laggiù gli ulivi bruciano con il raccolto la speranza la vita mentre si continua ad arrestare bambini e ragazzi per lancio di pietre, come da resoconto mensile, ottobre, del Centro Informazioni di Wadi Hilweh e Silwan: 45 bambini e ragazzini tra i 10 e i 17 anni.  Quando con il fucile non gli si mira al cuore.
Sì, comportamenti da vecchio testamento. Senza luce né speranza di. La vecchia goccia che non s'arresta fin tanto che la roccia non sia resa cava. Come a dire: ogni giorno ti spingo più in là, ti rendo la vita impossibile, finché fiaccato sarai stanco di perdere di piangere di soffrire di morire, sarai stanco persino di vivere e quel che è tuo sarà mio.
Marika Guerrini

dati da "Agenzia stampa Infopal"-www.infopal.it 
foto da blog.yesh-din.org/english

martedì 5 novembre 2013

popeye sbarca a Napoli- II parte

... sì, sono tornati. Sono tornati nel 2007, ufficialmente, quando il Comando Supremo della Marina degli Stati Uniti da Londra fu trasferito a Napoli. In realtà già nel 1996 erano iniziati i lavori di costruzione, poi, nel 2005, iniziate le manovre di trasferimento. Se ne parlò? Si bisbigliò. 
La base aeronavale di Capodichino ospitò il Comando Supremo, allora, poi l'ampliamento. Ora la base, circondata da prati verdi e ben curati, veste l'aspetto di un centro commerciale. Questione d'impatto visivo, si dice, questione di riservatezza, si ironizza. Appalti di costruzione, terreni, trentennale contratto di locazione su una cifra stimata 400 milioni di dollari: tutto con la Camorra. Sì, Camorra. Ma non c'è di che meravigliarsi, tutto così come iniziò, un tempo, in quel lontano infausto 1945. Come iniziò il contrabbando d'ogni cosa, come iniziò con gli alleati distributori di cioccolata, come iniziò rifocillando la vecchia Guapparia che, da delinquenza con codice d'onore prese a farsi delinquenza e basta, Camorra, mentre le "bionde americane", sigarette, facevano sempre più spazio a stupefacenti di vario tipo. Come iniziò. Per quanto assurdo possa suonare. Sì, so' turnate!, constata la voce del popolo.
Sono tornati e stanno tornando. Oggi, ora, a seguito dello spostarsi d'attenzione dal Nord Atlantico all'Africa, al Medio Oriente, al Mar Nero. A seguito della creazione di AFRICOM, con sede in Germania fino a poco fa. E il punto si fa nevralgico: qui le recenti manovre, qui l'ulteriore focalizzarsi delle Forze Usa, oggi, ora a Napoli.
Ora, oggi, Napoli è la sede del Commander Navy Region Europe, Africa, Southwest Asia ( Comando Navale della Regione Europa, Africa, Asia sud occidentale). Di recente, molto recente, è sede anche di AFRICOM (Comando Forze Armate Usa in Africa).  
Così la USS Nimitz, l'oscura macchia galleggiante nel Golfo partenopeo, chiarisce la sua presenza. E' giunta dal Mar Rosso. E' lenta ma veloce per quel che è, molto, si muove sui 30 nodi ( 56 km. in un'ora) . Era in quel mare per la Siria, pronta all'attacco, alla guerra, la guerra ora nascosta dietro il ciador occidentale, il velo della menzogna che continua ad armare i ribelli contro Assad. E' qui per questo la USS Nimitz, lontana ma vicina alla Siria. Nimitz è il nome della classe delle dieci portaerei nucleari statunitensi, USS Nimitz il nome di questa che galleggia da noi, la più grande sul pianeta. E' vecchiotta oramai, ha i suoi quarant'anni circa, ma un'economia nucleare di rifornimento di cinquanta anni. E i suoi 333 metri di superficie occupata in lunghezza e i suoi 76,8 in larghezza. E le sue 100.000 tonnellate a pieno carico e le sue 5000 unità  d'equipaggio tra avieri e marinai. E i suoi 90 aerei ed elicotteri sul ponte. Città, una città con la sua televisione il suo giornale quotidiano il suo codice postale. Con il suo esercito armato di tonnellate d'armi. Nucleari e non e oltre. Sì, so' turnate! pensierosa osserva la voce del popolo. 
E' lei, la USS Nimitz, lei, protagonista della Guerra del Golfo, dell' Iraq e ancora e ancora, è persino quella che al tempo della presidenza Reagan fu teatro di morti e feriti tra l'equipaggio, causati da uno dei suoi piloti sotto effetto di droga. Oh, sì, partì un provvedimento: tolleranza zero nell'ambito delle Forze Armate. Sì, andò in vigore. Ma i risultati che s'aggirano ora, oggi, per le vie di Napoli, quei giovanissimi soldati alla ricerca di forti sensazioni, quei ragazzi dall'espressione assente quando non aggressiva quando non ingenua quando non violenta, di cui il racconto nella prima parte di queste pagine, lascia seri dubbi, molto seri.
Qui, ora, nel Golfo, la USS Nimitz non è sola, l'affiancano due navi da guerra. Galleggiano anch'esse, verso sud e verso nord, nel Porto una, a largo del molo Beverello un'altra. La South Carolina e la California, potrebbero essere visto che da sempre sono il suo corpo d'azione. E questo moltiplica la sensazione di disagio, a dir poco. 
No, non sono buone le novelle che le tre presenze suscitano per l'attualità e nel ricordo, come se venti di guerra stessero per spirare. E la memoria degli anziani va al nefasto '45. Va ai palazzi sgretolati dalle bombe, alla povertà, no, non quella provocata dalla guerra, quella provocata dal calpestio degli stivali a stelle e strisce sulla loro terra, sulla loro dignità. Va agli stupri, ai bambini di colore scuro che sarebbero nati poi, abbandonati subito, mentre tanti piccoli sciuscià, bambini anch'essi, lucidavano quegli stessi stivali per qualche centesimo di dollaro o pezzo di cioccolata o per una madre avvenente che avrebbe guadagnato di più. E' una malattia genetica la loro, a quanto pare, non certo le romantiche storie che i film hanno propinato a propaganda del falso. Questo suscitano le tre presenze nel Golfo, non la storia narrata poi, dopo, in pagine di libri da riscrivere. Storia narrata sui vinti dai vincitori, storia sulla liberazione alleata. E' qui, ora, oggi, galleggia nel golfo la liberazione alleata, la nostra libertà. La vediamo. So' turnate... e mo'...? pensierosa domanda la voce del popolo.
" I funzionari della Difesa degli Stati Uniti riconoscono che il posizionamento strategico in Italia, sul Mediterraneo e vicino al Nord Africa, la dottrina antiterrorismo dei militari italiani, così come la favorevole disposizione politica del paese verso le forze Usa, sono fattori importanti per la decisione del Pentagono di mantenere una grande base e la presenza delle truppe lì." Così Alexander Cooley, esperto Basi, in "The italian Job: How the Pentagon Is Creating the New European Lanchpad for US Wars". E il titolo parla da sé. 
Le Basi statunitensi in Italia son 59. Sono state tutte ampliate, rafforzate, ulteriormente armate, spesso con nomi di facciata, spesso camuffate. Proteste reclami lamentele paura non hanno avuto alcuna presa, incisione, non hanno, non avranno. Dalle basi s'involano droni si addestrano uomini alla guerra si spediscono armi. L'Italia è la piattaforma di lancio Usa per le guerre che sono e che saranno. Il suo lanchpad autorizzato. E non c'è altro da dire.
Marika Guerrini

venerdì 1 novembre 2013

popeye sbarca a Napoli - I parte

... se ne vanno in piccoli gruppi di cinque, sei elementi, se ne vanno calpestando il suolo tra salti e passi scomposti, schiamazzi e sberleffi ai passanti. Aggressivi spesso volgari. I luoghi di frequenza oltre al lungomare sono bar, pub, alberghi di terz'ordine, farmacie. Farmacie, alla ricerca di anabolizzanti, di potenziatori sessuali. L'aspetto denuncia età giovanissime, spesso si dubita che possano raggiungere le diciotto primavere. Nelle corporature, nei volti, si assomigliano, come da stampa, da cliché. Così per movenze, atteggiamento, espressione dello sguardo. E un'aria come da effetto di stupefacenti carica il tutto. Suscitano timore come tenerezza, rabbia come pietà. Dipende dai cuori che incontrano sulla via. Vestono abiti borghesi, comuni, da ragazzi, sbarcano sulla terra ferma nel tardo pomeriggio ogni giorno, rientrano a bordo a sera inoltrata. Sono marinai americani, marinai della Marina Militare degli Stati Uniti d'America, U.S.Navy. Sono a Napoli, giunti con  una portaerei da qualche giorno  ancorata nel golfo partenopeo, qui, di fronte al quartiere Santa Lucia, a largo del lungomare, del Borgo Marinaro, di Castel dell'Ovo. E qui, per lo più qui, in questo  storico angolo napoletano, consumano la loro arroganza, la violenza, la volgarità così come la loro ingenuità, la loro meraviglia, lo stupore. Qui episodi si stanno rincorrendo ogni giorno da qualche giorno, episodi come davanti alla vetrina di un gioielliere, quando uno di loro, età massima diciotto anni, se n'è uscito esclamando, occhi sgranati, ai commilitoni: guarda quant'oro c'è qua dentro!, ovviamente in slang. La racconta lunga questa frase. La racconta lunga lo stupore, la meraviglia. La raccontano lunga i loro occhi sgranati. E ti si può stringere il cuore. E puoi provare un moto di tenerezza mentre ti chiedi: ma da dove vengono, dove vivono, in quale sperduta landa di quell'assurdo contraddittorio continente, in quale sperduto luogo sono stati arruolati. E li vedi, li immagini vittime anch'essi di interessi che neppure conoscono, di cui non sanno, per cui percepiscono stipendi altissimi distruggendo se stessi. Lasciandosi distruggere. Stipendi che spesso, molto spesso, sostentano la povertà delle famiglie da cui provengono. Esattamente come quei "kamikaze", giovani anch'essi, anch'essi assoldati, anch'essi per l'illusione di principi fasulli e menzogneri, che danno la vita in cambio di danaro che, dopo di loro, sollevi i propri cari dalla povertà. La matrice che assolda è la stessa, ovunque si muova, si mostri. Qualunque sia il nome, il simbolo.
Ma la tenerezza s'annulla davanti ad altri episodi. Zona Santa Lucia, la stessa. Tardo pomeriggio. Una farmacia, o meglio, parafarmacia. Cinque elementi della truppa degli States, giovani, molto. Entrano, si fanno spazio, con arroganza, prepotenza. Chiedono anabolizzanti e, come altri prima, sempre, la pillola blu di cui sopra. Chiedono mimando la richiesta con gesti osceni. Con garbo, come nulla fosse, viene loro risposto in inglese: non abbiamo questi prodotti, questa non è una farmacia ma una parafarmacia. Sono seccati. Mentre l'attenzione dei farmacisti è concentrata su di loro, uno dei cinque sgattaiola verso una scala. Porta al sotto bottega ma lui non lo sa. E' buia. Il ragazzo prende a scendere guardandosi intorno come a scrutare, cercare. Un componente il personale della parafarmacia: dove va?, dice. Il ragazzo continua a scendere lungo la scala a chiocciola, continua a guardarsi intorno, scrutare, finché dalla zona pubblica la perentorietà d'una voce non lo ferma. Solo allora tentenna, risale. I commilitoni intanto hanno lasciato il luogo, li raggiunge. E' qui che ci si è chiesto: perché l'uso di sostanze ormonali di potenziamento, perché ad una così giovane età, cosa accade a questi ragazzi, a cosa vengono sottoposti, cosa viene loro somministrato. Perché. Mentre in strada il commento d'una voce del popolo: ah, so' turnate!  
Marika Guerrini

venerdì 25 ottobre 2013

EUROPA-USA

... luglio 1917 " ...le parole di Wilson non vengono pronunciate da un letterato filantropo. Esse sono il vessillo delle azioni che da tre anni l'Intesa compie contro la Mitteleuropa e per le quali gli americani si vanno armando" e poi " Lo stato dei fatti porta la Mitteleuropa a combattere contro le forze che, sotto questa bandiera, affermano di essere scese in campo per la salvezza dell'umanità e per la liberazione dei popoli. L'Intesa e Wilson proclamano il fine per cui fingono di combattere. Le loro parole sono propagandisticamente efficaci. E questa efficacia diviene sempre più preoccupante." Così Rudolf Steiner delinea parte dei retroscena della Prima Grande Guerra. E, circa il basilare programma dell'Intesa-Wilson:" ... dietro la sua maschera moralistica, tende in realtà a servirsi degli istinti dei popoli dell'Europa centrale e orientale per attaccarli a tradimento sul piano politico-morale condurli per questo mezzo sotto la dipendenza economica anglo-americana. La dipendenza spirituale sarebbe poi soltanto la reale, necessaria conseguenza."  *
 In particolari ambienti inglesi, già alla fine del secolo precedente, si parlava di una "prossima guerra mondiale" come dell'evento destinato a dare alla stirpe anglo-americana il dominio del mondo. Lì, dove si parlava in questi termini di una "guerra mondiale", si puntava, senza dubbio alcuno, sulle forze storico-nazionali ed istintive dei popoli europei, slavi principalmente, sui loro ideali, e si puntava altrettanto sul declino del mondo latino, sulle cui rovine si era decisa la propria espansione.
Era l'aprile 1917 che gli Stati Uniti d'America aderirono alle nazioni Alleate Europee in qualità di Nazione Associata. E fu una dichiarazione e fu ufficiale. Ma nulla v'era stato di ufficiale sulla loro presenza militare in terra europea, nulla da ben tre anni, dall'inizio di quella che sarebbe stata la Grande Guerra. Soldati americani, sotto spoglie di britanniche uniformi stavano già combattendo, confondendosi coi francesi, gli Imperi mitteleuropei di Germania e d'Austria. Spacciatisi per volontari, erano stati presenti in ambiti strategici con l'A.F.S. (American Field-Hospital Service), con l'A.R.C ( American Red Cross), e nei Trasporti, e nell'Aeronautica. In Italia, sotto spoglie di uniformi italiane, avevano combattuto nella nostra Fanteria, nell'Artiglieria, avevano prestato supporto medico e psicologico alle truppe all'interno dei reparti della Sanità. Non fu forse così che Ernest Hemingway soggiornò nel nostro paese? Non fu guidando ambulanze sull'Isonzo? Ma, più d'ogni altro soccorso, quelli delle U.S.Military Missions, ovvero i "volontari", avevano ordini di acquisire dati per la creazione di servizi logistici a "supporto" delle attività belliche degli Stati coinvolti nel conflitto. Tutti gli Stati. E tutto torna. Ora, oggi, qui. il lupo perde il pelo ma no il vizio, canta il vecchio proverbio.
Il programma di quel Thomas Woodrow Wilson (1856-1924), 28° Presidente degli Stati Uniti d'America, "idealista", in realtà individuo assetato di potere, cosa che la storia, quando, se, riporta, lascia incomprensibile nelle pieghe delle proprie pagine, quel programma da lui esposto alla Russia di allora, perpetua il suo senso, quelli che furono i suoi punti:
1)  le formazioni statali mitteleuropee, quali sono sorte storicamente, non hanno il diritto di essere riconosciute, dal punto di vista dell'Intesa, come i soggetti a cui compete la soluzione dei problemi nazionali europei;
2) le formazioni statali mitteleuropee devono stare in un rapporto economico non di concorrenza ma di dipendenza dal mondo anglo-americano;
3) le relazioni culturali dell'Europa centrale e orientale vanno regolate secondo l'interesse nazionale anglo-americano.
Basta cambiare qualche riferimento, ampliarlo, qualche definizione geografica, ampliarla, qui e là, e, sì, tutto torna. 
Non v'è sole che sorga e non ci si trovi ad affrontare, ascoltare, venire a conoscenza, riflettere, pensare, eccetera, su eventi, faccende, vicende, condizioni simili a quella che sarebbe una vita passata se non ripresentasse i suoi contenuti più o meno palesi, più o meno sottili. Modalità di conflitti bellici, armamenti, infiltrazioni in terre di conflitti, migrazioni forzate dai punti precedenti, popoli indeboliti, distrutti, e così via lungo il già conosciuto storico e di cronaca fino a questa nostra addormentata Europa tenuta sotto scacco con illeciti strumenti a tradimento. Persino l'accanimento di odio nei confronti d'una salma come nella disumana dissacrata vicenda Priebke, fa parte d'una stessa essenza storica, uno stesso quadro che andrebbe riconsiderato per essere riscritto secondo verità sin dalle origini di questa nostra modernità postbellica. Ed è interessante osservare  corsi e  ricorsi  fino ad oggi, ora, fino al Datagate. Datagate su cui non c'è nulla da dire se non ovvietà. E ci si domanda quale sia la linea di demarcazione tra inconsapevolezza, ingenuità, diplomazia, sonno delle coscienze, furbizia, malafede di questi nostri statisti europei. Dove sia e se ci sia. Dato che chiunque faccia o dica o scriva o comunque trasmetta al mondo idee, ancor più se contro corrente, sa d'essere ascoltato, intercettato, spiato e non ha dubbi circa la fonte, le fonti. Non c'è novità in questo ulteriore ipocrita bailamme delle intercettazioni. E allora perché, perché il chiasso. Si dovrebbe credere alla sua spontaneità, perché? 
Forse sarebbe opportuno decidersi a ricordare la storia, quella tra le pieghe delle pagine, quella indecifrabile, quella che non si vuol leggere, quella scomoda, quella vera, la stessa che molti conoscono e fingono di non conoscere. Quella che permette, impulsa, suggerisce la consapevolezza che le cose stanno così come nelle righe precedenti da tempo, molto tempo e che è tempo di rendersi indipendenti, rendere inefficace ogni senso di quel vecchio linguaggio dell'Intesa-Wilson, che i vari Cameron di turno fingono, a turno, di negare, sarebbe opportuno prima che dell'Europa si facciano comodi brandelli. 
Marika Guerrini
* Rudolf Steiner,"I memorandum del 1917", Tilopa, Roma 1991



martedì 8 ottobre 2013

Lampedusa

... non siamo entrati nel coro di pianto per la tragedia di Lampedusa.  Oh, no, non perché quei corpi abbandonati alla clemenza del mare siano indegni di lacrime, no, fiumi di lacrime andrebbero versate per loro, per la loro vita spezzata, che sia rimasta su questa terra o volata via. A fiumi per il calvario che hanno vissuto attraversato lasciato. Ce l'ha impedito il dolore questo pianto, il suo essere stato previsto predetto annunciato. Da tempo. Troppo. Ce lo ha impedito la nostra non azione, o l'aver agito poco o male o debolmente, a che il destino deviasse il corso. Qui, tra queste pagine, qui dove da tempo, troppo anche questo, ci si è percepiti come Giovanni nel deserto ad urlare genocidi in atto, stragi di civili in atto, soprusi in atto, violenze nella più totale assenza di Diritti Umani, tutto in atto, e in atto quei voli innocenti di bimbi sotto il tuono nemico, che varia nome colore patria ma non sostanza, qui dove la tragedia dei migranti è stata trattata più e più volte,  qui, tra queste pagine, non si grida "vergogna" così come il papa, si grida: mi vergogno. E   l'accusa va a se stessi. Innanzi tutto. Qui si assume su sé la colpa. Innanzi tutto. Va a se stessi la responsabilità, l'ignominia. Qui, tra queste pagine si è pianto nel silenzio del cuore, dove il dolore si raccoglie e tace. Ancor più tace per quella consapevolezza che sussurra: il coro lacrimoso di oggi, quello dei potenti non degli umili non dei puri, quello di coloro che sanno, che agiscono che potrebbero se volessero, lo stesso che ora, a caldo, si esibisce in acuti, domani si farà sommesso poi flebile fino a scemare, ad esaurirsi. A dimenticare. Vedi, hanno perso anche il nome ricevuto sulla terra, il nome che li distingueva, quei corpi racchiusi in legni neri, marroni. In legni bianchi. Il nome che li rendeva unici. E' questo che sussurra la consapevolezza, e, come non bastasse: non sono forse nostre le guerre evidenti e nascoste? E le false Primavere Arabe, le fomentate rivoluzioni, le aizzate guerre civili, non sono forse nostre? E le terre derubate delle loro naturali ricchezze non sono forse derubate da noi? E i falsi concetti di benessere, di civiltà di giustizia che illudono i popoli, non sono forse nostri? E, non sono forse racchiusi in questi legni neri marroni bianchi, questi legni numerati, i frutti di tutto ciò, i frutti che i paesi da cui provengono coloro  ora racchiusi in legni neri, marroni bianchi, vedono ogni giorno, che ogni giorno piangono? I frutti che ci viene dato di vedere, ora, qui, che ci verrà dato di vedere ancora e ancora mentre l'Europa gioca a scarica barile appellandosi ad iniqui trattati sottoscritti da Stati imprevidenti, incoscienti o venduti? L'Europa che non vuole esistere non è forse nostra?
Marika Guerrini

giovedì 3 ottobre 2013

momento epistolare sul tema "ultime sui marò "





... tratto da "Totalità"un inatteso momento epistolare da condividere: 



Simonetta Bartolini -direttore di "Totalità" scrive: 
"Cara Marika, mandandomi la tua riflessione su queste ultime notizie riguardanti il caso dei nostri marò, ti sei detta convinta che non avrei pubblicato il tuo pezzo.
Convinzione che ti derivava dal sapere che io la penso in maniera diametralmente opposta alla tua sul caso dei nostri soldati in attesa di giudizio in India.
Ma Totalità coincide solo in parte con me e con le mie convinzioni, Totalità fino dal primo numero si è presentata ai lettori come libero laboratorio aperto a tutti, e quindi a tutte le idee e opinioni, purchè espresse con rispetto e entro i confini della legge nonché del buon senso. Tradirei dunque la "nostra" rivista se non pubblicassi il tuo articolo, e sopratutto tradirei me stessa e quello in cui credo: la libertà di esprimere le proprie opinioni senza lacci e lacciuoli ideologici, senza pregiudizi.
È una libertà che invoco per me, e che mi ha spinto a fondare questo giornale, ma che garantisco ad ogni collaboratore proprio perché credo nella "libertà" come valore assoluto, e soprattutto credo in quella libertà un po'anarchica che non si assoggetta a nessun padrone, neppure se si tratta di idee e/o ideologie.
Ciò detto esercito il diritto di dirti che non sono d'accordo con te, né con Pistelli e tantomeno con il ministro Bonino.
Pistelli e Bonino in quanto politici (una addirittura ministro degli esteri) sono i rappresentanti del popolo italiano e in quanto tali dovrebbero, in un paese normale, quale tu giustamente invochi, tutelare presso gli altri paesi il popolo italiano non solo come collettività, ma anche per ogni suo singolo membro.
Francamente non so se i due marò Girone e Latorre abbiano sparato o meno (c'è, come ben sai anche l'ipotesi,che siano stati altri a sparare e loro si siano assunti la responsabilità), non so quindi se abbiano ucciso loro quei pescatori. Non so se il tutto sia avvenuto seguendo le regole di ingaggio come era stato loro ordinato di fare.
Pare però sicuro che il tutto sia avvenuto in acque internazionali, che se non cambia la gravità del gesto e i suoi risultati, cambia l'applicazione del diritto.
Nello stesso modo sappiamo che i due marò, per una serie di stupidaggini,dilettantesche fino ad esser criminali (dal punto di vista politico e diplomatico), sono stati riporati sul territorio indiano e per esser consegnati a quelle autorità.
So per certo, infine, e non sono la sola a saperlo, tutto il mondo ne è a conoscenza, che i paesi normali, credibili, dignitosi ecc ecc tutelano i loro cittadini all'estero, che non significa garantire loro l'impunità quando si siano macchiati di un reato, ma significa garantire loro un processo secondo le procedure del loro paese. Questo vale tanto di più quando sia in discussione il luogo dove il delitto si è consumato (acque internazionali?) e quando a essere accusati siano dei militari che rispondono a regole in questo caso assai diverse da un comune delitto di sangue commesso da qualcuno che volontariamente o colposamente  se ne renda responsabile.
Non citerò come esempio gli americani che tutelano i loro uomini a prescindere, non citerò il caso del Cermis non voglio citarlo, non voglio ricordare che dei deficienti per gioco, e non per una interpretazione magari errata delle regole di ingaggio, hanno fatto precipitare una funivia con diverse decine di persone a bordo provocando una strage. Non voglio ricordare che quei militari non hanno fatto un solo giorno di galera in Italia e che a casa loro sono stati praticamente assolti!
Non voglio farlo perché l'America non è un mio modello, ma lo è per tutto il resto del mondo e anche per i nostri politici che sono così arrendevoli con il governo indiano, che invece non ritiene di concedere anche all'Italia il diritto che hanno gli altri paesi.
Il problema cara Marika è che gli altri paesi, quelli che noi definiamo civili, educati, dignitosi, normali, non avrebbero mai lasciato i loro uomini nelle mani straniere. Un paese civile, si assume l'onere e la responsabilità di processare e se è il caso punire i propri militari che abbiano sbagliato.
È una questione di dignità , di onore e di credibilità. Tutte cose ahimé ignote in questo sciagurato paese" 
  • tratto da "Totalità" 
    in risposta:
    "Cara Simonetta, le nostre divergenze sul caso marò, in realtà divergono 
    meno di quanto si pensi. Quel sentimento patrio che ti riscalda e ti fa, 
    a ragione, accusare uno Stato incapace di tutelare i propri cittadini
    all'estero, Stato che ampliando e sintetizzandolo il concetto si può 
    definire assente di Sovranità, in me si centuplica, si esaspera. 
    Ritengo, infatti, che non si possa riconoscere uno Stato che non si 
    comporti secondo Sovranità. Uno Stato non riconosciuto è uno Stato 
    assente e, l'assenza di uno Stato, comporta automaticamente, in frangenti 
    di necessità, la presenza di un altro Stato ma Sovrano. 
    Tu rimproveri lo Stato e, in certo senso, rimproverando aneli ad un suo 
    cambiamento, in me, il desiderio-delusione, moltiplicandosi, fa sì che quello 
    Stato non esista. 
    E ti dirò di più, nella sporca faccenda marò, l'assenza di tutela dello Stato nei 
    confronti dei due militari, si è manifestata ancor prima che venissero lasciati 
    ai ferri indiani. Pressappochismo, menzogna, arroganza, questa funesta triade 
    che ha portato dove sappiamo, ha preso avvio nel momento in cui, segnalazioni 
    della guardia costiera, della capitaneria di porto e della polizia del Kerala, sul 
    grave episodio, sono giunte alla Lexie, da lì in Italia. La corale risposta 
    italiana è stata una completa negazione del fatto pur nella sua evidenza. 
    Che mi risultino, ci sono ben 5 dispacci iniziali inviati dalla nave alla nostra 
    Marina Militare, che attestano il tutto. Si è mentito sul numero degli occupanti
    il peschereccio, sul fatto che fossero armati, sul fatto che avessero sparato 
    per primi (non avevano armi) e fossero in procinto di arrembaggio, sul luogo, 
    ovvero il numero di miglia di distanza dalla costa e le acque internazionali 
    ( in vero neutre, zona-limbo che separa le nazionali dalle internazionali) ), 
    sulla rotta dei pirati somali, sui tre colpi in aria dei nostri militari, tutto a 
    non voler ammettere l'errore tanto meno assumersene responsabilità. 
    Ma tu dici, giustamente, qualunque sia stato il fatto, rei o innocenti, dovevano 
    portarli in patria e garantire loro "un processo secondo le procedure del loro paese", 
    sì, non c'è dubbio. Ed è quel che l'India ha proposto nel primo momento 
    al nostro ambasciatore, a incaricati governativi, all'Italia, quando Girone e 
    Latorre erano ancora a bordo, proprio perché in acque neutre, dove ci 
    si accorda sul chi debba procedere. La risposta italiana ha calcato di nuovo pirati 
    sì, armi in possesso degli uccisi sì, niente arresti ai marò e neppure sospensione 
    momentanea dell'incarico, in attesa, ma al termine regolare della missione, 
    al rientro, si sarebbe valutato il tutto e il se. Arroganza in stile yankee la chiamo io. 
    Sull'altra sponda, intanto, giacevano due morti ammazzati dalle armi italiane, 
    morti disarmati, innocenti, ignari di segnalazioni militari eccetera. Errore che 
    può accadere, ma anche paura, presunzione, arroganza, poi, assenza di 
    lealtà, questo ha giocato. Dici che non sappiamo, in realtà, se i marò abbiano 
    eseguito un ordine, dici "militari che rispondono a regole in questo caso assai 
    diverse di un comune delitto", giusto, provenendo da una generazione di militari, 
    so cosa significhi obbedienza, ma anche coraggio e lealtà. Per questo ritengo 
    ancor più grave l'azione "bellica" in questo caso. Ma l'errore è a monte, Girone e 
    Latorre sono solo emblemi di uno Stato in sfacelo morale ed etico, ed ecco che 
    ritorna. Uno Stato che fa coprire ai suoi militari ruoli che in alcun modo dovrebbero 
    competere loro, come il fare da "guardia" su mercantili civili ( allora ministro La Russa),
    che, ancor più oggi, non di rado, trasportano armi e droga e, in certi casi di certi Stati, 
    elementi sovversivi. E questo i paesi dell'area lo vivono quotidianamente. Simonetta 
    cara, i paesi "normali, credibili, dignitosi" a cui aneliamo, non addestrano i propri 
    soldati nell'emulazione di Stati che non sono né normali, né credibili, né dignitosi, 
    non li addestrano al "prima spara poi accertati", ma ora da noi è così ad eccezione 
    dell'Arma. Ma vedrai che prima o poi distruggeranno anche quella. Ci stanno già 
    provando. 
    Sono con te, ma la mia visione è ancor più severa della tua, forse troppo 
    drastica, ma, come ti dicevo, uno Stato assente alla sua Sovranità, chiama in 
    causa la presenza di un altro Stato che sia Sovrano. E l'altro Stato, la sua Sovranità, 
    se pur con rammarico patrio, bisogna riconoscerla, anche condividere. Quale 
    siano i retroscena della condivisione, in un punto di non ritorno, non importa."
    Marika Guerrini 

martedì 1 ottobre 2013

ultime sui marò


...il 25 settembre il viceministro Lapo Pistelli in una dichiarazione a Il Mondo, a proposito del processo indiano sul caso Marò, circa la posizione italiana, si è espresso: " ... scelta di una giurisdizione speciale, condivisa; regole da utilizzare in processo, condivise." Parole che  sul web hanno scatenato una serie di critiche, a dir poco, secondo cui non si può condividere una giurisdizione che contempli, a monte, la pena di morte eccetera eccetera. Ora, che la pena di morte in India non contempli casi di questo tipo, è risaputo, così come è ovvio che all'origine della critica ci sia la presunzione, in senso etimologico, circa l'innocenza di Latorre e Girone, meno ovvio, ma possibile, è un fattore d'orgoglio nazionale. Ma questo ad occiriente non interessa. Quel che interessa, dopo aver trattato la vicenda sin dai suoi primi attimi, in pagine frutto di accurata analisi anche in linea diretta con Cochin in Kerala, luogo del misfatto, è, non solo la dichiarazione dell'Italia all'assunzione d'una responsabilità condivisa, ma ancor più la risposta del Ministro agli Esteri Emma Bonino alle critiche:" Non è accertata la colpevolezza e non è accertata l'innocenza, i processi servono a questo." Se prima erano critiche ora sono state tempeste sul web.
invece, finalmente, sì, finalmente un gesto di obiettiva considerazione della vicenda. Finalmente un atteggiamento corretto e responsabile rispetto a qualsivoglia verità emerga dal processo. Finalmente un comportamento di equanimità circa l'accaduto. Non può che mettere in risalto dignità di Stato, un tale comportamento, serietà, rispetto per la giustizia qualunque sia la bandiera, in luogo di quel precedente, degradante nazionalismo senza senso né verità a cui si è costretto un intero paese per mesi, mesi e mesi. 
Nel momento italiano che si sta attraversando, momento in cui valori quali correttezza, dignità, senso di responsabilità, senso dello Stato, la lista sarebbe lunga, sembrano votati alla latitanza, accogliamo ben volentieri e con stima l'equanimità del Ministro agli Esteri Bonino. Che ben venga la tempesta sul web per corretti comportamenti contro corrente.   
Marika Guerrini
p.s.
chi volesse ulteriori informazioni sul caso Marò, in ordine cronologico dall'accaduto:
india italia l'arma e i marò