venerdì 25 dicembre 2015

l'Islam di Rumi e l'albero di Natale

..."... fin  quando non sentì i dolori del parto, Maria non si diresse verso l'albero della felicità.  Poi, quando giunsero, i dolori del parto la spinsero verso l'albero dei datteri e quest'albero da tempo rinsecchito, cominciò a produrre frutti. Il corpo (dell'albero) è Maria e ciascuno possiede in sé un Gesù". 
Stralcio questo di un'opera ben più ampia, parole scritte da Galâl al-din Rûmî, in occidente conosciuto come Jalaloddin Rumi, poeta afghano del XIII secolo  (1207- 1273), nato in quella regione del nord dell'Afghanistan patria di grandi leggende perché patria di grandi uomini ispirati. Con lui, con Rumi, fondatore del ramo islamico esoterico dei Dervisci Rotanti che in Turchia esaurì i suoi giorni terreni, un altro grande esempio di grandezza, Zaratustra figlio anch'egli di quella stessa terra.
Così, da Balkh, la città sulla Via della Seta, a pochi kilometri dal grande fiume Amu Daria, da quell'antica Bactria greca, da quell'antico tempo, dall'Islam, con le parole di Rumi giunge a noi il significato dell'albero di Natale, dei  suoi frutti di luce, quei frutti  nati in seno alla Maria delle Marie, a ricordare l'origine divina d'ogni uomo.
Marika Guerrini

venerdì 18 dicembre 2015

Iraq: Mossul falso d'autore

... proviamo ad immaginare Matteo Renzi sostenuto da piccoli cavi che lo reggano dritto a mo' di pupo siciliano, avremo un'immagine realistica dell'italiano Presidente del Consiglio, con la differenza che, mentre i pupi raccontano le Chansons de Geste in cui onore gloria coraggio e soprattutto consapevolezza nell'ardire, sono comunque presenti che sia mauvaise o bonne l'impresa, nel nostro caso tutto questo è sempre assente, sì, perché il rappresentante del popolo italiano di consapevole ha ben poco specie nella parola, lui apre la bocca e le dà fiato, per usare un'espressione gergale romana. Così fa quasi sempre, così ha fatto due sere fa in diretta televisiva, annunciando, mentre la cosa era ancora al vaglio degli esperti militari, l'invio di un contingente italiano di 450 o forse 500, non si sa, soldati in Iraq. Motivo: proteggere la diga di Mossul dal Daesh, nonché intervenire sulle infrastrutture in pericolo di crollo perché: "La diga è seriamente danneggiata e se crollasse sarebbe distrutta Baghdad", queste alcune parole renziane. Ma come siamo generosi e accorti e premurosi e..., ma come siamo falsi e ipocriti e bugiardi. Da qui però, dalle parole del Presidente e dalle seguenti altrui parole, nell'immediato e nelle ore subito a seguire, il galoppare di notizia, polemiche, correzioni al tiro, spiegazioni affrettate, dichiarazioni affrettate, rassicurazioni affrettate, imbarazzi, astensioni dal commentare, dopo di che, silenzio... o quasi.
Così mentre la Pinotti si barcamenava contraddicendo con ogni parola la precedente, entrambi sue, per cui riferita ai militari: " Non andranno a combattere ma solo a proteggere l'impresa" ovvero il cantiere della ditta italiana a cui l'appalto di intervento è stato affidato, dimenticando che se si viene attaccati, per proteggersi e proteggere bisogna combattere, dal canto loro non solo il Daesh che, dall'agosto del 2014, quando i Peshmerga curdi hanno riconquistato la diga e la presidiano, ogni giorno l'attaccano, ed ora hanno fatto sapere  "Faremo maccheroni" dei soldati italiani, ma anche gli Hezbollah, brigate sciite, hanno fatto sapere che " Le forze straniere in Iraq saranno considerate occupanti, Italiani compresi".
A questo va aggiunta la dichiarazione rilasciata all'emittente televisiva irachena Alsumaria News, dal direttore strategico dell'impianto idrico della diga di Mossul, l'iracheno Riad Ezziddine: " Alcune dichiarazioni diffuse di recente circa un imminente crollo della diga, non si basano sulla realtà, sono chiacchiere che mirano a creare sconcerto tra i cittadini", in riferimento alla diffusione della notizia di un imminente crollo della diga diffuso dai media negli Stati Uniti. Ma, si sa, noi italiani, senza renderci conto che il presidente degli Stati Uniti sta usando l'Italia per il suo gioco perverso, che potrebbe sfociare anche, perché no, in un procurato attacco terroristico, vedi Francia e precedente propaganda americana sul combattente paese oltre le Alpi, noi, per voce del nostro Matteo Renzi: " Con Obama c'è totale consonanza di vedute su molte partite. L'Italia interverrà... " e sciorina l'elenco Afghanistan, Libia, Kosovo, Somalia, Iraq e, ovviamente il governatorato di Ninawa, vicino a Mossul dov'è la diga di cui tanto si parla, e conclude:" Noi metteremo 450 uomini con il supporto logistico degli americani e metteremo noi a posto la diga".... ma bravo!
Marika Guerrini
foto dal web

venerdì 11 dicembre 2015

Afghanistan: un aggiornamento


… “ Siamo consapevoli della presenza di militanti affiliati all’Isis in Afghanistan e stiamo monitorando da vicino la situazione per vedere se la loro avanzata avrà un impatto significativo sull’instabilità della regione”, così un portavoce del Pentagono qualche giorno fa. Accettabile se non si trattasse di Afghanistan, se non si parlasse di Daesh.
Gli uomini di Abu Bahr al-Baghdadi stanno avanzando nella zona orientale del paese lungo il confine tribale del Pakistan, con l’obiettivo di creare una nuova provincia: Wilayat.  Questo quel che si dice. Quel che non si dice è che in quella stessa area orientale, nella provincia di Khost, la Cia sta agendo a favore degli uomini del Daesh o Isis come dir si voglia. In che modo, perché?
Il modo è molto semplice: la forza di sicurezza KPF, Khost Protection Force, forza locale creata a protezione della zona di confine che, secondo l’ufficialità, opererebbe sotto il comando della Direzione Nazionale per la Sicurezza, ovvero i servizi segreti afghani, in realtà opera sotto comando Cia che agisce dalla base americana di Camp Chapman presente anch’essa nella provincia di Khost.  La Cia quindi dirige le operazioni, paga gli stipendi, addestra, fornisce equipaggiamenti. Non solo, ma l’agenzia di Langley, Virginia, la Central Intelligence Agency, conosciuta con l’acronimo Cia, non è tenuta a rispettare la Legge Leahy che obbliga gli Usa al rispetto dei diritti umani, almeno sulla carta, e non  è tenuta neppure a rispettare l’Accordo Bilaterale stilato tra Kabul e Washington, accordo che, tra i vari punti, contiene la proibizione per le forze Usa di compiere raid notturni, ovvero irrompere nelle civili case private afghane, ma questo non si dice. Non si dice che tutto accade, tutto si consuma, si fanno irruzioni, maltrattamenti, torture, uccisioni di civili, violenze d’ogni tipo, che siano uomini, donne, bambini, vecchi, colpevoli o innocenti non fa alcuna differenza: si entra si agisce, quasi sempre si spara, si controlla, questa la sequenza. Le rare volte in cui si ammette l’errore, si offre denaro, in dollari ovviamente, ai sopravvissi familiari. Si compra così anche la morte.
Chiedere di fare giustizia è impossibile, inutile anche, motivo: gli uomini del KPF sono protetti dal governo di Kabul perché uomini della Cia a tutti gli effetti e, non di rado, neppure afghani, bensì americani, il che li rende ancor più intoccabili. Ed anche questo non si dice. 
In simultanea a queste azioni vi sono quelle di rifornimento, gli uomini del Daesh vengono “rifocillati” continuamente di armamenti, automezzi Toyota e danaro. Anche a questo torna utile il commercio del petrolio in Siria e Iraq in cui, con il focalizzarsi dello sguardo mondiale, costretti a bombardare obiettivi sensibili del Daesh quali ad esempio camion cisterna contenenti greggio, gli Stati Uniti, 15 minuti prima dei raid, avvertono i conducenti dell’imminente attacco, sì che lascino la cabina di guida e si mettano in salvo. Alla domanda: ma sono uomini del Daesh, la risposta è stata: potrebbero non esserlo. Sottolineando l’attenzione ai danni collaterali. Ma che strano, con il Daesh sì, con ospedali, bambini, matrimoni, carovane, di tutto e di più, no, lì da quattordici lunghi anni si presentano sentite scuse.
In tutto questo mosaico di crudeltà e follia: i Taliban. Di loro si parla solo e quando fanno saltare in aria qualcosa come ambasciate, hotel frequentati da occidentali, zone aeroportuali, come ieri a Kandahar, procurando decine di morti. Certo da condannare senza dubbio, ma anche qui è solo quel che si dice o meglio si dice solo in parte. Quel che non si dice, ma che noi diciamo da tempo, è che da tempo tra le fila dei Taliban sono presenti molti mujaheddin, ovvero combattenti per la libertà, dato che la presenza straniera è risultata e continua a risultare ben più malefica di quella dei Taliban. E cosa fanno gli Usa al riguardo?, gli Usa ovviamente combattono i Taliban che combattono il Daesh.  Così mentre gli Usa fanno il gioco sporco come sempre e ovunque, gli afghani non governativi, essendo il Governo venduto agli Usa e alla Cia, fanno di tutto per trovare un accordo con i Taliban unici a difendere il paese dal Daesh, ma poiché questo viene loro impedito anche con i metodi di cui sopra, ben oltre la negazione d’ogni rispetto e diritto umano,  gli afghani non possono salvare la nazione, infatti, ora, senza l’aiuto dei Taliban gli afghani, per quanto assurdo possa risultare, non possono salvare la nazione.
No, questo non è neppure il vecchio Grande Gioco Afghano, non più, è molto più, molto peggio, ma è quel che sta accadendo, è cronaca, e cronaca continuerà ad essere in Afghanistan.
E questo c’è dietro le proteste contro l’occupazione straniera, ma anche questo è quel che non si dice, o si dice al contrario, ma è questa l’ottica con cui vanno letti gli attacchi contro ambasciate, hotel frequentati da occidentali, zone aeroportuali e ancora e ancora, è questo a spingere molti afghani ad aiutare il ritorno dei Taliban malgrado il loro oscurantismo. E un sano motivo nazionalista si mescola ad azioni estreme e il legittimo desiderio di vivere la propria storia, la propria vita assume aspetto di violenza e fa il gioco dello straniero, del nemico e questi lo usa a suo favore.
“ E’ necessario rendere inumani i nostri nemici prima di fare ciò che facciamo, ma qualcosa dentro di noi ci diceva che erano esseri umani con il nostro intrinseco valore della vita, non era lecito bruciare le loro case, le loro stalle, uccidere il bestiame, per questo era necessario spogliarli della loro essenza umana, per consentirci anche di puntare l’artiglieria in direzione del pianto d’un bambino…”. Sono parole di Stan Goff, soldato dell’esercito degli Stati Uniti d’America ora in pensione.
 L’occidente preferisce dimenticare la tragedia di quella terra, distrarsi da essa, perchè è la propria tragedia, l’evidenziarsi della tragedia della propria civiltà.
E i figli d’Afghanistan, prime vittime di tutte queste ignobili guerre che sono venute, sono e saranno, continuano a spargersi per il mondo e a morire nel corpo e nell’anima
Marika Guerrini
scatto: Barat Alì Batoor

martedì 1 dicembre 2015

Siria 18 marzo 2010- video

... è un promemoria, questo, soltanto un promemoria a ritroso, un promemoria che molti siti stanno riproponendo e lo fa anche occiriente. Riguarda uno storico giorno in Siria, un giorno di primavera, lo dicono i fiori degli addobbi, lo dicono i volti che scorreranno nel video che questa pagina segnalerà, che seguirà, che vedrete se vorrete. Occiriente con le sue pagine non era ancora nato al tempo de video, l'avrebbe fatto l'anno successivo, un anno e venti giorni dopo, il 7 di aprile 2011, e avrebbe impiegato un altro intero anno prima di realizzare che la Siria aveva preso a morire dal 15 marzo di quello stesso 2011. Tristi idi per quella terra, idi storiche, d'assassinio. Era stato il giorno della prima rivolta poi trasformata usata degenerata con una coda che a quattro anni vede distrutta quella terra.  Non voleva credere occiriente allora, lo riteneva assurdo. Se n'è accorto poi che assurdo non era, che era realtà, e l'ha raccontato poi, l'ha raccontato e lo racconterà. L'ha fatto sulla voce dei figli di quella terra, lungo il filo del telefono, nell'aria, sono stati loro a raccontare la loro storia fino a poco fa, fin quando è stata possibile per loro la vita. E' per loro che  occiriente ora invita a vedere il video annunciato, perché si sia consapevoli, se già non lo si è, della bassezza d'occidente, in questo caso italiana, perché si sia consapevoli del tradimento, del vassallaggio a cui ci siamo ridotti da noi stessi, perché la Siria era esattamente quella che l'ex presidente Napolitano ha cantato quel giorno 18 di marzo del 2010 per poi tradire, la Siria era quella e non lo stato canaglia che gli Stati Uniti ci hanno ordinato di dichiarare, di urlare, di divulgare e lo fanno ancora, in modo ancor più subdolo, lo fanno ancora. Ma andiamo al discorso che il portale Pandora tv ci ha ricordato, segnalato e che ringraziamo, e ascoltiamo le parole di Napolitano.
Marika Guerrini

ecco il video:

https://www.youtube.com/watch?v=_i0pIHaiViU






lunedì 23 novembre 2015

epistolario su " In nome di Dio"

... come già in passato, anche stavolta da una pagina di occiriente pubblicata in editoriale da "Totalità" è nato un amichevole scambio di idee con il direttore Simonetta Bartolini. La pagina in questione è "In  Nome di Dio", subito precedente a questa, ed anche stavolta occiriente vi rende partecipi riportando entrambi i testi integralmente.

il direttore

Cara Marika, pubblico in tuo articolo –mi hai chiesto dubbiosa lo pubblicherai?– perchè come abbiamo detto e ripetuto Totalità è un libero laboratorio aperto a tutti e quindi mai e poi mi sognerei di censurare qualche opinione. Figuriamoci quelle di chi stimiamo. Però non ti nascondo che quanto scrivi mi lascia un po' perplessa e non pienamente convinta. 
Tu dici che il richiamo al dio dell'Islam fatto dai terroristi a Parigi, e poi in Mali e prima ovunque sia stato portato terrore e morte è svuotato di significato, è una formula che fa più male all'Islam che bene ad Allah.

Non c'è dubbio, lo credo anche io. Però non puoi paragonare le parole di Bush autodefinitosi unto del signore, o quelle di qualunque capo di stato cristiano che invochi il nostro dio intraprendendo una guerra o qualunque altra iniziativa politica di forte impatto. Quella sì che è una formula tesa a richiamare più che l'essenza della religione nella quale crediamo il senso della condivisione dei valori. Altro sarebbe se i soldati americani governassero i droni che bombardano le città, o invadessero i territori su carri armati sui cui scudi fosse scritto "Cristo Re" o il celebre "Dio lo vuole". Perché l'effetto devastante della religione coinvolta nella guerra sta nella diffusa e ripetura formula invocativa nel corso di ogni singola azione che comunica il senso di una contrapposizione spirituale, cioè religiosa e quindi di civiltà. Non dimenticare che fu l'invocazione di quella formula che rese grande Giovanna d'Arco, e la portò al martirio (anche), la forza della pulcella d'Orleance stava nel suo grido di battaglia in nome di Dio, e come tale è entrata nell'immaginario della nostra storia e della nostra cultura e quindi ha avuto forza. 
Questo mi preoccupa e continua a preoccuparmi quando vedo le nostre strade insanguinate in nome di dio. Tanto ti dovevo. S.B.

 ***
Marika

Sì, Simonetta, hai ragione, abbiamo indetto e condotto guerre in Nome di Dio, ma questo è il passato. Al tempo della Pulzella d'Orléans e al tempo delle Crociate, la prima ancor più, momenti da me amati da sempre, l'uomo aveva un diverso rapporto con il divino, contatto che poi, calato sempre più nella materia, ha in gran parte smarrito. Inoltre farei una distinzione tra il grido della Pulzella, destinato a gente della sua stessa fede se pur diversa, infatti la condannò, ma che fosse tra cristiani e cristiani fa una grande differenza, e il grido "Dio lo Vuole" dei Crociati, con loro siamo apparentemente in un ambito simile all'attuale. Ma, Simonetta, qui stiamo paragonando degli illuminati in senso spirituale, per lo meno le guide, al loro opposto, Bush e seguito e company. 
La moralità di un'azione non ha valore per la parola espressa, e neppure per il simbolo esposto, ma per la zona interiore da cui muove. Il medioevale "Dio lo Vuole" nulla ha a che vedere con l'americano "In Nome di Dio" da noi cristiani di oggi non ostacolato, né negato, né corretto, ma seguito. Oggi, quel che allora s'espandeva quasi a prescindere dall'uomo, che illuminava l'uomo, deve, o dovrebbe, essere dall'uomo voluto, cercato, ricreato, singolarmente innanzi tutto. In tal caso assumerebbe altro senso marciare in Nome di Dio e terrebbe conto, cosa imprescindibile, della Verità e della Lealtà. Ma, cara amica, io non vedo nulla di tutto questo, né in chi inneggia alla guerra in Nome di Dio, né in chi segue la bandiera issata sulla menzogna. E per far questo non c'è bisogno di scritte, che siano segnate o non, non fa differenza. 
Grazie per avermi dato modo di chiarire quel che avevo ritenuto sottinteso. Ma è una sponda che spesso mi offri. M.G.



sabato 21 novembre 2015

In Nome di Dio

il Golgota
... nei giorni scorsi, a ridosso del tragico episodio parigino, non le abbiamo contate, ma molte sono state le telefonate a proposito dei musulmani. In tutte le molte voci sempre quella di turno diceva: perché non dimostrano d'essere contrari al terrorismo, loro comunque aderiscono, perciò restano in silenzio, etc. etc. La cantilena s'è ripetuta e ripetuta. 
E allora bisogna scendere in strada, affollare la piazza, prendere le distanze dai fatti di Parigi, prendere le distanze con il megafono. Agire secondo questo nostro costume che, personalmente, riteniamo incivile, schiavo di un sistema violento che da se stesso si è dato, in nome di una democratica civiltà male interpretata. Perché la massa non fa l'uomo civile ancor meno fa l'individuo pensante e cosciente. In ogni caso e comunque.
Ma, torniamo ai musulmani costretti a dimostrare la loro innocenza. Il fatto che molti imam, abbiano rilasciato dichiarazioni di tutti i tipi e su tutti i canali d'informazione, sempre precisando: ciò che si manifesta nel e con il terrorismo non è l'Islam. Non è servito a nulla.
Il fatto che alcuni abbiano citato anche versetti del Corano con l'esplicita condanna al suicidio, ben lungi dall'aprire le porte del Paradiso. Non è servito a nulla.
Il fatto che molti intervistati comuni abbiano preso le distanze anche solo dall'idea dei fatti criminali, testimoniando rispetto per le altre religioni e per il paese straniero di cui ormai si sentono parte, non è servito a nulla, nulla è servito a nulla: bisogna che manifestino. 
Ed oggi, ora, mentre tracciamo questa pagina, lo stanno facendo. Bene, siamo tutti contenti! Sarà quel che sarà, andrà come andrà, siamo tutti contenti.
Tutti, proprio tutti i musulmani  a cui è stato chiesto e a cui non è stato chiesto parere, si sono giustificati. Questo ci ha disturbato non poco. Giustificarsi di cosa, perché, con chi, per chi?
Giustificarsi degli effetti di ciò che noi, occidentali abitanti di questo emisfero, con il nostro malcostume, il ferimento dei valori, l'indebolimento degli ideali, della sacralità, e ancora e ancora, abbiamo prodotto come una serpe in seno e fuori da esso? No, non ci è piaciuto. Tanto meno siamo contenti che genti musulmane stiano manifestando, se fosse stato possibile avremmo evitato quest'umiliazione, no, non solo a loro, a noi tutti in quanto esseri pensanti ritenutisi civili.
Il grido: Allah-u-Akbar!, s'è fatto sigla sulle labbra delle costruite macchine da guerra, per  questo grido oggi, ora, migliaia di persone innocenti, stanno chiedendo scusa manifestando a Roma, a Milano. Il  senso di quel grido che ogni musulmano porta nel cuore: "Dio è Grande" ché questo vuol dire, ed è sacrosanto portarlo nel cuore, in quel grido, agli occhi dei più d'occidente, il significato s'è perso. E' capovolto. E questo è triste. Molto. E non ci fa onore. 
Siamo forse scesi in strada noi cristiani, ci siamo forse adunati in piazza quando George W. Bush, autodefinitosi "unto del Signore", al grido "In Nome di Dio" ha scatenato gli eserciti contro un paese inerme e, a suon di menzogna chiamata giustizia, risposta ad un attacco, chiamata "scontro di Civiltà", "guerra di religione", richiamando antiche guerre che nulla avevano a che vedere, nascondendo la verità dietro di esse, ha distrutto l'Afghanistan, dando inizio a infami guerre, distruzioni, destabilizzazioni e morti, civili ancor più a migliaia e migliaia, e innocenti ancor più? 
E siamo scesi in strada, in piazza quando, scudo la menzogna, sulla scia del grido "In Nome di Dio" abbiamo ucciso capi di Stato dando poi in pasto i loro paesi alla follia omicida di mercenari assetati di sangue e denaro? 
E siamo scesi in strada, in piazza quando sulla scia dello stesso Dio e sempre scudo la menzogna, abbiamo fomentato false primavere al solo scopo del divide et impera ad uso di potere economico e geopolitico producendo morti e distruzione?
Siamo scesi in strada, in piazza alla sistematica distruzione dell'Iraq?
E per la Siria, quando, sempre nascosti dalla menzogna e sulla scia dello stesso Nome di Dio, si è fatto sì che una comune ribellione interna si trasformasse in guerra civile, armando i ribelli e accrescendo le loro fila con mercenari appositamente addestrati, nei nostri territori d'occidente, ad essere assassini, siamo scesi in strada, in piazza ad urlare: Dio non c'entra con il folle grido, noi cristiani prendiamo le distanze! ?
Siamo scesi in strada, in piazza? Ci siamo giustificati? Umiliati? Abbiamo chiesto scusa o cosparso il capo di cenere? Qualcuno ci ha costretti a farlo? No. Noi ci siamo armati e abbiamo seguito il grido e poi la sua eco. E lo facciamo ancora.
Marika Guerrini

lunedì 16 novembre 2015

Parigi:ragazzi contro - il fallace pensiero della Fallaci


... si è evidenziata al Bataclan la tenebra che ha avvolto Parigi, si è mostrata al mondo in tutta la sua ampiezza e ancor più acuto s'è fatto il dolore dinanzi all'età degli attori, qualunque fosse il ruolo interpretato. Volti, sguardi, atteggiamenti. Ragazzi, tutti ragazzi. E tutti belli, belli dentro, ché questo è trapelato dalle immagini, sia che fossero dispensatori di morte o vittime.         

"Erano bianchi, avevano tutti meno di 25 anni... sparavano con gli Ak47 a colpo singolo, 3-4 alla volta, tutti ben mirati, sembravano soldati delle forze speciali", così una testimonianza, e un'altra: " Ho visto diverse persone giovani che non indossavano maschere, entrare nella sala durante il concerto imbracciando kalashnikov" e un'altra: " I terroristi erano molto calmi" e un'altra: " Hanno sparato a bruciapelo a chi era rimasto ferito. Ricaricavano le armi e ricominciavano a sparare". Queste le immagini. 

E al dolore partorito dalle immagini proiettate o suscitate, sullo schermo o nella mente, voci si sono rincorse diverse e simili, di bocca in bocca, di paese in paese, tra esse, molte, troppe, si sono servite dell'eco di un'unica voce, quella della Fallaci, della sua rabbia, del suo orgoglio, rabbia indirizzata alle genti musulmane in genere, orgoglio per l'occidente emblema di civiltà, giustizia e democrazia. Rabbia e orgoglio frutti d'una mente che da tempo aveva perso il filo della verità, confuso, avversato. Frutti di un'anima esacerbata da un ateismo mai risolto, negato e consolidato, dubbioso e certo, anelante una preghiera, silente, negata al suo nascere, ancor prima di esso.  Eppure un certo mondo, quello dell'ignoranza e o della menzogna e o dell'ipocrisia, si serve di tutto questo ed eleva a "profezia" quella che è solo stata una visione unilaterale della nota giornalista, una visione contro, che il contro ha reso reale, una visione dettata, in gran parte, da ignoranza culturale circa l'Islam.
Ecco alcune delle sue parole in merito:

"  Parigi è persa: qui l'odio per gli infedeli è sovrano e gli imam vogliono sovvertire le leggi laiche in favore della sharia" e ancora: " Illudersi che esista un Islam buono e un Islam cattivo ossia non capire che esiste un Islam e basta, che tutto l'Islam è uno stagno e che di questo passo finiamo con l'affogar dentro lo stagno, è contro Ragione. Non difendere il proprio territorio, la propria casa, i propri figli, la propria dignità, la propria essenza è contro Ragione...." e ancora: " Morire di sete e di solitudine in un deserto sul quale il Sole di Allah brilla al posto del Sol dell'Avvenire è contro Ragione. E contro Ragione è anche sperare che l'incendio si spenga da sé grazie a un temporale o a un miracolo della Madonna" e ancora:" Jihad. Guerra Santa. Una guerra che non mira alla conquista del nostro territorio, forse, ma che certamente mira alla conquista delle nostre anime. Alla scomparsa della nostra libertà e della nostra civiltà." e ancora:" Non capite o non volete capire se non ci si oppone, se non ci si difende, se non si combatte, la Jihad vincerà, distruggerà il mondo che bene o male siamo riusciti a costruire... la nostra cultura, la nostra arte, la nostra scienza, la nostra morale, i nostri valori..." e ancora: " Qui è in atto una Crociata alla rovescia" e ancora:" E' il Corano non mia zia Carolina che umilia le donne e predica la Guerra Santa, la Jihad... tutto il male che i figli di Allah compiono contro di noi e contro se stessi viene da quel libro". 
  
Ed ecco altre parole, parole in risposta all'ignoranza, al contro:
  
" Ho letto e riletto le tue pagine. L'ho fatto all'inizio, quando erano poco più che articolo. Nel 2001. Le ho lette qui, a Roma, in una libreria del centro...  Le ho lette di getto come tu le hai scritte di getto.... Al the end l'amaro in bocca, negli occhi, nel cuore...Ho preso il tuo libro, per questo, in seguito. E' stata forte, molto, la bufera degli stati dell'animo accavallatesi ad invadere i pensieri.
E' in quest'assenza di pensiero che ho fatto un calcolo, semplice, numerico: migliaia di copie vendute, migliaia di lettori, migliaia e migliaia di immagini matrici di altrettante immagini. A formare opinioni, credenze, pseudo pensieri. Passati di parola in parola, di suono in suono, di segno in segno. Tutto questo scaturito dalle tue pagine, dalla tua rabbia e dal tuo orgoglio. Tutto questo a formare la storia.
Storia grandemente ignorante, cara Oriana... Una sottostoria a formare una sottospecie di uomini.
E' stato dopo, dopo questo calcolo, negli sprazzi di calma, nel distacco, che ho visto i ragazzi. Tutti quei ragazzi ancora bambini, appena adolescenti o poco più. Quelli che, in assoluto silenzio, quasi una venerazione a dispetto dei loro stessi docenti, ascoltano quando parlo d'oriente e d'occidente, della storia che è fluita dall'uno all'altro, delle arti, delle lettere, del pensiero scientifico, filosofico, delle guerre e delle battaglie anche, delle sfide, della lealtà nella diversità, della conoscenza, del rispetto, la spregiudicatezza che porta all'incontro, lo produce, lo alimenta, e ancora e ancora.
Quelli che restano immobili malgrado la naturale vitalità e possono farlo per ore. Quelli che alzano le mani, chiedono la parola per porre domande su domande a ricercare, scoprire, conoscere, comprendere. Tutti quelli che non rifiuto mai d'incontrare a scapito di proposte prestigiose, mondane, inutili. Tredici, quattordici, diciotto, venti o poco più, non importa l'età, loro bevono le parole come i rosoni di Chartres bevono la luce. 
E tu sai che quel che uscirà con la tua voce sarà creduto. E tu sai, perché non hai dimenticato, che stanno chiedendo al mondo che si mostri diverso da quello che sanno e che non sanno. E tu fai parte di quel mondo ai loro occhi.
Poi li ho visti con te.
Con la stessa capacità d'immersione li ho visti con te. Con la stessa passione, la stessa foga li ho visti con te a porre domande. Domande diverse scaturite da parole diverse, pensieri diversi, opinioni diverse. Opposte. Quasi.
Li ho visti, infettati dalla tua rabbia e dal tuo orgoglio, gonfiarsi di delusione, paura, arroganza.
Accade in automatico a quella età. E' la trasformazione, la miscela, il risultato. Di noi. Ho guardato il mondo con i loro occhi dopo le tue parole. La storia formarsi dalla paura della vita. Ho visto.
Uomo contro uomo. Ho visto.
Non mi è piaciuto.
... Ho paragonato i ragazzi dei racconti, del silenzio, della comprensione, quelli che bevono le parole per scegliere la vita, li ho paragonati agli altri, quelli cresciuti nella distorsione della storia, nella menzogna, nella paura. Cresciuti nell'ignoranza. Voluta. Procurata. Cresciuti contro.
Non mi è piaciuto.
E' stata la vista di questi ultimi, la gabbia che li serrava, a smascherare il mio silenzio. Complice. Così mi sono percepita. Complice delle tue parole con il mio silenzio. 
Non mi sono piaciuta.
Ho fatto come te. Ho preso carta e penna, ho iniziato a scrivere di getto... ".
Non c'è altro da dire.
Marika Guerrini

mercoledì 11 novembre 2015

Nāṣiriya: una pagina personale

... Nāṣiriya, 12 novembre 2003, l'esercito italiano subisce il più grave attacco dopo la seconda Guerra Mondiale, tra i 19 italiani uccisi 12 sono carabinieri. La base è la Maestrale, presidio dell'Arma all'interno dell'Operazione Antica Babilonia, la nostra missione di peacekeeping.
Alla notizia il silenzio s'era fatto immediato in me, nella mente, nel cuore, solo l'anima vibrava. Il dolore, immediato anch'esso, s'era fatto ancor più acuto nel sommarsi ad un dolore altro, personale, intimo, recente, ancora acerbo nella breve temporalità di un mese esatto: la perdita di mio padre. Questione di attimi poi, scevro da qualsivoglia sentimento, come lavato, un lampo alla mente, un pensiero in sembianza d'immagine s'era mostrato nitido: lui è lì, ad accogliere i "suoi" 12 carabinieri. Questa l'immagine pensiero.
No, non trasmutazione del dolore in altra forma o trasmigrazione in altra zona, come sosterrebbe la banale psicologia, ma una concomitanza di elementi come cesellati a formare una realtà irreale eppur reale altrove, conferma d'una vita oltre, al di sopra di noi, una vita superiore. E la sensazione che un immateriale filo unisse i due avvenimenti consumatisi a distanza d'un mese esatto l'uno dall'altro, s'era fatta percezione avvalorata da quella che aveva rappresentato in vita la figura di mio padre. 
Aveva indossato la divisa dell'Arma anche lui, all'epoca di due tipi una kaki d'ordinanza  l'altra nera, e, dal tempo della battaglia di Alamin, come gli egiziani chiamano el-Alamein, combattendo l'allora nemico, al dopo guerra combattendo la mala vita, quella dal nome Camorra con la C maiuscola, aveva onorato i valori umani e dell'Arma con assoluta abnegazione e quell'umiltà che è dei grandi. Il cedimento non l'aveva mai colto, neppure dinanzi alle minacce di capi camorristi alla sua famiglia, a me sua figlia maggiore, allora undicenne, dodicenne... malgrado l'inconfessato terrore vissuto nell'intimo, mai, e per la bambina di allora che, dall'oggi al domani, senza spiegazione, s'era trovata ad essere seguita o preceduta da due angeli custodi, ché tali erano ai suoi occhi i due carabinieri che a turno avevano preso ad accompagnare ogni suo passo, il coraggio di lui s'era fatto fonte di orgoglio, dignità, s'era fatto coraggio. 
Come avrebbe potuto la bambina di allora, poi donna adulta, non percepire quel giorno del 12 di novembre del 2003, ad un mese esatto dalla scomparsa terrena di un uomo che quando parlava dei "suoi" carabinieri faceva derivare quel "suoi" non dal loro essere sottoposti, bensì figli, come avrebbe potuto non percepire il trait-d'union tra i due avvenimenti, altro pensiero non avrebbe potuto formulare che: è lì ad accoglierli con amore, come li ha amati e protetti sempre, li ha preceduti di trenta giorni terreni, soltanto, un soffio lì dove ora sono insieme.
Quando i 12 carabinieri caduti a Nāṣiriya giunsero a Roma, con le altre vittime, al Vittoriano, fuori da esso, si era in tanti. Il tributo degli italiani silenziosi come non mai, composti come non mai nella piazza gremita, si fece ancor più toccante al passaggio del corteo funebre scandito dall'iniziale applauso, dai motori in sordina dei camion che ospitavano i caduti e dal picchiare sul selciato degli zoccoli dei cavalli dei Corazzieri che, a passo d'uomo, scortavano. E un forte senso patrio, ormai peregrino anche quando verbalmente citato, si fece presente come non mai. A rinfrancare il cuore. 
Marika Guerrini    
foto dal web

venerdì 6 novembre 2015

la tragedia dell'A321 e il sacrilegio di Charlie Hebdo


resti dell'A321 schiantatosi sul Sinai
... quando lo scorso gennaio si impose al mondo l'attentato a "Charlie Hebdo" e i riflettori si accesero sull'univocità delle folle e dei canali d'informazione al grido "Je suis Charlie" e "Siamo tutti Charlie",  fattisi simboli di difesa della libertà di stampa e di solidarietà con il giornale, confondendo la parola libertà con vilipendio, blasfemìa, sacrilegio etc.  e in molti casi menzogna, noi dichiarammo senza mezzi termini "No, jamais, je ne suis pas Charlie! " *.  Da allora Charlie Hebdo da giornale che viveva alla giornata quasi sull'orlo del fallimento, si è arricchito di milioni di euro ricevuti in donazioni da decine di aziende, istituzioni, persone comuni. Da allora, dopo l'ospitalità nella sede di Libération vive quasi in incognito in una sede-bunker costata 1milione e 500.000 euro. Da allora è passato da una tiratura di 60.000 copie precedenti l'attentato alle 300.000 di quest'anno, da 7.000 abbonamenti precedenti a 210.000, senza contare la tiratura di 8 milioni di copie del numero subito successivo al 7 gennaio, che riportava la vignetta di Maometto in lacrime. 
Pur ricco e famoso, ora, Charlie Hebdo non ha mai smesso di ragliare, al contrario, visto che  il mondo continua ad alimentare la vita della sua carta straccia ritenendola portavoce di libertà d'espressione,  l'ha fatto anche in questi giorni, ha ragliato, no, non su Maometto o sulla Trinità o soggetti del genere, ha ragliato sulla morte di 224 persone, ha ragliato sul frantumarsi del Metrojet Airbus A321 russo partito da Sharm el-Sheik per San Pietroburgo e spezzatosi in due a pochi minuti dal decollo. Ha ragliato sulla tragedia. Tragedia senza un perché, un come, non ancora, dato che la versione del micro-ordigno nella stiva o in qualche altro luogo a bordo, non  convince, né lo fa la rivendicazione dell'Isis, entrambi le versioni fanno troppo gioco a favore dell'Isis e a sfavore della Russia, troppi gli interessi in campo, chi è saggio attende, vaglia, pensa e... attende. Ma Charlie Hebdo non ha atteso e a tre giorni dal disastro ha pubblicato le vignette sacrileghe che per scelta noi non pubblichiamo: " Daesh: l'aviazione russa ha intensificato i suoi bombardamenti" questa la scritta sulla prima in cui viene raffigurato un jihadista dell'Isis che si protegge il capo mentre dall'alto cadono pezzi di aereo e persino un corpo, e: " I pericoli del low cost russo" dice la scritta sulla seconda vignetta la cui illustrazione riporta un teschio con occhiali da sole semi fusi dall'incendio dell'airbus disegnato sullo sfondo, mentre il fumetto dice: "Avrei dovuto prendere l'Air Cocaïne", in riferimento alla vicenda dei due piloti francesi di recente accusati di traffico di droga dalla Repubblica Domenicana alla Francia.
Quel che sconcerta, ma neanche tanto, è che su quest'ennesima azione indegna di qualsivoglia giornale e di qualsivoglia satira anche se caustica come in Charlie Hebdo, la nostra stampa non abbia preso posizione o quasi, si sia pronunciata solo riportando le parole di sacrosanto sdegno di molti russi tra cui Dmitrij Peskov, portavoce del Cremlino, Maria Zakharova, portavoce del Ministero Affari Esteri di Mosca, Aleksandr Romanovich, vice capo della Commissione della Duma per gli Affari Internazionali, Konstantin Kosaciov, presidente della Commissione Affari internazionali del Senato etc. Si potrebbe continuare a comprendere l'intera Unione Giornalisti della Russia il cui  segretario Timur Sharif si è così espresso riferendosi a Charlie Hebdo: " Lo staff della rivista ha oltrepassato la linea di confine che separa il giornalismo libero a la libertà di parola dalla volgarità, dal cinismo e dalla provocazione criminale", parole che sottoscriviamo pienamente e senza dubbio alcuno, così come sottoscriviamo le parole di Dimitrij Peskov con cui chiudiamo: "Nel nostro paese questo si chiama sacrilegio e non ha niente a che vedere con la democrazia o la libertà di espressione". Anche nel nostro ci piacerebbe dire, ma ci limitiamo al personale: anche per noi e qualcun altro, dato che il silenzio nel condannare i ragli di Charlie Hebdo nella nostra stampa si fa sentire.
Marika Guerrini

* http://occiriente.blogspot.it/2015/01/liberta-o-verita-no-je-ne-suis-pas.html

martedì 27 ottobre 2015

Russia - Siria -Usa e la battaglia delle tigri

... come d'incanto, dopo mesi e mesi di gabbie, pali, teste mozzate rotolanti o tenute per quelli che furono capelli, dopo violenza d'ogni genere sbattuta in faccia al mondo accompagnata da commenti e minacce di stessa natura,  ecco che, come nel fumo d'un illusionista, quella violenza, visiva e sull'anima,  è sparita dai teleschermi, dileguata. Così tanto scomparsa da farsi eco e in tal forma sbiadire nel ricordo di molti. Ma questo è l'uomo, quando, saturo di  quel che gioca ad intaccare l'anima, per impulso di sopravvivenza, tende ad ignorare, nascondere, dimenticare. Così l'Isis o Daesh, come dir si voglia, nella visibilità s'è fatto eco, con esso le varie fratellanze anti-governative siriane che moderate non sono mai state, né sono, né saranno. E tutto dalla prima pioggia di bombe russe su territorio siriano. Perché?
Infatti mentre Usa, Arabia, Turchia etc. continuano, a foraggiare con armamenti d'ogni tipo quella massa informe di terroristi che chiamare individui è blasfemìa, l'intervento russo non solo palesa l'incongruenza di un occidente che mentre parla di lotta al terrorismo lo foraggia, non solo dimostra, a stupore sempre d'occidente, la portata e l'alta tecnologia dei propri armamenti che se pur non raggiunge, forse, il potenziale americano, non è da sottovalutare, ma dimostra anche che le operazioni russe che siano raid aerei o azioni di terra, si muovono sempre entro confini ben precisi, lungo linee circoscritte lungi dal provocare i così detti "danni collaterali"  a cui sono avvezze le operazioni Nato, checché se ne dica mentendo, in questo modo le azioni russe per cielo e per terra stanno facendo pulizia. 
Sì, cruda espressione questa, senza dubbio, ancor più crudo il pensiero di essa, ma le operazioni russe in Siria hanno, ad oggi, ridotto del 90% gli attentati suicidi, messo in fuga decine e decine di terroristi, colpito e distrutto decine e decine di postazioni, centri di comando, depositi di munizioni, rifugi e mezzi militari dei terroristi tutti,  contrariamente alle tonnellate di ordigni bellici Nato, che non solo non hanno sortito alcun effetto distruttivo del terrorismo, ma l'hanno incrementato ovunque con i risultati che sappiamo, vediamo, viviamo, dalle guerre agli esodi forzati di popoli che è  eufemismo chiamare migrazioni. Questo il dato di fatto. 
Accanto a questo dato, e a sua convalida, il silenzio, o quasi, dei media, italiani ancor più, che si astengono dal comunicare le notizie relative alle operazioni russe e, quando e se comunicano, lo fanno con la tecnica del copia-incolla dai giornali internazionali angloamericani.  In realtà essendo l'Europa tutta inserita nel contesto militare della Nato, e l'Italia più d'ogni altro paese UE dato l'alto numero di basi presenti su territorio, vige una inespressa parola d'ordine che pochi condividono, ma a cui quasi tutti sottostanno: considerare la Russia avversa perché non sottomessa alla politica di Washington, il che giustifica l'intero comportamento occidentale nei confronti della Russia, compresi appoggi all'Ucraina, missili abusivi  puntati sul paese del Volga dai confini europei e le sanzioni.
Per gli stessi motivi si tace anche sulle proposte agli Usa di condivisione aerea, coordinamento di azioni, cooperazione, incontri al vertice con tutti i paesi del teatro compreso al-Assad, presenza a nostro avviso non solo indispensabile ma più che legittima, incontro persino con i "ribelli moderati", richieste tutte espresse da Putin e tutte puntualmente negate dagli Usa e dai ribelli loro appendice il cui rappresentante a canale televisivo "Al Arabiya" si è così espresso: Non capiamo come si possa parlare di coordinamento e allo stesso tempo sostenere Bashar Assad. Fotocopia del concetto presidenziale Usa. 
Il fatto è che la guerra fredda, forse ancor più per gli Stati Uniti, non è mai finita, e, come da loro costume, gli Usa vorrebbero si ripetesse per la Russia ora in Siria, quel che successe all'URSS in Afghanistan in seguito alla decennale occupazione, ovvero la fine dell'URSS allora, la fine della Russia ora, ma i conti stavolta non torneranno,  questa manovra non riuscirà e l'oste stavolta non è solo la Russia, ma sono gli stessi Usa, vicende che li riguardano e, non da ultima, la presa di coscienza generale circa le manovre americane che, responsabile molto la Nato con le sue défaillances, sono state messe a nudo, che lo si ammetta liberamente o lo si taccia per vassallaggio.
La Nato pare essere al tramonto e lo ha ampiamente dimostrato con il fallimento di tutte le sue ultime campagne, per quanto molti fallimenti siano stati programmati per essere tali. La finanza Usa è a concreto rischio default, lo si vedrà in novembre. L'Europa tra guerre dispendiose al seguito degli alleati ed invasione di popoli altri sul proprio territorio, conseguenza delle guerre di cui sopra, rischia il collasso e la propria Unità per quanto nominale sia e sia stata. La Russia non nasconde la crescente collaborazione con la Cina.   C'è poi l'Onu, quest'inutile istituzione che per ottemperare ai compiti per cui è stata costituita, dovrebbe lasciare Manhattan e trasferirsi in Europa, semmai sulla costa atlantica per questioni di equidistanza o quasi, chissà, lontano dalle grinfie di zio Sam che negli ultimi anni altro non ha saputo fare che infliggere sanzioni e procurare guerre, forse ce la farebbe. Infine c'è la Cina che dal suo canto guardando alla strategia siriana di Putin si comporta secondo la massima cinese che dice: trovarsi sulla vetta della montagna a guardare la battaglia delle tigri   
Marika Guerrini

immagine dal web

sabato 17 ottobre 2015

Stati Uniti d'America Afghanistan e la pentola senza coperchio

... "In quanto comandante in capo dell'esercito, non consentirò che l'Afghanistan si trasformi in un rifugio sicuro per terroristi in grado di attaccare nuovamente il nostro paese... ". 
Questo l'esordio, ieri, nella dichiarazione del Nobel per la Pace nonché presidente degli Stati Uniti d'America Barack Obama, ora, ma per poco, benché cambino i capi ma non la sostanza, capo indiscusso d'una  terra dispensatrice di democrazia, ricchezza, civiltà e ancor più, non a caso con lui, di "pace". 
A questo punto lungi da noi qualsivoglia commento sulla dichiarazione, ci si conceda solo qualcosa da condividere, qualcosa di ovvio, banale, qualcosa che ha nome: esasperazione, unico e solo sentimento che possa nascere all'ascolto delle parole, quelle su riportate come quelle omesse, e che il lettore, che non le abbia ancora ascoltate, potrà trovare in qualsiasi registrazione di qualsiasi telegiornale o emittente radiofonica o... diversamente da altre notizie. Ed è questa l'unica consolazione: la divulgazione. 
Ora, per quanto ingenui, distratti, ottusi si voglia o si possa essere, per idiozia o convenienza, non si può non constatare che il coperchio di quella pentola diabolica, di cui nel proverbio "il diavolo fa le pentole ma non i coperchi", se pur ci sia mai stato, è saltato, completamente saltato, chissà, per via di eccessiva ebollizione del contenuto in pentola, forse. Lasciato scoperto, il contenuto sta traboccando copioso e purulento. Così mentre la stampa corrotta Usa ed europea tratta il problema dei rifugiati  come avulso dai crimini di guerra americani, diretti o per procura, in perfetto stile Grande Gioco, la Russia, in quindici giorni, con la propria azione ha dimostrato l'assoluta non azione degli Usa, Nato, che per un intero anno hanno dichiarato di combattere il così detto terrorismo islamico, che in realtà armavano ed armano, finanziavano e finanziano, addestravano e addestrano.
Ma mentre della Russia e della sua azione, parleremo in pagine venture, ora, così, tanto per tranquillizzare Obama sui pericoli in cui potrebbe incorrere il suo paese ed anche per contribuire a divulgare qualcosa che pochi hanno riportato e non certo la nostra stampa, pubblichiamo alcune recenti parole dell'ex presidente Hamid Karzai, senza dubbio anche lui uomo dello zio Sam, ma, per quanto assurdo possa risultare, per paradosso più "onesto" dell'attuale Ashraf Ghani, parole pronunciate in un'intervista rilasciata ad Al Jazeera, lo scorso 11 di settembre a  proposito di al-Qa'ida. 
Per me è un'invenzione. Non ho mai ricevuto alcun rapporto da alcuna fonte afghana su al-Qa'ida o su quello che stessero facendo. Non ho mai ricevuto alcun rapporto dalla nostra intelligence né dalla nostra gente. Ho avuto a che fare con i Taliban, ho avuto a che fare con altri gruppi... ho dei rapporti su di loro... devo avere qualcosa di tangibile per dire che qualcosa esiste". Idem alla domanda sull'11 settembre del 2001, se al-Qa'ida fosse in Afghanistan: " non so se esistesse allora non so se esiste ora..."  e va avanti negandone la presenza. Ma Karzai non ha detto nulla che non si sappia, che non sia stato detto sin dall'inizio da molti,  compresi agenti segreti di varie nazioni, e molti francesi, persino ufficialmente uscì la notizia sul quotidiano turco  "Zaman" nel 2004, del resto è cosa risaputa che quell'occidente che va dalla Gran Bretagna ad oltre oceano ha costume di creare occasioni per le sue guerre imperialiste, da sempre. 
Detto questo altro non va aggiunto, del resto non c'è cosa che si possa dire ad un uomo, un governo, uno Stato che, dopo quattordici anni di guerra, migliaia e migliaia di morti civili  per "fuoco amico", altissimo inquinamento da armamenti all'uranio arricchito causa di altrettante morti e deformazioni, sfruttamento del sottosuolo, diffusione di eroina lì dove l'oppio era natura, stupri anche sotto minaccia armata, blasfemìe d'ogni tipo, sfruttamento di prostituzione anche minorile, al maschile e al femminile, dimentico di tutto ciò ed altro, dimentico d'aver bombardato, solo quindici giorni fa e a ragion veduta, l'ospedale di Kunduz*, mentre il mondo, compresi organismi quali l'IHFFC, creato dalle Convenzioni di Ginevra per indagare sui crimini di guerra, l'Onu, o  Médecins Sans Frontières, quindi la Francia, diretti interessati, e ancora e ancora, chiedono indagini relative, continua a sostenere la tesi del "danno collaterale", a sostenere che le forze Nato stanno combattendo i Taliban figli di al-Qa'ida per aiutare il popolo afghano e salvaguardare il proprio paese, Usa, e bla bla bla, puntando sulla paura del popolo americano. Popolo americano per cui non possiamo non provare compassione, tenuto com'è all'oscuro, sotto menzogna, nell'ignoranza, nell'incoscienza e nella povertà, perché questo è dietro le sfavillanti luci del palcoscenico di quel sogno in cui tutti abbiamo creduto, questa la disperazione che spinge giovani e meno giovani di quel paese agli innumerevoli omicidi, di cui lo stesso paese detiene il record mondiale. Non c'è cosa che si possa dire a chi manda a morire i propri figli per una menzogna. Non c'è nulla che si possa dire se non attendere, come il bonzo sul fiume, che per eccesso di ebollizione, di grossolana quantità di contenuto in pentola, oltre al coperchio salti anche la pentola. 
Non c'è altro che si possa dire. Forse.    

tp://occiriente.blogspot.it/2015/10/afghanistan-kunduz-3-ottobre-2015.html,


domenica 4 ottobre 2015

Afghanistan: Kunduz 3 ottobre 2015

Kunduz-ospedale MSF
... ci si aspetta, anzi si spera, che una mattinata di sole ottobrino prolunghi il suo piacere per tutto i giorno fino a rischiarare  la sera, riscaldarla, invece no, così, al ritorno da una piacevole quanto insolita passeggiata rubata alla quotidianità: la notizia, la notizia che non avevamo appreso alle prime ore dell'alba, come quasi sempre, per aver deciso di spegnere tutti i canali d'informazione, i nostri, pubblici e privati che fossero, per aver deciso un distacco, breve distacco, dalle vicende internazionali che, più o meno tutti stiamo vivendo in questi giorni, invece no. E allora la voce: Bombardato l'ospedale di Medici Senza Frontiere a Kunduz, Afghanistan,  ci ha colto distratti, impreparati. Ed eccoci qui a condividere pensieri, immagini, tristezza, rabbia, sì, anche rabbia. Legittima. Sacrosanta. Ancor più forte quando si è vissuto laggiù, e si conosce gente e luoghi e fatti e storie, quando ci sono chiari i retroscena di questa guerra e le bombe te le senti addosso, e senti il terrore di uomini donne bambini per di più infermi, impossibilitati a fuggire, ripararsi, rifugiarsi, salvarsi, o illudersi di poterlo fare. E' allora che vedi i feriti anche a migliaia di kilometri e non c'è distanza che tenga né tempo, è allora che senti la tua impossibilità d'azione... e questo male, più male di qualsiasi altra cosa. Forse. E poi la beffa. Anche la beffa fa male, molto,  e le contrastanti versioni offendono l'intelligenza e la memoria delle vittime, è per questo che ora le scorreremo queste versioni, si' che parlino da sé. 
Prima versione sull'azione comunicata dal portavoce delle forze armate Usa, colonnello Brian Tribus, che parla di operazione militare: le forze Usa hanno condotto un raid aereo sulla città di Kunduz alle ore 2,15 locali, contro individui che minacciavano le forze. e ancora l'operazione potrebbe aver causato danni collaterali ad una struttura medica della città, e ancora: indaghiamo sull'incidente.
Seconda versione data dal governo di Kabul: a Kunduz ospedale di Medici Senza Frontiere bombardato perché vi si nascondevano 10 o 15 taliban.
Prima versione sulle vittime, sempre governo di Kabul: 3 morti tra gli operatori e 20  o 30 feriti tra non si da chi,  i 15 taliban morti.
Versione reale dichiarata da MSF: 9 morti tra gli operatori, 37 feriti tra cui 19 membri di MSF. Di molti dei 105 pazienti tra cui 46 bambini e molti membri dello staff non si ha notizia, ma i numeri di decessi e feriti degli uni e degli altri è destinato a crescere, e ancora: tutte le parti in conflitto, comprese Kabul e Washington erano perfettamente informate della posizione della struttura.
Non solo è così, non solo mentre scriviamo i decessi si sono fatti 19 e forse più, ma sia Kabul che Washington da sempre, e ancor più dai combattimenti dello scorso 29 settembre che hanno visto coinvolti taliban e forze Usa, venivano continuamente tenuti aggiornati su tutta la situazione, proprio per salvaguardare l'ospedale. Anche la scorsa notte c'è stata un'immediata comunicazione da parte di Medici Senza Frontiere sull'azione militare in corso,  allertati sia Kabul che Washington, risultato: il bombardamento si è protratto per oltre 30 minuti dall'informazione. E 30 minuti di bombe sono un'eternità, un'eternità distruttiva dell'unico ospedale traumatologico salvavita di tutta la regione, presente nel paese dal 1980. Ospedale che solo quattro giorni fa aveva accolto oltre 400 feriti, accolti senza distinzione di etnie, gruppi o altro. Ma taliban non c'erano la scorsa notte, non c'erano e anche se ci fossero stati... era un ospedale, quello.
E sono vere le parole di Zabihullah Mujahid, portavoce dei taliban che ha dichiarato: al momento dell'attacco, in ospedale non c'era nessuno dei nostri combattenti, e ancora, riferito all'azione: mostra agli afghani e al mondo la natura spietata ed ipocrita degli invasori e dei loro mercenari. Non c'è dubbio completiamo noi.
La viltà di quest'azione ci ha portato a riflettere anche su quel che ieri, 2 ottobre, è accaduto nei pressi di Jalalabad, l'antica dimora estiva dei regnanti afghani, la città da noi spesso citata in libri e articoli, quella che un tempo era la porta sull'India, lì, un C-130 Usa,  è stato abbattuto dai taliban. Anche qui diverse versioni, eh, sì, perché mentre per Zabihullah Mujahid vi erano stati 15 morti tra soldati Usa e "schiavi" afghani, Brian Tribus: .non c'è prova che il fuoco nemico sia la causa dell'abbattimento aereo", aveva dichiarato al Guardian, mettendo in dubbio la matrice e parlando di 11 morti nell'incidente. Banale strategia per non attribuire al nemico la benché minima vittoria, non intaccare la propria "potenza" . 
Ora le scuse degli Stati Uniti presentate al presidente Ashraf Ghani noi le respingiamo e con esse respingiamo lo stesso presidente Ghani che ha completamente consegnato il paese alle forze Nato e agli Usa. E non ha valore alcuna ufficiale condanna che venga da occidente, e quella di Ban.Ki moon non ha alcun valore, e non ne ha neppure la richiesta d'inchiesta " imparziale"  da parte dell'Onu: in 14 anni di guerra e ingiustizia e stragi in quella terra non si è mai verificata una inchiesta che riguardasse le forze d'invasione e fosse imparziale.
L'abbiamo detto in altre pagine, ma non è abbastanza: il piano su cui è slittata l'umanità di questo tempo non può non chiamarsi subumano. E' un evento di estrema gravità nella storia degli uomini, ne va presa coscienza. Che ci piaccia o non ci piaccia, non c'è altro modo per uscire dal tunnel a meno che non si voglia lo sfacelo della Civiltà.
Marika Guerrini
foto web