venerdì 25 dicembre 2020

Naadir e la luce dell'immortalità - fiaba


Lorenzo di Credi-
Adorazione dei pastori- 1510

... più voci in questi giorni hanno chiesto una mia pagina su quest'insolito Natale. Una pagina di critica, di denuncia, ma non la traccerò, farò solo un cenno, una sottolineatura ad un unico elemento della contingenza, elemento che troneggia nella piazza romana di San Pietro, un'installazione oscillante tra dissacrazione e blasfemia, a cui hanno dato nome di Presepe. Ed è stata proprio la vista di quell'opera, ben lungi da potersi dire d'arte, a suscitare in me il desiderio di dare in visione la fiaba che ora narrerò. Fiaba a cavallo tra tenebra e luce ispiratami, tempo fa, da frammenti di antiche storie e leggende nate in grembo ad una terra madre d'Afghanistan, Iran ed India del nord. "Naadir e la luce dell'immortalità" questo il nome della fiaba  che narrerò nella speranza di poter far sorgere, in chi la leggerà, un barlume di quella sacralità, senza limiti o confini di sorta, che si pone oltre ogni credo, perché sorge dalle profondità dell'animo umano. Sacralità che urge.  
La fiaba, data la lunghezza, è stata divisa in tre parti.  Ascoltate.

                                      PRIMA PARTE

" Tutto ebbe origine in un'epoca ormai lontana, in riva ad un fiume che scorreva nei pressi di un villaggio non molto distante dalle pendici dell'Hindu Kush, le cui cime sono propaggine delle vette più alte del mondo. Lì, un giorno, Azhar il lavandaio, come veniva chiamato per via del suo mestiere, notò galleggiare una cesta di vimini. Incuriosito l'uomo raggiunse a bracciate la cesta, la trascinò a riva e, quale non fu la sua meraviglia nel vedere che la cesta accoglieva, sotto un manto di broccato, il sonno di uno splendido bambino di certo nato da pochi giorni.
Fin qui nulla di nuovo, ce ne sono tante di storie che iniziano così, a cominciare da Mosa, per noi Mosè, e tutte narrano di un tesoro che accompagna il bimbo, proprio come in questa storia, a differenza che, nella cesta di questa storia oltre ad un numero alto ed imprecisato di purissimi smeraldi, rubini e una manciata di monete d'oro, vi fosse anche una tavoletta di argilla recante l'iscrizione: - Questo bambino si chiama Jaafar. Chiunque lo trovi ne abbia cura ed avrà in premio la felicità" così diceva.
Quando Azhar, che a mala pena sapeva leggere, riuscì a decifrare l'iscrizione, si pose mille domande. Certo tutte quelle monete e quelle pietre preziose avrebbero potuto cambiare la sua vita e quella di sua moglie, ma Azhar non era ambizioso e desiderava un figlio da così lungo tempo che più che dal tesoro fu preso dalla felicità di divenire padre. Quest'avvenimento fu per lui un dono giunto dal cielo. Così, presa la cesta con il bambino si avviò verso casa, lì raccontò a sua moglie l'accaduto e, di comune accordo, decisero di tenere il bambino, avrebbero cresciuto il piccolo Jaafar come fosse loro figlio.
Il tempo trascorse, Jaafar a cui, in età di comprensione, era stata raccontata la verità sul suo ritrovamento, amato e rispettato crebbe in bontà e saggezza, finché un giorno espresse il desiderio di conoscere le proprie origini. Certo i suoi genitori, ché tali si sentivano Azhar e sua moglie, non furono risparmiati dal dispiacere, ma lo amavano così tanto che nascosero le lacrime e, con la loro benedizione, lo videro partire. 
In quel periodo il Paese era entrato in guerra con un regno confinante, il regno dei Rumi, Jaafar raggiunse l'esercito e si arruolò. Con sé, di tutte le ricchezze che aveva e che Azhar e sua moglie avevano per lui custodito, non portò nulla, solo la tavoletta con l'iscrizione e un medaglione di oro e smalto che portava incisi dei segni indecifrabili e che mise al collo. 
Destino volle che, cosa mai prima accaduta, Sua Maestà la Regina, volesse rendersi conto di persona circa l'andamento della guerra. E, destino volle che si recasse proprio lì, al fronte, lì dove era Jaafar. E sempre destino volle che, ispezionando le truppe, scorgesse il medaglione al collo di quel giovane soldato. La felicità della Regina fu immensa nel riconoscere in quel giovane soldato il proprio figlio. Lì per lì non disse nulla, lo fece chiamare in disparte e, se qualche dubbio avesse mai attraversati il proprio cuore, si sarebbe dissolto al racconto del giovane.
Da quel momento in poi la vita di Jaafar si trasformò. Tutto fu reso noto e Jaafar fu proclamato re in successione a suo padre ormai vecchio ed infermo, mentre Azhar e sua moglie furono chiamati a corte e lì, accanto a colui che avevano amato come figlio, trascorsero sereni gli ultimi anni della loro vita. 
Jaafar fu sin dall'inizio un re saggio, coraggioso e molto amato che riuscì a conquistare anche il nemico popolo dei Rumi. Le due dinastie infatti si legarono in un patto di pace con lo sposalizio di Jaafar e la figlia del Re dei Rumi, la principessa Leyla.
Dall'unione di Jaafar e  Leyla, nacque un figlio a cui fu dato nome Naadir.
Qui ha inizio la nostra storia.
Il giovane principe Naadir crebbe negli agi di corte dedicandosi agli studi e agli svaghi, come soleva al tempo. Amava più d'ogni altra cosa la caccia e fu proprio durante una battuta che Naadir si smarrì in un bosco. Vagò e vagò finché giunse ad una misera capanna in cui viveva un acquaiolo. Era costui un uomo molto povero, ma con un grande cuore, così, alla vista del giovane, notato il suo disagio: -Mio signore, ti vedo stanco e provato, io non ho altro da offrirti che acqua di fonte, ma entra e riposati, che tu sia il benvenuto nella mia umile dimora- e, così dicendo s'era fatto da parte per dare passaggio allo straniero.
Al tempo infatti re, principi e imperatori erano sconosciuti alla maggior parte dei sudditi e l'acquaiolo non aveva riconosciuto il principe Naadir di cui conosceva solo il nome, tanto meno avrebbe potuto immaginare che un giovane d'alto lignaggio, si celasse dietro abiti strappati e infangati che assomigliavano ad una strana divisa, per lui era solo uno straniero bisognoso di riposo.
All'invito, Naadir, senza svelare la propria identità: -Ho una gran sete, rispose, una ciotola d'acqua mi sarà gradita.-
L'acqua era così fresca e pura che Naadir volle sapere da dove provenisse: -Da una fonte nel bosco, disse l'acquaiolo e continuò, se vuoi ti ci accompagno-, ma Naadir aveva fretta di riprendere il cammino, così il suo ospite lo accompagnò per qualche passo fuori dall'uscio poi: - Che il Signore del cielo e della terra sia con te straniero e ti accompagni nel tuo cammino- così dicendo rientrò nella capanna.
Non era molto da che Naadir aveva ripreso la via quando, mentre le ombre della sera cominciavano a scendere, sfortuna, o fortuna, volle che il giovane principe si perdesse di nuovo nel fitto bosco. Dopo alcune ore di cammino in un buio che pareva impenetrabile, Naadir scorse una grande casa dall'aspetto confortevole, bussò. Una voce sgarbata dall'interno rispose: - Chi è, io non apro a nessuno!- 
-Sono un viandante, ho perso la strada di casa e ti chiedo per pietà un pezzo di pane per sfamarmi-. La porta si socchiuse e un vecchio dalla barba ispida ed incolta fece capolino dicendo:- Io non regalo niente ai vagabondi, se dessi un pezzo di pane a tutti quelli che bussano alla mia porta, finirei in miseria, vattene!-
- Signore, replicò Naadir, da quel che vedo della tua casa, tu hai grandi ricchezze, perché ti rifiuti di aiutare un pover'uomo?
-Le mie ricchezze non le divido con nessuno, vattene!-
Ma Naadir che di certo non era uno sciocco, decise di saperne di più:- E come le hai accumulate?, chiese
-Coloro che non hanno saputo tenere da conto i loro beni ed hanno bisogno di danaro, ricorrono a me ed io mi faccio pagare per questo ed ora vattene!- così rispose il vecchio e, sghignazzando, richiuse sbattendo la porta.
Il giovane principe riprese il cammino, vagò e vagò per ore prima di giungere, stanchissimo, a ritrovare la via del ritorno che lo condusse alla reggia. Ma prima di pensare al riposo chiamò le guardie ed ordinò loro: - Andate a casa dell'usuraio che vive in una radura nel bosco, spogliatelo di tutte le sue ricchezze e portatele all'acquaiolo. Voglio punire la grettezza del primo e premiare la generosità del secondo!-
Il popolo, venuto a conoscenza dell'avventura occorsa al giovane principe, lodò a lungo la sua saggezza ed il suo senso di giustizia, così, quando giunse il tempo della successione di Naadir al trono di Jaafar che, ormai vecchio e malato si era spento, il popolo volle acclamare il giovane principe Imperatore, e sì, perché nel frattempo il Regno era diventato Impero. 
Giunse così il giorno dell'incoronazione. Il tripudio del popolo era generale, v'era però un uomo, tra la folla acclamante, un uomo che si dannava logorato dalla rabbia e dall'invidia. Era costui un potente mago che, fattosi avanti tra la folla, con voce possente, rivoltosi ad Naadir: - Come potrai, Principe, disse, dimostrare al tuo popolo d'essere degno, per coraggio e saggezza, il Signore assoluto dell'Impero?- e Naadir: - Se volete delle prove io sono pronto!- rispose. 
Il mago allora chiamò a raccolta il popolo, sicuro di esercitare paura su di esso, ben sapendo quanto temesse la sua magia che poteva colpire chiunque in qualunque luogo, quindi ordinò di scavare una profonda fossa e farvi entrare due leoni di montagna affamati, poi con passo sicuro si avvicinò al principe e con un gesto fulmineo, gli tolse la corona dal capo gettandola nella fossa, dopo di che: - Principe, riprenditi la corona- disse con scherno.
- La prova di coraggio la darò scendendo nella fossa, quella di saggezza la darò subito dopo!- rispose Naadir e scese nella fossa mentre la folla tratteneva il fiato e pregava per l'incolumità del futuro Imperatore, senza però trovare il coraggio di ribellarsi. Giunto che fu Naadir a pochi passi dai leoni, alzò il capo: - Gettate nella fossa quel traditore!- disse indicando il mago poi si chinò a raccogliere la corona mentre i leoni erano lì immobili e grida acclamanti del suo popolo vibravano nell'aria giungendo sin sulle cime delle vette innevate. 

                                                           ***
                                                                                                         
                                                 SECONDA PARTE       


Negli anni a seguire, sotto la guida di Naadir, l'Impero raggiunse splendori inimmaginabili. S'ingrandì verso Oriente giungendo sino ai confini d'Occidente. In ogni dove vi fu cultura e benessere. Furono invitati i più grandi studiosi e sapienti del mondo e fu proprio a loro che un giorno l'Imperatore indirizzò un quesito: - Quando un monarca ha raggiunto il massimo della potenza, quando ha realizzato il possibile e l'impossibile per assicurare la felicità ai propri sudditi, quale altra meta gli resta da raggiungere?- 
Si alzò un giovane sapiente: - La pace dello spirito- disse.
 - C'è qualcosa di ben più grande- ribatté un vecchio mago egiziano- 
- Cosa- ribadì Naadir. 
- L'immortalità- rispose il mago. 
Il monarca scosse il capo: - l'immortalità è impossibile da raggiungere-.
-Niente è impossibile, mio Signore, per chi abbia volontà sufficiente- disse il mago.
-E allora dimmi mago, dove potrei trovare l'immortalità?- chiese Naadir.
E il mago: - Sulle coste di un mare interno, a nord dell'Impero, si trova il paese delle tenebre. Lì c'è la fonte della vita, chi beve l'acqua di quella fonte diventa immortale. Per raggiungerla occorrono immenso coraggio e immensa astuzia.-
-Io sono coraggioso, tu sei astuto, mago, quindi verrai con me nel paese delle tenebre-.
i due partirono all'alba del giorno seguente, con un piccolo numero di armati. Viaggiarono per giorni e giorni finché giunsero in una vasta pianura che confinava con un deserto salato. In lontananza, verso nord, si intravedevano i picchi dell'Hindu Kush, un po' oltre, si intuiva più che vedersi, la vetta del Devachan avvolta dalle nubi.
Erano ai confini dell'Impero e il mago: - Tra quattro giorni giungeremo sulle rive di un mare freddo, lì vive un popolo che parla una lingua magica, da quella gente, se agiremo con saggezza, avremo le indicazioni utili a raggiungere il nostro scopo, ma guai a rivelare il vero scopo del viaggio, guai a dire che vogliamo giungere alla fonte dell'immortalità, verremmo sterminati!-
-Seguirò tutti i tuoi consigli, mago- rispose Naadir.
A quel punto il mago indicò un grande masso che si trovava poco distante e disse all'imperatore di percuoterlo con la spada. Naadir obbedì e, dopo qualche attimo: - Spada di Re, che vuoi da me?- il masso chiese.
Sorpreso Naadir interrogò con lo sguardo il mago che così sussurrò: - Chiedigli la via per raggiungere il mare delle tenebre- Naadir chiese e il masso: - Dirigiti verso la luce della stella rossa, cammina in quella direzione finché non scomparirà. Poi volgi le spalle al sorgere del sole e prosegui. A notte, quando apparirà la luna, ti troverai in riva al mare delle tenebre, in un paese chiamato Tankbrah. Lì vivono gli uomini dagli occhi di smeraldo, ma attento Re, non chiedere loro di rivelarti il desiderio che vuoi realizzare, fa che siano loro a svelartelo, spontaneamente. Ora chiama la tua scorta e mettetevi in cammino, la stella rossa sta per sorgere!-
Nel cielo limpido e luminoso tipico delle notti d'oriente e dei suoi deserti, una splendida stella scarlatta s'alzava, Naadir ed il suo seguito si misero in cammino . Camminarono a lungo seguendo i consigli del masso, finché il mago: - Maestà, stiamo per giungere a Tankbrah, raccomanda ai tuoi uomini di restare in assoluto silenzio, di non parlare per alcun motivo.-
Malgrado il suo coraggio il giovane Imperatore si sentiva invaso da una strana sensazione, non sapeva darle nome, ma si fece forza e ancora una volta obbedì. Da quel momento in poi avrebbero potuto esprimersi solo a gesti.
Quando la luna fu alta nel cielo si udì un cupo suono, proveniva dal frangersi del mare sulla scogliera. Non si vedeva nulla, persino il chiarore della luna non illuminava quella strana terra, il chiarore restava sospeso a mezz'aria, misteriosamente. Erano giunti.
Non scorgendo alcunché Naadir si stava chiedendo come avrebbero potuto proseguire, quando migliaia di piccole luci simili a lucciole che volano sui campi nelle notti d'estate, apparvero in lontananza danzando nell'ombra mentre lentamente si avvicinavano.
- Stanno arrivando gli uomini dagli occhi di smeraldo, si vedono le loro pupille- sussurrò il mago.
Naadir seguiva la scena in silenzio quando un leggero chiarore si diffuse tutt'intorno, gli uomini dagli occhi di smeraldo si stavano avvicinando, era vero. Pian piano Nadir ed il suo seguito presero a distinguere vaghi contorni di figure umane alte e selle, dal colorito nero come la notte, così come i loro abiti.
- Che strano paese è mai questo in cui la notte avvolge uomini e cose!- esclamò Naadir.
In risposta alle sue parole si alzò una voce profonda: - Straniero, per quale motivo ti sei spinto fino a noi?- 
- Cerco l'oblio- rispose Naadir.
- Bene, qui lo troverai. Seguici!- 
Presero ad avanzare sulla costa, a lungo, mentre il mare faceva udire il suo frangersi sugli scogli. poi dopo molto cammino giunsero in un luogo in cui si intuiva, più che vedere, l'esistenza di case e palazzi, mentre Naadir, oppresso dall'oscurità, aguzzava la vista vivendo un forte disagio per via di quelle verdi lucenti pupille che si muovevano intorno a lui ed al suo seguito.
 Poi il giovane Imperatore cominciò a chiedersi se non avesse osato troppo, perché non si fosse accontentato degli onori e delle ricchezze che possedeva. Ed ancor più perché avesse desiderato l'immortalità. Ma nulla fece trapelare, restò indifferente per dignità e regalità. Poi pensò che voleva saperne di più e rivoltosi a colui che gli camminava accanto: - E' una grande fortuna vivere in un luogo dove non si possono vedere le brutture del mondo!- disse.
- Le cose belle bisogna saperle scorgere- fu la risposta.
- Giusto, ma bisognerebbe avere occhi meravigliosi come i vostri, capaci di attraversare le tenebre, vincerle.-
- E' questo che desideri, straniero?-
-Sì, è questo che desidero.-
-E sia!- ribatté la voce.
 In quello stesso istante, come se mille soli si fossero accesi contemporaneamente, agli occhi di Naadir si mostrò un paesaggio straordinario: immensi palazzi, case, strade, giardini fioriti d'ogni fiore d'ogni stagione, immense bellezze ma, tutto incredibilmente nero! irrimediabilmente nero. Nero d'ogni sfumatura, d'ogni genere: cupo, brillante, opaco, ma sempre e comunque nero!
A tale vista Naadir cadde in ginocchio esclamando: -Sia lode a Dio per questo dono meraviglioso! I miei occhi possono vedere quel che mai creatura umana abbia mai visto-, poi si voltò verso la figura che lo accompagnava, che sorridendo ora lo guardava. il suo aspetto era solenne, maestoso. - Sono Yazdegard, e tu, uomo della luce, chi sei?- 
- Sono qualcuno che vuol dimenticare ciò che è stato fino a questo momento- rispose Naadir. 
- Bene, che tu sia il benvenuto nel mio regno- rispose Yazdegard.
E fu così che il sovrano delle tenebre accolse un altro re senza sapere chi fosse.
Naadir non lo sapeva, ma lentamente il "meraviglioso" buio che gli stava intorno, stava entrando in lui.
                                  
                                                              ***

                                                      TERZA PARTE

Notti seguirono e precedettero notti, senza interruzione e, mentre Yazdegard faceva da guida a Naadir alla scoperta di quel suo Regno meraviglioso e terrifico, il mago egiziano e gli uomini del seguito erano fermi nel luogo in cui erano giunti al momento del benvenuto, lì, immersi nelle tenebre, dormivano.
In una di quelle eterni notti Yazdegard e Naadir, giunsero in un luogo in cui il silenzio era così assoluto da permettere di udire il flebile suono del respiro. Naadir a quest'ulteriore manifestazione di quel mondo chiese come mai il silenzio fosse così assoluto: - Qui si devono udire solo i pensieri- fu la risposta di Yazdegard e continuò: - Vedi laggiù quella sorgente d'acqua nera che sgorga senza il minimo fruscio?... è la fonte della vita.-
A quelle parole Naadir a stento riuscì a soffocare un grido di trionfo, poi soffocò anche il pensiero di esso, altrimenti si sarebbe svelato e, si sarebbe perduto, pur non sapendo fino a che punto. Così, con voce indifferente e senza pensieri, chiese: - La fonte della vita? Cos'è?-
- Devi sapere che chi beve la sua acqua diventa immortale- spiegò Yazdegard.
- Io penso che vivere eternamente sia un ben triste destino- finse, o credette di fingere, Naadir e continuò: - Chi mai potrebbe desiderare una cosa simile, a me interessa solo l'oblio!-
- Ti sbagli, chi beve a quella fonte è padrone di tutto, anche dell'oblio- replicò Yazdegard.
  Naadir rimase impassibile ed anche i suoi pensieri continuarono a tacere nella mente, lui non pensava più, credeva di volere questa cosa, ma non era così, se pur l'intelligenza non l'avesse abbandonato. Da questa indifferenza Yazdegard fu molto colpito, tanto che, cosa insolita per lui. - Bevi, disse, prova a bere, non ti interessa scoprire cosa significhi essere immortali, poter ottenere tutto quel che è sottile, nascosto agli uomini, anche l'oblio? Non è forse per questo che sei venuto fin qui?-
- Sì, è per questo, per l'oblio- poi unendo le mani a mo' di coppa si chinò e bevve l'acqua della fonte. L'acqua era gelida avrebbe dovuto rinfrescare, eppure attraversava la gola scendendo come fosse fuoco. Bevve ancora e ancora poi si rialzò e, inchinatosi al Signore delle tenebre: - Ti ringrazio per ciò che mi hai concesso, se riuscirò ad ottenere l'oblio te ne sarò eternamente grato- così si espresse.
-Ora sei immortale come me, straniero, sappi farne uso - disse Yazdegard.
Nell'impressionante silenzio del luogo si incamminarono verso la capitale del Regno. I loro passi risuonavano cupi, ma Naadir non udiva che se stesso.
Trascorsero notti e notti da quel momento, un lungo tempo in cui Naadir dimenticò ogni pensiero, ogni affanno, ogni responsabilità. Si trovava bene lì, ne era convinto, stava bene in quel paese in cui tutto scorreva, tutto si faceva da sé. Dimenticò tutto anche i suoi uomini, la loro fedeltà, il loro amore e fu per caso, o forse per destino che in una di quelle notti fatte di buia tenebra, si trovò a passare loro accanto. Fu allora che li vide. Li vide dormire tutti, anche il mago e fu allora che come un barlume, un leggero ricordo, un'ombra sottile, s'affacciò in lui . Naadir seguì il barlume, si avvicinò loro, provò a svegliarli, provò e riprovò, finche non vi riuscì. E fu allora, al racconto che seguì il risveglio, allora Naadir, riprese se pur vago, il ricordo della propria vita, allora decise di partire benché tutto gli apparisse come sogno. 
Raccomandati i suoi uomini alle cure del mago, Naadir si recò da Yazdegard, comunicò la decisione poi con lui, tornato dai suoi uomini, s'incamminò. Yazdegard  li accompagnò ai confini del mondo delle tenebre, lì dove inizia a fondersi con quello della luce. Luogo in cui non era mai né notte né giorno, né crepuscolo né aurora. Un mondo di mezzo. 
- Addio straniero e che l'immortale sorte ti sia propizia- lo salutò Yazdegard scomparendo.

Quando furono soli e man mano che la luce si faceva sempre più chiara, tutto il seguito esplose in grida di gioia, tutti  si fecero intorno al loro sovrano urlando: ce l'hai fatta grande Naadir! Ma Naadir non riusciva a gioire, guardava i suoi uomini, essi sembravano non vedere, camminavano, gioivano come fossero automi, come fossero bambini ciechi che mai hanno visto il mondo e camminano per inerzia: i suoi uomini non vedevano! 
Prese a cavalcare innanzi a loro come se loro non ci fossero, come fosse solo. Li sentiva avanzare sì, ma a tentoni e la cosa più terribile era che essi non sapessero d'esser ciechi. Lui invece sapeva, ora sapeva, con i suoi occhi di smeraldo vedeva cose che altri uomini non vedevano, che nessun uomo era mai riuscito a vedere: attraverso le pietre e l'acqua, attraverso la sabbia e poi lontano, oltre il deserto e i monti, oltre il cuore di tutte le cose, giù, giù, fino al cuore del mondo. Senza più veli, senza mistero... senza pietà. Una sensazione meravigliosa e terribile.
Preso da questa condizione si voltò, vide i suoi uomini, in loro vide ciò che non avrebbe mai voluto vedere: il loro sacrificio per la sua immortalità.
Disperato Naadir tornò indietro, non sapeva cosa fare, come aiutarli, non poteva far nulla, solo vedere, vedere, vedere. Li guidò e guidò lungo la via del ritorno a casa. Loro cadevano e lui li rialzava. Loro piangevano e lui li consolava. Giunse così, con loro in quello stato, al masso, lo stesso masso dell'inizio, il masso che aveva percosso con la spada. Lo fece di nuovo, lo percosse e percosse finché il masso: -Spada di Re che vuoi da me?- chiese. - Voglio che i miei uomini riacquistino la vista- disse. 
-Questo non è possibile, ora tu sei immortale, non è questo che volevi?- disse il masso e continuò:- Non c'è più nulla che tu possa ottenere più di quello che hai già ottenuto.-
Naadir non seppe cosa rispondere, poi con il cuore gonfio di dolore e tristezza: - Non posso accettare una simile cosa, dimmi cosa posso fare ed io lo farò-
- Anche se si tratta di rinunciare all'immortalità-
Naadir di nuovo non sapeva cosa rispondere, ancora dolore, ancora un'infinita tristezza e una domanda a se stesso: come fare a rinunciare ad un dono che lo rendeva simile agli dei, per cui aveva tanto rischiato, sperato, vissuto, poi il cuore parlò in lui e diede la risposta: - Sì, anche se si tratta di rinunciare all'immortalità-
Fu un istante, la figura di Naadir fu avvolta da una luce violentissima, tanto violenta da far male, nuovamente udì un infinito silenzio, il proprio respiro, poi lo sguardo volse alle cose del mondo, giù, giù, fino alla profondità. Le vide, tutte, vide tutte le cose del mondo in un solo sguardo. Esse si mostrarono ancora una volta ai suoi occhi di smeraldo, poi, di colpo tutto cessò. Gli occhi ripresero il colore di un tempo. Il cuore riprese a pulsare come un tempo.
In quello stesso istante dai suoi uomini si levarono grida di giubilo, s'erano accorti della loro cecità durata un tempo sin troppo lungo, ma ora vedevano, ora vedevano.
Al tripudio di quelle voci qualcosa accadde nel cuore di Naadir e una voce  da esso si levò sopra ogni altra: - Sei rinato grande Naadir, alla tua stessa vita e a quelle che verranno. Le genti future parleranno di te. La sacralità del tuo sacrificio per amore sarà da loro riconosciuto,  saranno loro a darti la vera immortalità- 
Naadir sentì, come giunto dalle nuvole, il calore di un'immensa luce illuminargli il cuore, come d'un astro inviato da potenze celesti quale divino manifestarsi di spazi cosmici,  manifestarsi a portare  luce, a portare pace rassicurante l'anima umana che fosse colma di buona volontà".  
Sulla luce-pace di Naadir chiude la fiaba di quest'insolito Natale.  

Marika Guerrini


lunedì 2 novembre 2020

IL MAL FRANCESE

Nizza Basilique de Notre-Dame
...il dubbio sull'opportunità di trattare un argomento mille volte trattato, aveva rallentato la mano in atto di segnare parole circa la forzata, nonché miserevole connivenza Francia-Islam. Questa volta si sarebbe argomentato su alcuni recenti episodi più o meno gravi occorsi in Francia e altrove,  quello luttuoso
 di Nizza di qualche giorno fa (strage nella chiesa di Notre-Dame), a cui aveva fatto seguito quello di Avignone (un uomo armato di coltello aveva cercato di attaccare degli agenti di polizia), e quello arabo saudita di Gedda (una guardia del Consolato francese accoltellata), tutti in coda all'episodio di Parigi che aveva visto Samuel Paty, docente di scuola media, decapitato per mano di un diciottenne ceceno di religione islamica. A scatenare l'ira assassina del giovane ceceno, una lezione di Samuel Paty in cui il docente aveva illustrato ai suoi allievi,  poco più che bambini, il concetto di liberté e chissà forse anche egalité e fraternité, mostrando loro le ben conosciute vignette satiriche su Maometto, vignette nate in Danimarca poi pubblicate, con esito più che tragico, dal giornale Charlie Hebdo nel gennaio 2015 e di recente dallo stesso giornale ripubblicate. Il fine dell'insegnamento di Paty era senza dubbio sottolineare l'importanza della libertà di stampa e d'espressione in genere. Ineccepibile fine se non fosse che il docente sottolineando l'idea di libertà, non solo stava calpestando l'altrui, ma anche ridicolizzando ciò che per tutto un intero mondo è un credo religioso, comportamento quindi non solo contraddittorio in sé, ma irriverente e blasfemo. In sintesi un insegnamento ad inneggiare e proteggere la propria libertà, calpestando l'altrui, insegnamento privo d'ogni rispetto per l'essere umano. Per cui, pur rispettando la tragica fine di Samuel Paty e provandone compassione, non si può tacere sul fatto che Samuel Paty, purtroppo non è il solo, circa l'etica dell'in-signare aveva capito ben poco o forse nulla, mentre l'azione di questo nulla non era di certo educativa o formativa al fine di comunicare il vero concetto di liberté, caposaldo, non unico, di quella che, privata di altri valori altrettanto importanti, si ritiene essere la Democrazia. Quest'agognata forma di governo che, a millenni di distanza, fa ancora rivoltare Platone nella tomba ormai disfatta.
Sostavo quindi nella noia del dubbio, propendendo più per il silenzio che per la trattazione degli argomenti, quando il telefono ha squillato e il display ha segnalato il nome Peshawar. Per chi non sapesse, la città pakistana di Peshawar, culla di importanti siti archeologici d'Arte Gandharica, e qui ci sarebbe molto da dire se si fosse in altro contesto, è posta a pochi kilometri dal confine afghano. Ma tralasciamo la bellezza e torniamo alla telefonata di quattro giorni fa. 
Alla  mia risposta, una voce amica, dopo un brevissimo saluto, mi comunicava l'avvenuto attentato esplosivo alla madrassa della città, la scuola coranica che ospita allievi di età compresa tra l'infanzia e la giovinezza. La voce diceva che al momento dell'esplosione era in corso una lezione sul Corano e che gli studenti presenti erano un centinaio. Diceva anche che le vittime al momento accertate erano otto tra i 20 e i 30 anni, e i feriti una ottantina tra cui molti in gravi condizioni, anche bambini. Diceva che al momento, l'attentato non era stato rivendicato, che si vociferava fossero stati i Taliban, diceva che questo era impossibile dato il momento sul Sacro Corano della lezione in atto. Ascoltavo senza proferire parola e la voce andava sulla descrizione ed io, era come fossi lì. Poi, dopo la descrizione, un breve scambio di notizie su alcuni studi archeologici di comune interesse ed i saluti
A quel punto il già dubbioso scrivere sugli accadimenti occidentali, benché Gedda sia in Arabia Saudita ma è solo questione geografica, si è del tutto annullato. Parigi, Nizza, Avignone, Gedda e chi prima nel tempo e nello spazio, ma comunque in questa parte dell'emisfero in quanto ad interessi, tutto ha riconfermato il mio già dichiarato pensiero del 2015: Je ne suis pas Charlie! Jamais!
Poi ho lasciato il tavolo. Sono scesa in strada. Ho camminato nel verde. 
Ad ogni passo quel che più bruciava era l'impotenza, sentirmi responsabile, per via di nascita, ed impotente dinanzi alla diffusa, nauseabonda ipocrisia che vige tra la mia gente, mia anche per quel che riguarda la Francia, avendone origine di famiglia. Ipocrisia oggi ancor più di ieri e forse, ahimè, meno di domani, parafrasando un'espressione cinematografica a respirare un attimo d'illusorietà d'un mondo che fu di celluloide. Ebbene, con quanta e quale nonchalance, questi francesi in capo e tutti noi in coda con le parole dell'avvocato italiano Giuseppe Conte rivolte ai francesi: "Nous Sommes Unis!", ci accaniamo nell'accusa e nel giudizio di giovani senza più patria, alla cui perdita abbiamo contribuito, quando non provocato? Si potrebbe obiettare: che c'entra la nostra nonchalance, la nostra ipocrisia con l'attentato esplosivo a Peshawar, che c'entra, con gli accaduti francesi di cui siamo vittime? C'entra, eccome se c'entra. 
Siamo noi che incitiamo al comportamento violento, è talmente evidente! lo facciamo elargendo a quei paesi la nostra perdita di valori, di morale, la nostra avidità, il nostro becero, camuffato colonialismo e schiavismo i cui fini sono sempre tutt'altro che nobili, e semmai al contempo critichiamo il nostro stesso passato "affetto" da desiderio ed attuazione di colonialismo e schiavismo, e quest'accenno non è politica, ma onestà storica. C'entra certo che c'entra. Noi camuffiamo tutto questo, lo celiamo sotto la patina della fratellanza o sotto l'erroneo vessillo della Democrazia da esportare, che in realtà non mettiamo in atto, tanto meno possediamo. E allora le Ong, e allora armate missioni di pace, deposizione ed assassinio di capi di Stato dopo averli accusati dell'inesistente, aiuti sanitari attraverso cui sperimentiamo su popoli inermi farmaci d'ogni tipo. Certo che c'entra. E allora sfruttamento di immigrati a fini non solo illeciti, ma immorali ed assassini quali prostituzione e commercio di organi per lo più di bambini o giù di lì, abbiamo popolato lo splendido Mediterraneo con i loro corpi. E si potrebbe continuare ancora e ancora, ma fa male e il rispetto per le vittime impone il basta così. Eccome se c'entra. Facciamo questo ed altro tutto adducendo sempre gli stessi motivi con le stesse parole: salvare i diritti umani, salvare dalla dittatura, portare libertà, progresso, democrazia. 
I nostri fini opportunistici sono sempre celati dalla patina della fratellanza con cui invadiamo mondi a noi in massima parte sconosciuti per cultura e costume. C'entra quando ai fini di cui sopra, corrompiamo con pochi spiccioli i governanti di quei paesi, alimentando in loco guerre fratricide che facciamo passare per rivolte popolari. C'entra quando li defraudiamo delle loro risorse naturali compromettendo, quando non azzerando, la loro economia spesso già debole o compromessa, indi li costringiamo ad espatriare per vivere. C'entra, quando addestriamo in campi specifici uomini al soldo che siano d'oriente o d'occidente e per estrema povertà o estrema indotta ortodossia vengono "arruolati"  perché si immolino in nome di Dio al grido " Allah-u-Akbar" e facciano così il nostro sporco gioco. Poi li accusiamo e quasi sempre assassiniamo, ma, si badi bene: per legittima difesa. C'entra. 
C'è un vescovo in Francia, certo André Marceau, un vescovo di buona volontà: "La disumanità non può chiamare ad altra disumanità, alla chiusura, alla violenza, all'esclusione, alla segregazione" e poi, interrogandosi: "E' vero, non abbiamo risposte" e ancora: " I nostri commenti non siano in linea con quelli compiuti da quell'uomo.." poi a proposito di Nizza e memore dell'attacco del 2016: " Città presa di mira da uomini deviati da un Dio deformato.." così si esprime invitando a sentimenti di pena e di perdono. Ed è così per quel che riguarda l'invito al perdono, ma, Sua Eccellenza il Vescovo, con tutto il rispetto, rifletta un po' di più, si immedesimi cristianamente in quegli uomini deviati, rifletta un po' più sul Vangelo, rifletta sull'azione blasfema e francese compiuta da un docente a Parigi, non era forse deformato o assente in cuor suo il Dio dei cristiani? Se assurda distinzione si voglia fare in Dio stesso e Unico.
C'entra!  Eccome se c'entra!
Marika Guerrini

p.s.
alcune pagine correlate - per chi fosse interessato-

 https://occiriente.blogspot.com/2015/11/la-tragedia-della321-e-il-sacrilegio-di.html

https://occiriente.blogspot.com/2015/11/parigiragazzi-contro-il-fallace.html

https://occiriente.blogspot.com/2015/11/in-nome-di-dio.html



domenica 25 ottobre 2020

il virus e la preghiera proibita




S.Maria Madre della Provvidenza
  ... lontani erano rintocchi di campane, limpidi, distinti, poi,   sospinti dal vento di sud-ovest, si son fatti vicina eco espansa   tra i palazzi a sfiorare le chiome degli alberi, mentre la luce   dorata del tramonto li accarezzava. 
 Un foglio ripiegato sì che una finta busta da lettere nella   cassetta della posta, reca un simbolo rosso a mo' di sigillo di   ceralacca, come a proteggerne la lettura, come in un tempo   ormai andato. Le parole segnate, protette dalla piegatura, sono semplici, immediate, sono di un uomo che veste l'abito talare. Non conosco quest'uomo, conosco il suo dolore, soltanto, il dolore che si respira tra le parole, celato per non gravare ancor più sulla già diffusa gravità quotidiana che incombe sui fedeli di quest'antica religione che l'Italia osserva da millenni.  Mi colpisce molto quello che stiamo vivendo, dice il foglio e continua: ciascuno un po' per conto proprio, sia chi è cristiano, sia chi è di un'altra religione, sia chi non crede in Dio. Ci sentiamo tutti un po' più soli, ad ognuno voglio dare dei segni che esprimano ciò in cui crediamo fortemente, ovvero che tutti noi siamo importanti gli uni per gli altri...Facciamolo cercando un confronto con chiunque lo desideri, per individuare quel che sia meglio fare al fine di migliorare il nostro mondo.... Dopo poche altre righe un altro segno: Saranno le campane che Domenica suoneranno, per noi cristiani saranno un richiamo alla preghiera, per tutti gli altri vogliono essere il segno che dice: ci sta a cuore la vita di tutte le creature. Poi  scrive di un furgone aperto che attraverserà le strade recando a vista la statua della Santa Maria Madre della Provvidenza, il cui termine Provvidenza allude al sacrificio del Dio fattosi uomo per la salvezza dell'Umanità. Dopo di che prega il popolo di non seguirlo in processione per via del divieto di assembramento. Questo, sul foglio ripiegato che porta in calce una data: 16 ottobre 2020, ed una firma: don Alberto. Nome del parroco? non so. Suppongo.
Non ho neppure finito di tracciare questa breve storia che mi si è fatta cronaca: le campane continuano a suonare, i rintocchi sono più vicini, s'ode il rombo leggero d'un motore, è lento, lascio la scrivania, vado sul terrazzo, mi affaccio. E' il furgone scoperto annunciato, su di esso la statua della Vergine e due suore ai lati, sono vestite di bianco. Il loro volto è coperto da una mascherina, bianca anch'essa, le due seggiole distanziate su cui siedono, posano accanto a cesti  di fiori. Il furgone va verso la piazza su cui s'apre la strada, si ferma. Una voce ampliata da un microfono nascosto, recita passi tratti dai Vangeli, passi che inducono al coraggio, alla speranza. Poi la voce recita la preghiera, è l'Ave Maria, e s'allontana nel leggero rombo del motore coperto dal suono delle campane. Resto all'esterno, il tempo di scorgere tre bambini che, come nelle processioni di sempre, seguono il furgone correndo saltellando sul marciapiedi e agitando le piccole braccia: salutano. Cosa? Chi? Il Furgone? La statua della Vergine? Questa minuscola scena come di teatro? Chissà.
Fuochi d'artificio chiuderanno quel che s'è fatto rito, perché lo spettacolo della luce e dei colori ci dia allegria e speranza nella capacità dell'uomo di affrontare le grandi ambasce, così porta scritto in chiusura il foglio e così è stato. Migliaia e migliaia di luci colorate in danzanti cascate hanno illuminato a giorno il cielo notturno, sì che luci nella tenebra.
Si può togliere o impedire o ostacolare la preghiera ad un popolo? Qualunque essa sia, a qualsiasi credo appartenga, a qualunque dio si rivolga. Non è forse questo un delitto?
Un tempo le processioni in preghiera fermavano catastrofi naturali, guerre, fermavano morbi, morbi ben più potenti e flagellanti di questo a noi conosciuto. Gli animi dei fedeli s'espandevano nell'incontro tra loro come tra terra e cielo, così facendo s'aprivano alla possibilità di guarigione, s'aprivano all'intervento di forze al contempo immanenti e trascendenti all'uomo stesso, per via di quel potere che pur non negando la materia la trasfigura e sublima, rafforzando Spirito e corpo. Impedire tutto questo non è forse delitto? 
 Marika Guerrini

immagine dal web
S.Maria Madre della Provvidenza, navata centrale- Roma- quartiere Gianicolense

martedì 13 ottobre 2020

Libertà va cercando...Alighieri e la contingenza

 

 

...parafrasando le parole del Sommolibertà va cercando, ch'è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta..., donate a Virgilio da Dante, perché lo presenti a Catone Uticense che ben può comprenderne il senso per via del suo gesto suicida, e, paragonando ad esse il planetario attacco alla Libertà individuale che in Italia, ancor più che altrove, è stato ed è posto in essere a flagellare il popolo, ci accingiamo a spendere qualche parola su quel senso di Libertà ch'era dell'Alighieri, lo stesso che, osiamo umilmente affermare, è anche nostro. Quella Libertà il cui anelito al raggiungimento è insito in ogni essere umano, come insita in lui è la coscienza, che ne sia consapevole e la tenga sveglia o la risvegli, oppure che non riconosca, non se n'avveda o, ancor peggio, deliberatamente la trattenga nel sonno.
Ed è la Libertà il vero soggetto-oggetto del quotidiano a cui stiamo assistendo in questo interessante momento storico, Libertà da barattare a favore di protezione da un virus dispensatore di malattia e probabile fine di vita. In realtà se il virus fosse dotato di parola, racconterebbe sì della sua indubbia esistenza, forse tacendo sulla sua nascita e sui perché, ma senz'altro direbbe degli errori umani che, ahimè, hanno ampliato la sua fama di virulenza, direbbe del procurato allarmismo, forse userebbe il termine terrorismo data la diffusione con martellamento mediatico, direbbe della sua costante mutevolezza così come dell'altrettanto costante suo declino, direbbe dei dati statistici falsati, per ignoranza, o mala fede chissà, di sicuro se lo domanderebbe, o forse no poiché, privo di coscienza in quanto organismo vivente d'altro tipo, riterrebbe vana la risposta. Una cosa però è certa, il virus si adirerebbe per la sua immagine letale che non gli sarebbe appartenuta se l'uomo, per scopi ben lungi da quelli protettivi sanitari, non avesse voluto che fosse. O forse il virus proverebbe pietà, pietà per quest'umanità che ha smarrito il bagaglio dell'antica conoscenza, in essa anche quell'umanità medico-scientifica i cui rappresentanti, per fortuna non tutti, dimenticando il Giuramento di Ippocrate, ovvero la salvezza e la rassicurazione del malato sopra ogni cosa, si è lasciata manipolare per altri fini sino al punto di soccombere alla paura incussa a tal punto da portare i popoli, l'italico ancor più, a barattare la propria Libertà. Ma torniamo a quest'ultima.
Il fatto è che l'Umanità, da tempo e massimamente oggi, si è calata in quella che possiamo definire Civiltà razionalistica, man mano, e sempre più, dimenticando quel Conosci te stesso, che a Delfi capeggiava sul Tempio di Apollo, ad esortazione e guida degli uomini. Nella dimenticanza di questo suggerimento che rimandava alla coscienza individuale quindi di popolo, essendo esso formato da singoli, l'uomo ha preso ad identificare la Libertà con la a-libertà, ovvero il frutto della Conoscenza con il frutto del Misconoscimento. Il processo è semplice da individuare: l'uomo ha proiettato la forza pensiero esclusivamente verso la fisicità, materiale o energetica non importa, ma comunque misurabile in una qualche maniera, privando così, lo stesso pensiero della sua capacità di movimento libero quindi anche di penetrazione  del mondo fisico stesso. Procurato questo processo e fissatolo in anni ed anni di studi e ricerca in tal senso sull'immediatezza materiale, questo processo non avrebbe potuto fare altro che condizionare l'uomo. Così ha fatto. 
La logica conseguenza è stata, ed è, che il pensiero umano ha rinunciato, e continua, alla conoscenza di sé, quindi alla reale e veritiera conoscenza del mondo anche per quel che concerne i suoi fenomeni, quelli che anche Schopenhauer, sì che il Pensiero indiano, chiama: Maja. Il motivo consta proprio nell'aver instaurato un limite fisico ed averlo imposto alla ricerca a 360°, anche nel caso di ricerca così detta spirituale, termine paradossalmente, ma di ovvio contrasto, oggi molto in voga ed abusato. Da tutto questo, ancora paradossalmente, ne è scaturito una sorta di misticismo, tenace quanto inconsapevole, che esige l'immediato, sia esso oggetto, sia esso dialettica, eccetera eccetera, con cui identificarsi. Misticismo che altro non è se non il mondo nella sua astratta esteriorità. Tutto questo inoltre ed ancora ovvio, trova l'apice nella tecnologia sempre più avanzata, più complessa, più "umanizzata", sempre più in sostituzione dell'essere umano con tutte le sue facoltà ed innanzi tutto in sostituzione della sua coscienza, quella coscienza che sappiamo essere presente, esistente, in ogni singolo umano, malgrado la consapevolezza o l'inconsapevolezza, del singolo stesso.
Così facendo, la massa dell'Umanità non s'avvede che sta rinunciando alla propria vera Libertà, quella che libera il pensiero, che gli permette, o gli permetterebbe, di vivere secondo la parte più profonda di se stesso, quella parte luminosa che alberga solo nella coscienza. Non s'avvede che così soccombendo al non pensiero impostogli, da chi di certo  non propende per un'evoluzione dell'Umanità, bensì al contrario, da chi, per fini che affondano le radici nel bene materiale assoluto, propende per un annientamento delle singole coscienze ché, addormentate o obnubilate dalla paura, fattesi gregge, possano essere usate per illeciti fini anti umani. 
E' questa l'alienazione in cui sta rischiando di cadere l'Umanità, se non ha già imboccato la via, è questa l'alienazione in cui stanno rischiando di scivolare i popoli, in maniera esponenziale, come si diceva, il popolo italiano che si sta ponendo a capo chino auto designandosi emblema di schiavitù. Ma se non si alza il capo, se anche questo popolo figlio di grandi della Libertà di Pensiero, non lo farà, cercando e trovando in sé, esprimendolo, il coraggio delle proprie idee libere, il coraggio di dare voce e luce alla propria coscienza che non può mai essere collettiva, per quanto sia da sprone la condivisione, bensì individuale per poter poi comporre una collettività cosciente, se questo non sarà messo in essere a sostituzione della schiavitù imposta, VIRUS fisici e non, visibili o invisibili, potrebbero attanagliare l'uomo in una prigionia in cui egli  si troverebbe sempre alla ricerca dell'agognata Libertà. E Libertà continuerebbe a cercare.
Marika Guerrini

immagini da Wikipedia 
(1) Arthur Dorè - illustrazione, I canto verso 71- Purgatorio- Divina Commedia. 
(2) Giuramento di Ippocrate.

venerdì 11 settembre 2020

11 settembre 2020... la densa scia continua

RossoAcero. Conosco il canto del muezzin      ... Risultati immagini per twin towers

... "Un ristorante, qui, a Trastevere, l'esterno di esso e tavoli rigorosamente vestiti di bianco, rigorosamente vuoti.
Qualcuno viene fuori dal locale, va verso un tavolo vuoto di commensali anch'esso, anch'esso bianco. ricorre questo non colore in queste pagine, come ad Istanbul le donne, il pane. 
Ma quel giorno a Trastevere, in quel momento, il qualcuno poggia su quel tavolo una piccola radio portatile, nera con una striscia argentata. E' accesa.
Il qualcuno torna all'interno lasciando la radio sul tavolo.
Sono lì, sto passando a pochi centimetri dall'aiuola che delimita il locale, il suo spazio esterno, i tavoli vestiti di bianco.
Dalla radio giunge un frastuono a più voci. Indistinto. Non si capisce.
Il volume è piuttosto alto. Rallento. Distinguo rumori, sirene. Una voce ansima, sovrasta i rumori, prova a farlo. Si scusa per il disagio, la cattiva ricezione. Non comprendo il motivo. Mi fermo. 
New York colpita...Twin Towers...paura...ecco... Parole scollegate in un contesto sconosciuto. Ancora non capisco. Penso ad un racconto radiofonico. di quelli che danno a volte sulla Rai. sorrido. cammino. La voce c'è di nuovo, continua nell'affanno. Retrocedo di qualche passo. affanno, voce, rumori, sirene, troppo realistico. Tutto troppo. Sospetto. Penso: reale.
No, non è possibile. ma ci credo. Subito.
L'atmosfera è ferma. Intorno silenzio, alcuna voce che non sia della radio. la piazza mi si apre davanti deserta. C'è un bar non distante, lo so, lo conosco. Vado verso il bar.
Alcune persone all'interno, il capo verso l'alto: guardano. In alto su di una staffa a parete un televisore acceso.
Una delle Torri Gemelle di New York ha un aereo in un fianco, si vede la coda. Fumo nero fuoriesce dallo stesso fianco. L'immagine va a ripetizione. Fantocci volano dalle finestre. Sembrano corpi umani.
Mi guardo intorno. Immobile nella sua postazione, il barman ha un bicchiere vuoto in una mano. Nell'altra una fetta di limone all'estremità di un coltello. Lo sguardo allo schermo. 
Ho certezza delle immagini: sono reali, è una diretta. E' accaduto. 
Nei pochi passi tra la radio e il bar ho pensato: se è vero quel che sospetto d'aver capito, ecco perché l'assassinio di Massoud l'altro ieri. E. è la stessa matrice.
Lo schermo sta confermando i miei pensieri. Una manciata di minuti, s'interrompe il replay, cambia il vociare, urla ancora in diretta, altra torre, altro aereo, altra facciata. Stessa dinamica.
Ci guardiamo, il barman, le quattro o cinque persone, io. Nello scorrere dello sguardo scorgo due persone in più.....Sono americani.... Nessuno si muove...Sguardi corrono tra noi. Muti. Poi il crollo sul video in tempo reale. Le torri si sono afflosciate su se stesse...Il simbolo economico d'occidente...è crollato su se stesso... in molti ci si è chiesto perché... perché per implosione, perché. ci si sarebbe risposto vagamente, dopo. Ancora ci si risponde. Si ipotizza. Si dubita. Ancora si mente...
... E io non ho provato nulla. a quel crollo, quel vuoto, quel ground zero, come l'hanno chiamato, lo chiamano.... non ho formulato pensieri. alcun pensiero che non fosse silenzio. Poi sono uscita dal bar... Era stato un film. Come fosse un film... di quelli visti, rivisti, sui disastri, le sciagure, le catastrofi. Naturali o provocate, dagli uomini o dagli dei... e tutti finiscono con gli eroi, l'inno nazionale, la speranza che aleggia sulle macerie... The day after... tra pacche sulle spalle e abbracci. .il the end. ...
Ho ripreso a camminare, poi, verso il colle, verso casa.E' stato allora che ho provato pietà. 
Per le vittime, per quei corpi che volavano a schiantarsi quali pupazzi... Ho pianto...Poi ho visto altro. e ancora ho pianto... perché le lacrime di alcuni servono a lavare. Se stessi, altri, non importa. Servono a diffondere nel mondo la possibilità di perdono. Sottile, nascosta, silenziosa.... e quel giorno ho pianto l'assenza del dubbio in me. Ho pensato: andranno in Afghanistan. E ho visto....
Ho visto bombe d'ogni tipo, d'ogni sostanza, schiantarsi su villaggi, deserti, falciare ogni cosa e la loro storia. Storia sconosciuta all'ignoranza d'occidente. Un enorme ground zero. Molto molto più grande del grande foro newyorkese....
...Quel giorno delle Twin Towers ho pregato. Forse.
L'America, Oriana, oh, l'America e il suo sogno. Conosco quel sogno...
..Oh, sì, grande abbaglio il tuo, cara amica distratta. Guarda. Mentre la East Coast adagia le sue rive nel rosso acero del fiume, lontano Troia brucia... E il sogno è infranto. E l'America non esiste... E' stato usato il tuo scritto, Oriana, le tue parole. Usata la rabbia, l'orgoglio, il dolore, l'avversione, i toni enfatici per quella terra, quella gente esule.  Tutto è stato usato. a dispetto d'ogni giusta o presunta verità... Continua quest'ipocrisia. Oltre le smentite... oltre l'ignoranza, la menzogna.... "

Il lettore non me ne voglia se ancora una volta riporto degli stralci di un mio libro, no, non è mania di protagonismo né autocitazione, il che non sarebbe elegante né corretto, è semplicemente che ripensare parole già pensate e scritte, risulta noioso ad uno scrittore, se poi si aggiunge a questo la consapevolezza che ciò che il mondo sta vivendo ricalchi con esattezza le parole già scritte, ecco che il riportarle si fa inevitabile. L'episodio dell' 11 settembre del 2001 di cui si è raccontato* in una risposta, se pur tardiva, all'amica Fallaci che aveva indirizzato la sua rabbia verso le genti musulmane in genere ed il suo orgoglio verso quegli Stati Uniti d'America emblema di civiltà, democrazia e libertà, di cui chi scrive è figlia naturale e non adottiva come l'amica Oriana, ha aperto, con la distruzione delle Twin Towers una inedita, ad allora, modalità bellica che possiamo dire globale, basata esclusivamente sulla menzogna, da cui la paura, da cui l'ipocrisia, da cui l'assoggettamento di popoli in varia misura, temporalità, modalità. Da cui distruzione di sovranità, di economia, di dignità, di libertà. Distruzione  per acquisire sempre più Potere sul pianeta, distruzione che, come accennato in altre pagine, non necessariamente debba manifestarsi nell'immediato, tanto meno debba necessitare di strumenti bellici convenzionali al fine di realizzarsi. In questi nostri giorni del 2020 la densa scia dell'11 settembre del 2001 continua, sotto diverse e svariate sembianze, a soffocare innanzi tutto le menti, con esse, la Verità, in essa la Libertà dei popoli.
Marika Guerrini

* Marika Guerrini, Rossoacero, Città del Sole edizioni, Reggio Calabria, 2013


mercoledì 9 settembre 2020

Italia: Scuola: attentato al futuro





 stralci indicativi tratti da...(*)

"L'etimo della parola non inganna, basta soffermarsi sul significato dei termini Pedagogia, Educazione, Didattica ed Insegnamento, perché ci venga suggerito il tragitto da percorrere in ambito educativo, sì che queste scienze possano restare fedeli all'assunto primario: favorire progressivamente l'affinarsi e l'evolversi delle attitudini morali ed intellettive dell'individuo ai fini di una completa formazione dell'essere umano nello sviluppo delle sue facoltà.
Da paidòs àgein, ex ducere, didaktòs ed in-signare, scaturiscono, significanti e comuni denominatori, le due azioni distinte e complementari del condurre portando fuori da e dell'imprimere, che indicano non solo la scansione temporale del da farsi, bensì l'esistenza nell'individuo, in tal caso allievo, studente, di un qualche stato costituzionale preesistente all'azione educativa, stato senza la cui considerazione le suddette scienze incontrano difficoltà a corrispondere all'assunto primario per cui esistono.
Difficoltà ancor più evidente in un'epoca quale l'attuale che, per motivi alieni ad ogni evoluzione, sta troppo spesso contraddicendo il processo evolutivo, processo che richiederebbe un'azione armonica ed equilibrata tra le cose più o meno sottili e/o evidenti del mondo, innanzi tutto dell'uomo, tanto più nei delicati anni della sua potente crescita psico-fisica-intellettiva, anni che dall'infanzia vanno all'adolescenza compresa, tempo  appunto dell'azione educativa.
La via su cui far scorrere, guidando, il portar fuori, per poi agire con l'imprimere, va predisposta, per farlo non si può prescindere dalla considerazione unitaria della materia prima su cui poggiano le due azioni, materia agente, soggetto-oggetto. Non si può prescindere dal considerare, in maniera unitaria, le caratteristiche dell'essere umano in formazione. Considerare l'essere umano in formazione però vuol dire considerare l'essere umano nella sua compagine morale ed intellettiva, nella sua totalità, nella sua unicità, in certo qual modo, immaginarlo microcosmo nel macrocosmo, cosa che determina la sua unicità....".
In un altro stralcio viene detto: 
" ...affinché l'essere umano in formazione possa essere incontrato con immediatezza nella sua complessità, si inizia col prendere atto della struttura fisica, struttura che ci si mostra caratterizzata da una triarticolazione, ovvero l'organizzazione dei distretti funzionali del capo, del tronco, degli arti, vale a dire del sistema cerebro-spinale, sanguigno-respiratorio e metabolico. A questa triarticolazione corrispondono l'organizzazione dell'intelletto e della volontà, per cui possiamo ritenere che l'uomo sia interiormente costituito da tre elementi: Pensare, Sentire, Volere..."

Il testo continua con il trattare i tre elementi o facoltà ed il loro riflesso sull'uomo nelle fasi evolutive che ogni uomo attraversa, e tutto, proprio tutto, rimanda all'importanza dell'armonia tra queste facoltà innate in ogni individuo, qualunque sia il luogo, la storia, la cultura di appartenenza. E l'importanza non va solo al rispetto di esse facoltà da parte dell'insegnante d'ogni ordine e grado, comunque sempre educatore, va, in maniera altamente incisiva, alle modalità che portano alla distruzione o resa patologia, delle dette facoltà, oppure al loro equilibrio psico-fisico se contemplate, osservate e lasciate esprimere con competenza e rispetto, nella loro armonia. 
Ora, oggi, in questi nostri giorni, ed entro nello specifico dell'attualità, tutte, e dico tutte, le così dette "precauzioni anti virus" da adottare nella scuola di ogni ordine e grado, in nome del "bene" cittadino, e dettate, o meglio imposte ad un popolo da abuso di potere costituzionale coadiuvato da altrettanto abuso di chi, preposto a guida dell'Istruzione, si manifesta reo di ignoranza non solo in ambito strettamente pedagogico, bensì in ambito scientifico ad ampio raggio, ivi compresi basilari e comuni dettami di psicologia, si rivelano armi di distruzione di massa. Armi il cui fragore non si manifesta nell'immediato, per quanto i sintomi sarebbero evidenti nell'immediato, ma ancor più a medio e lungo termine nell'equilibrio formativo, culturale, psichico, morale, eccetera eccetera, d'ogni singolo individuo, quindi della società. Attenendosi agli attuali diktat imposti dalle istituzioni, si impedirebbe l'attuazione di assolvere, promuovere e permettere l'attuarsi degli assunti di cui nella parte iniziale: ex ducere, didaktos, in-signare, rivolti all'alunno, allo studente e, impedendo l'attuarsi degli assunti, si impedirebbe, devierebbe e capovolgerebbe l'intero sistema educativo, riducendo le intelligenze ad "imbavagliare" se stesse,  per  procedere alla distruzione o comunque alla contaminazione delle facoltà innate da far emergere per poter guidare, equilibrare, armonizzare e su cui poter "segnare" con competenza, in maniera singola e collettiva al contempo, i prodromi di una futura Libertà di singoli e di popolo. Attenendosi ai diktat si ridurrebbe allo stato di gregge un intero popolo ivi compreso il suo futuro, perché è proprio la Libertà che non si vuole. Molto altro ci sarebbe da dire, ma ci si ferma qui. Ora, che l'Alighieri perdoni, ma, riferendoci al luogo opposto al riferimento del Sommo, lui alle alte sfere noi alle infere, diciamo: vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare. E' una certezza. 
 Marika Guerrini


* Marika Guerrini, Triarticolazione umana ed educazione- dal pensiero immaginativo al concettuale.  Graus editore,  Napoli 2007
da atti dei convegni -Tecnologia umanistica per l'educazione alla complessità-  C.Gily a cura di
 
si consiglia
https://occiriente.blogspot.com/2020/06/non-va-spento-il-respiro-della-vita.

immag. wikipedia- Caronte, illustrazione di Gustave Dorè 

martedì 11 agosto 2020

attualità italiana o forse italiota, in "Diversamente pensanti" cronaca di un articolo altrui

   Rino Sessa- olio su tela

... ore 24 della trascorsa notte. Una leggera brezza dà respiro all'aria che, afa, ha attentato a forze fisiche e mentali lungo l'intera giornata. Alla luce soffusa dal verde nel mio piccolo angolo esterno, mi accingo a scrivere una pagina sull'ennesimo sotterfugio del  Governo in carica che secreta e desecreta, pro domo sua, importanti documenti ed azioni, così rinfoltendo il numero dei micro colpi di Stato fatti passare in occulto o, se dichiarati, per virali necessità, vedi servizi segreti etc. Mi accingo a scrivere circa il pantano di falsità in cui, da tempo, striscia il nostro giornalismo, eccezion fatta per quelle voci coraggiose, Libere e Rare, per questo tacciate di complottismo e false notizie, dai venduti ai poteri, i più nell'attuale rosa giornalistica. Ho già posato la penna sul foglio, quando ricordo di non aver controllato il mio whatts app da ore. Lo faccio. Tra vari messaggi, la segnalazione di un amico con il suo articolo, pubblicato sul suo sito "Libero pensare" (collegamento in calce)*. Il titolo "Diversamente pensanti", immediato mi dà il contenuto. Apro, leggo. Bene, penso, mi sono risparmiata un lavoro, il che, data la trascorsa afa, non mi dispiace affatto. Il contenuto dell'articolo di Piero, Cammerinesi alla società, riporta esattamente quel che stavo per tracciare, quindi inutile farlo, l'ha già fatto lui. Condivido appieno, motivo per cui decido questa pagina che sto tracciando, dopo il non ristoro del sonno interrotto dalla calura e dal fruscio, sottile ma udibile, del ventilatore, illusorio portatore di refrigerio. Ecco a voi l'articolo di Piero Cammerinesi a cui nulla ho da aggiungere. Buona lettura.

La Repubblica, foglio campione di democrazia politically correct titola oggi: “Caccia ai furbetti del bonus Iva: lo hanno chiesto 5 parlamentari, ma lo hanno ricevuto solo 3”; La Stampa, il quotidiano che aveva insinuato che gli aiuti russi per il Covid-19 erano in realtà una quinta colonna di spionaggio gli fa eco con “Bonus Iva ai parlamentari: lo hanno chiesto in cinque, ma lo hanno ricevuto solo in tre”. Il Corriere della Sera, alfiere del pensiero unico, segue lo stesso copione: “Deputati e bonus Inps: l’hanno avuto in tre (su 5 richieste)”.

Al coro dei sedicenti giornalisti, a dire il vero, si unisce anche qualche inossidabile politico, un uomo per tutte le stagioni come Zaia, che cavalca l’onda del momento. Bravo Zaia, così si fa, ci mancherebbe che una truffa di questa magnitudo restasse impunita, mica parliamo ad esempio di quei pochi spicci, i 14 e rotti milioni di euro di mascherine – acquistate dalla Regione Lazio a spese dei contribuenti e mai consegnate – smarriti nei momenti di confusione in piena emergenza… Ci mancherebbe Zaia, fuori i nomi di chi si è intascato i 600 euro di bonus!

Ecco, questa è – dopo l’immancabile quotidiana litania dei “contagiati” e dei decessi per – o con? – Corona virus – la principale notizia della stampa mainstream in questo caldo 10 Agosto dell’Anno 0 del Covid-19. Chissà se d’ora in poi conteremo gli anni dal 2020 e il d.C. invece che “dopo Cristo” starà per “dopo Covid”?

Qualche riflessione sorge spontanea di fronte a questa Caporetto dell’informazione, a questo esercizio di copia-incolla dei lanci di agenzia da parte di quelli che un tempo erano i mostri sacri del giornalismo italiano. Prima di tutto la sovrapponibilità quasi perfetta degli articoli dei vari quotidiani indica la assoluta omogeneità delle notizie rimandando ad una strategia dell’informazione che non ha interesse negli approfondimenti o nella riflessione su certi avvenimenti ma mira solo a creare vere e proprie “armi di distrAzione di massa” per sviare l’attenzione dai fatti veramente importanti.

Eppure abbiamo appena assistito all’incredibile teatrino del “Secretiamo i documenti relativi al Covid-19 per non creare il panico tra la popolazione”  seguito dal ricorso al Tar ed al contro-ricorso – da parte del Governo – al Consiglio di Stato contro la decisione del Tar di rendere pubblici i verbali secretati del CTS, con il gran finale della finta desecretazione di documenti ampiamente emendati. (Basti pensare che, mentre il documento del Comitato Tecnico Scientifico del 7 Marzo constava di ben 3.577 pagine, il documento desecretato – si fa per dire – di pagine ne ha solo 52…)

E voi, cari colleghi giornalisti, invece di indagare su questa colossale presa per i fondelli, che insulta ogni residua traccia di pensiero cosciente dei vostri sventurati lettori, invece di esercitare quel famoso fact-checking che richiedete perentoriamente a chi, non fidandosi delle vostre fake news, cerca di informarsi indipendentemente dal mainstream, battete la grancassa del gigantesco problema di 3 parlamentari che avrebbero ottenuto il bonus IVA? Che poi, tra l’altro, se l’hanno percepito, con tutta probabilità è avvenuto perché la legge ne prevedeva l’erogazione.

Insomma, questa sì che è una notizia clamorosa; qualche centinaio di euro finiti nelle tasche di 3 parlamentari imbroglioncelli, altro che la verità sulla decisione – prima negata e poi ingannevolmente concessa di malavoglia a tutto il popolo italiano – di mettere agli arresti domiciliari un intero Paese!

Insomma, dagli al deputato disonesto che si appropria indebitamente di qualche centinaio di euro! Questo è l’obiettivo del giorno…i nomi, vogliamo i nomi! Devono subire la gogna, il pubblico ludibrio, per gratificare la nostra sete di sangue, per soddisfare la nostra sete di vendetta verso chi ci ha ridotto in questo stato miserando di uomini mascherati, isolati a norma di decreto legge e impotenti.

Il fatto è che nel campionario della neolingua orwelliana delle “guerre umanitarie”, della "della “esportazione di democrazia” e della “scienza esatta” dovremmo aggiungere il concetto di “diversamente pensanti”l’obiettivo primario di chi sta implacabilmente anestetizzando e paralizzando il pensiero dell’intera umanità, creando ad arte piccole e grandi opposizioni tra la gente per canalizzare la rabbia e la frustrazione dilaganti, che sarebbero altrimenti pericolose per l’establishment.

Se non smaschereremo il loro gioco – non dando alcun valore a ciò che blaterano queste testate che di giornalistico hanno ormai solo il nome – diventeremo tutti “diversamente pensanti”.

Spegniamo la TV, non leggiamo più i giornali e proviamo a pensare con la nostra testa se vogliamo uscire indenni da questa pandemia di follia."

Marika Guerrini

p.s.

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