lunedì 23 novembre 2015

epistolario su " In nome di Dio"

... come già in passato, anche stavolta da una pagina di occiriente pubblicata in editoriale da "Totalità" è nato un amichevole scambio di idee con il direttore Simonetta Bartolini. La pagina in questione è "In  Nome di Dio", subito precedente a questa, ed anche stavolta occiriente vi rende partecipi riportando entrambi i testi integralmente.

il direttore

Cara Marika, pubblico in tuo articolo –mi hai chiesto dubbiosa lo pubblicherai?– perchè come abbiamo detto e ripetuto Totalità è un libero laboratorio aperto a tutti e quindi mai e poi mi sognerei di censurare qualche opinione. Figuriamoci quelle di chi stimiamo. Però non ti nascondo che quanto scrivi mi lascia un po' perplessa e non pienamente convinta. 
Tu dici che il richiamo al dio dell'Islam fatto dai terroristi a Parigi, e poi in Mali e prima ovunque sia stato portato terrore e morte è svuotato di significato, è una formula che fa più male all'Islam che bene ad Allah.

Non c'è dubbio, lo credo anche io. Però non puoi paragonare le parole di Bush autodefinitosi unto del signore, o quelle di qualunque capo di stato cristiano che invochi il nostro dio intraprendendo una guerra o qualunque altra iniziativa politica di forte impatto. Quella sì che è una formula tesa a richiamare più che l'essenza della religione nella quale crediamo il senso della condivisione dei valori. Altro sarebbe se i soldati americani governassero i droni che bombardano le città, o invadessero i territori su carri armati sui cui scudi fosse scritto "Cristo Re" o il celebre "Dio lo vuole". Perché l'effetto devastante della religione coinvolta nella guerra sta nella diffusa e ripetura formula invocativa nel corso di ogni singola azione che comunica il senso di una contrapposizione spirituale, cioè religiosa e quindi di civiltà. Non dimenticare che fu l'invocazione di quella formula che rese grande Giovanna d'Arco, e la portò al martirio (anche), la forza della pulcella d'Orleance stava nel suo grido di battaglia in nome di Dio, e come tale è entrata nell'immaginario della nostra storia e della nostra cultura e quindi ha avuto forza. 
Questo mi preoccupa e continua a preoccuparmi quando vedo le nostre strade insanguinate in nome di dio. Tanto ti dovevo. S.B.

 ***
Marika

Sì, Simonetta, hai ragione, abbiamo indetto e condotto guerre in Nome di Dio, ma questo è il passato. Al tempo della Pulzella d'Orléans e al tempo delle Crociate, la prima ancor più, momenti da me amati da sempre, l'uomo aveva un diverso rapporto con il divino, contatto che poi, calato sempre più nella materia, ha in gran parte smarrito. Inoltre farei una distinzione tra il grido della Pulzella, destinato a gente della sua stessa fede se pur diversa, infatti la condannò, ma che fosse tra cristiani e cristiani fa una grande differenza, e il grido "Dio lo Vuole" dei Crociati, con loro siamo apparentemente in un ambito simile all'attuale. Ma, Simonetta, qui stiamo paragonando degli illuminati in senso spirituale, per lo meno le guide, al loro opposto, Bush e seguito e company. 
La moralità di un'azione non ha valore per la parola espressa, e neppure per il simbolo esposto, ma per la zona interiore da cui muove. Il medioevale "Dio lo Vuole" nulla ha a che vedere con l'americano "In Nome di Dio" da noi cristiani di oggi non ostacolato, né negato, né corretto, ma seguito. Oggi, quel che allora s'espandeva quasi a prescindere dall'uomo, che illuminava l'uomo, deve, o dovrebbe, essere dall'uomo voluto, cercato, ricreato, singolarmente innanzi tutto. In tal caso assumerebbe altro senso marciare in Nome di Dio e terrebbe conto, cosa imprescindibile, della Verità e della Lealtà. Ma, cara amica, io non vedo nulla di tutto questo, né in chi inneggia alla guerra in Nome di Dio, né in chi segue la bandiera issata sulla menzogna. E per far questo non c'è bisogno di scritte, che siano segnate o non, non fa differenza. 
Grazie per avermi dato modo di chiarire quel che avevo ritenuto sottinteso. Ma è una sponda che spesso mi offri. M.G.



sabato 21 novembre 2015

In Nome di Dio

il Golgota
... nei giorni scorsi, a ridosso del tragico episodio parigino, non le abbiamo contate, ma molte sono state le telefonate a proposito dei musulmani. In tutte le molte voci sempre quella di turno diceva: perché non dimostrano d'essere contrari al terrorismo, loro comunque aderiscono, perciò restano in silenzio, etc. etc. La cantilena s'è ripetuta e ripetuta. 
E allora bisogna scendere in strada, affollare la piazza, prendere le distanze dai fatti di Parigi, prendere le distanze con il megafono. Agire secondo questo nostro costume che, personalmente, riteniamo incivile, schiavo di un sistema violento che da se stesso si è dato, in nome di una democratica civiltà male interpretata. Perché la massa non fa l'uomo civile ancor meno fa l'individuo pensante e cosciente. In ogni caso e comunque.
Ma, torniamo ai musulmani costretti a dimostrare la loro innocenza. Il fatto che molti imam, abbiano rilasciato dichiarazioni di tutti i tipi e su tutti i canali d'informazione, sempre precisando: ciò che si manifesta nel e con il terrorismo non è l'Islam. Non è servito a nulla.
Il fatto che alcuni abbiano citato anche versetti del Corano con l'esplicita condanna al suicidio, ben lungi dall'aprire le porte del Paradiso. Non è servito a nulla.
Il fatto che molti intervistati comuni abbiano preso le distanze anche solo dall'idea dei fatti criminali, testimoniando rispetto per le altre religioni e per il paese straniero di cui ormai si sentono parte, non è servito a nulla, nulla è servito a nulla: bisogna che manifestino. 
Ed oggi, ora, mentre tracciamo questa pagina, lo stanno facendo. Bene, siamo tutti contenti! Sarà quel che sarà, andrà come andrà, siamo tutti contenti.
Tutti, proprio tutti i musulmani  a cui è stato chiesto e a cui non è stato chiesto parere, si sono giustificati. Questo ci ha disturbato non poco. Giustificarsi di cosa, perché, con chi, per chi?
Giustificarsi degli effetti di ciò che noi, occidentali abitanti di questo emisfero, con il nostro malcostume, il ferimento dei valori, l'indebolimento degli ideali, della sacralità, e ancora e ancora, abbiamo prodotto come una serpe in seno e fuori da esso? No, non ci è piaciuto. Tanto meno siamo contenti che genti musulmane stiano manifestando, se fosse stato possibile avremmo evitato quest'umiliazione, no, non solo a loro, a noi tutti in quanto esseri pensanti ritenutisi civili.
Il grido: Allah-u-Akbar!, s'è fatto sigla sulle labbra delle costruite macchine da guerra, per  questo grido oggi, ora, migliaia di persone innocenti, stanno chiedendo scusa manifestando a Roma, a Milano. Il  senso di quel grido che ogni musulmano porta nel cuore: "Dio è Grande" ché questo vuol dire, ed è sacrosanto portarlo nel cuore, in quel grido, agli occhi dei più d'occidente, il significato s'è perso. E' capovolto. E questo è triste. Molto. E non ci fa onore. 
Siamo forse scesi in strada noi cristiani, ci siamo forse adunati in piazza quando George W. Bush, autodefinitosi "unto del Signore", al grido "In Nome di Dio" ha scatenato gli eserciti contro un paese inerme e, a suon di menzogna chiamata giustizia, risposta ad un attacco, chiamata "scontro di Civiltà", "guerra di religione", richiamando antiche guerre che nulla avevano a che vedere, nascondendo la verità dietro di esse, ha distrutto l'Afghanistan, dando inizio a infami guerre, distruzioni, destabilizzazioni e morti, civili ancor più a migliaia e migliaia, e innocenti ancor più? 
E siamo scesi in strada, in piazza quando, scudo la menzogna, sulla scia del grido "In Nome di Dio" abbiamo ucciso capi di Stato dando poi in pasto i loro paesi alla follia omicida di mercenari assetati di sangue e denaro? 
E siamo scesi in strada, in piazza quando sulla scia dello stesso Dio e sempre scudo la menzogna, abbiamo fomentato false primavere al solo scopo del divide et impera ad uso di potere economico e geopolitico producendo morti e distruzione?
Siamo scesi in strada, in piazza alla sistematica distruzione dell'Iraq?
E per la Siria, quando, sempre nascosti dalla menzogna e sulla scia dello stesso Nome di Dio, si è fatto sì che una comune ribellione interna si trasformasse in guerra civile, armando i ribelli e accrescendo le loro fila con mercenari appositamente addestrati, nei nostri territori d'occidente, ad essere assassini, siamo scesi in strada, in piazza ad urlare: Dio non c'entra con il folle grido, noi cristiani prendiamo le distanze! ?
Siamo scesi in strada, in piazza? Ci siamo giustificati? Umiliati? Abbiamo chiesto scusa o cosparso il capo di cenere? Qualcuno ci ha costretti a farlo? No. Noi ci siamo armati e abbiamo seguito il grido e poi la sua eco. E lo facciamo ancora.
Marika Guerrini

lunedì 16 novembre 2015

Parigi:ragazzi contro - il fallace pensiero della Fallaci


... si è evidenziata al Bataclan la tenebra che ha avvolto Parigi, si è mostrata al mondo in tutta la sua ampiezza e ancor più acuto s'è fatto il dolore dinanzi all'età degli attori, qualunque fosse il ruolo interpretato. Volti, sguardi, atteggiamenti. Ragazzi, tutti ragazzi. E tutti belli, belli dentro, ché questo è trapelato dalle immagini, sia che fossero dispensatori di morte o vittime.         

"Erano bianchi, avevano tutti meno di 25 anni... sparavano con gli Ak47 a colpo singolo, 3-4 alla volta, tutti ben mirati, sembravano soldati delle forze speciali", così una testimonianza, e un'altra: " Ho visto diverse persone giovani che non indossavano maschere, entrare nella sala durante il concerto imbracciando kalashnikov" e un'altra: " I terroristi erano molto calmi" e un'altra: " Hanno sparato a bruciapelo a chi era rimasto ferito. Ricaricavano le armi e ricominciavano a sparare". Queste le immagini. 

E al dolore partorito dalle immagini proiettate o suscitate, sullo schermo o nella mente, voci si sono rincorse diverse e simili, di bocca in bocca, di paese in paese, tra esse, molte, troppe, si sono servite dell'eco di un'unica voce, quella della Fallaci, della sua rabbia, del suo orgoglio, rabbia indirizzata alle genti musulmane in genere, orgoglio per l'occidente emblema di civiltà, giustizia e democrazia. Rabbia e orgoglio frutti d'una mente che da tempo aveva perso il filo della verità, confuso, avversato. Frutti di un'anima esacerbata da un ateismo mai risolto, negato e consolidato, dubbioso e certo, anelante una preghiera, silente, negata al suo nascere, ancor prima di esso.  Eppure un certo mondo, quello dell'ignoranza e o della menzogna e o dell'ipocrisia, si serve di tutto questo ed eleva a "profezia" quella che è solo stata una visione unilaterale della nota giornalista, una visione contro, che il contro ha reso reale, una visione dettata, in gran parte, da ignoranza culturale circa l'Islam.
Ecco alcune delle sue parole in merito:

"  Parigi è persa: qui l'odio per gli infedeli è sovrano e gli imam vogliono sovvertire le leggi laiche in favore della sharia" e ancora: " Illudersi che esista un Islam buono e un Islam cattivo ossia non capire che esiste un Islam e basta, che tutto l'Islam è uno stagno e che di questo passo finiamo con l'affogar dentro lo stagno, è contro Ragione. Non difendere il proprio territorio, la propria casa, i propri figli, la propria dignità, la propria essenza è contro Ragione...." e ancora: " Morire di sete e di solitudine in un deserto sul quale il Sole di Allah brilla al posto del Sol dell'Avvenire è contro Ragione. E contro Ragione è anche sperare che l'incendio si spenga da sé grazie a un temporale o a un miracolo della Madonna" e ancora:" Jihad. Guerra Santa. Una guerra che non mira alla conquista del nostro territorio, forse, ma che certamente mira alla conquista delle nostre anime. Alla scomparsa della nostra libertà e della nostra civiltà." e ancora:" Non capite o non volete capire se non ci si oppone, se non ci si difende, se non si combatte, la Jihad vincerà, distruggerà il mondo che bene o male siamo riusciti a costruire... la nostra cultura, la nostra arte, la nostra scienza, la nostra morale, i nostri valori..." e ancora: " Qui è in atto una Crociata alla rovescia" e ancora:" E' il Corano non mia zia Carolina che umilia le donne e predica la Guerra Santa, la Jihad... tutto il male che i figli di Allah compiono contro di noi e contro se stessi viene da quel libro". 
  
Ed ecco altre parole, parole in risposta all'ignoranza, al contro:
  
" Ho letto e riletto le tue pagine. L'ho fatto all'inizio, quando erano poco più che articolo. Nel 2001. Le ho lette qui, a Roma, in una libreria del centro...  Le ho lette di getto come tu le hai scritte di getto.... Al the end l'amaro in bocca, negli occhi, nel cuore...Ho preso il tuo libro, per questo, in seguito. E' stata forte, molto, la bufera degli stati dell'animo accavallatesi ad invadere i pensieri.
E' in quest'assenza di pensiero che ho fatto un calcolo, semplice, numerico: migliaia di copie vendute, migliaia di lettori, migliaia e migliaia di immagini matrici di altrettante immagini. A formare opinioni, credenze, pseudo pensieri. Passati di parola in parola, di suono in suono, di segno in segno. Tutto questo scaturito dalle tue pagine, dalla tua rabbia e dal tuo orgoglio. Tutto questo a formare la storia.
Storia grandemente ignorante, cara Oriana... Una sottostoria a formare una sottospecie di uomini.
E' stato dopo, dopo questo calcolo, negli sprazzi di calma, nel distacco, che ho visto i ragazzi. Tutti quei ragazzi ancora bambini, appena adolescenti o poco più. Quelli che, in assoluto silenzio, quasi una venerazione a dispetto dei loro stessi docenti, ascoltano quando parlo d'oriente e d'occidente, della storia che è fluita dall'uno all'altro, delle arti, delle lettere, del pensiero scientifico, filosofico, delle guerre e delle battaglie anche, delle sfide, della lealtà nella diversità, della conoscenza, del rispetto, la spregiudicatezza che porta all'incontro, lo produce, lo alimenta, e ancora e ancora.
Quelli che restano immobili malgrado la naturale vitalità e possono farlo per ore. Quelli che alzano le mani, chiedono la parola per porre domande su domande a ricercare, scoprire, conoscere, comprendere. Tutti quelli che non rifiuto mai d'incontrare a scapito di proposte prestigiose, mondane, inutili. Tredici, quattordici, diciotto, venti o poco più, non importa l'età, loro bevono le parole come i rosoni di Chartres bevono la luce. 
E tu sai che quel che uscirà con la tua voce sarà creduto. E tu sai, perché non hai dimenticato, che stanno chiedendo al mondo che si mostri diverso da quello che sanno e che non sanno. E tu fai parte di quel mondo ai loro occhi.
Poi li ho visti con te.
Con la stessa capacità d'immersione li ho visti con te. Con la stessa passione, la stessa foga li ho visti con te a porre domande. Domande diverse scaturite da parole diverse, pensieri diversi, opinioni diverse. Opposte. Quasi.
Li ho visti, infettati dalla tua rabbia e dal tuo orgoglio, gonfiarsi di delusione, paura, arroganza.
Accade in automatico a quella età. E' la trasformazione, la miscela, il risultato. Di noi. Ho guardato il mondo con i loro occhi dopo le tue parole. La storia formarsi dalla paura della vita. Ho visto.
Uomo contro uomo. Ho visto.
Non mi è piaciuto.
... Ho paragonato i ragazzi dei racconti, del silenzio, della comprensione, quelli che bevono le parole per scegliere la vita, li ho paragonati agli altri, quelli cresciuti nella distorsione della storia, nella menzogna, nella paura. Cresciuti nell'ignoranza. Voluta. Procurata. Cresciuti contro.
Non mi è piaciuto.
E' stata la vista di questi ultimi, la gabbia che li serrava, a smascherare il mio silenzio. Complice. Così mi sono percepita. Complice delle tue parole con il mio silenzio. 
Non mi sono piaciuta.
Ho fatto come te. Ho preso carta e penna, ho iniziato a scrivere di getto... ".
Non c'è altro da dire.
Marika Guerrini

mercoledì 11 novembre 2015

Nāṣiriya: una pagina personale

... Nāṣiriya, 12 novembre 2003, l'esercito italiano subisce il più grave attacco dopo la seconda Guerra Mondiale, tra i 19 italiani uccisi 12 sono carabinieri. La base è la Maestrale, presidio dell'Arma all'interno dell'Operazione Antica Babilonia, la nostra missione di peacekeeping.
Alla notizia il silenzio s'era fatto immediato in me, nella mente, nel cuore, solo l'anima vibrava. Il dolore, immediato anch'esso, s'era fatto ancor più acuto nel sommarsi ad un dolore altro, personale, intimo, recente, ancora acerbo nella breve temporalità di un mese esatto: la perdita di mio padre. Questione di attimi poi, scevro da qualsivoglia sentimento, come lavato, un lampo alla mente, un pensiero in sembianza d'immagine s'era mostrato nitido: lui è lì, ad accogliere i "suoi" 12 carabinieri. Questa l'immagine pensiero.
No, non trasmutazione del dolore in altra forma o trasmigrazione in altra zona, come sosterrebbe la banale psicologia, ma una concomitanza di elementi come cesellati a formare una realtà irreale eppur reale altrove, conferma d'una vita oltre, al di sopra di noi, una vita superiore. E la sensazione che un immateriale filo unisse i due avvenimenti consumatisi a distanza d'un mese esatto l'uno dall'altro, s'era fatta percezione avvalorata da quella che aveva rappresentato in vita la figura di mio padre. 
Aveva indossato la divisa dell'Arma anche lui, all'epoca di due tipi una kaki d'ordinanza  l'altra nera, e, dal tempo della battaglia di Alamin, come gli egiziani chiamano el-Alamein, combattendo l'allora nemico, al dopo guerra combattendo la mala vita, quella dal nome Camorra con la C maiuscola, aveva onorato i valori umani e dell'Arma con assoluta abnegazione e quell'umiltà che è dei grandi. Il cedimento non l'aveva mai colto, neppure dinanzi alle minacce di capi camorristi alla sua famiglia, a me sua figlia maggiore, allora undicenne, dodicenne... malgrado l'inconfessato terrore vissuto nell'intimo, mai, e per la bambina di allora che, dall'oggi al domani, senza spiegazione, s'era trovata ad essere seguita o preceduta da due angeli custodi, ché tali erano ai suoi occhi i due carabinieri che a turno avevano preso ad accompagnare ogni suo passo, il coraggio di lui s'era fatto fonte di orgoglio, dignità, s'era fatto coraggio. 
Come avrebbe potuto la bambina di allora, poi donna adulta, non percepire quel giorno del 12 di novembre del 2003, ad un mese esatto dalla scomparsa terrena di un uomo che quando parlava dei "suoi" carabinieri faceva derivare quel "suoi" non dal loro essere sottoposti, bensì figli, come avrebbe potuto non percepire il trait-d'union tra i due avvenimenti, altro pensiero non avrebbe potuto formulare che: è lì ad accoglierli con amore, come li ha amati e protetti sempre, li ha preceduti di trenta giorni terreni, soltanto, un soffio lì dove ora sono insieme.
Quando i 12 carabinieri caduti a Nāṣiriya giunsero a Roma, con le altre vittime, al Vittoriano, fuori da esso, si era in tanti. Il tributo degli italiani silenziosi come non mai, composti come non mai nella piazza gremita, si fece ancor più toccante al passaggio del corteo funebre scandito dall'iniziale applauso, dai motori in sordina dei camion che ospitavano i caduti e dal picchiare sul selciato degli zoccoli dei cavalli dei Corazzieri che, a passo d'uomo, scortavano. E un forte senso patrio, ormai peregrino anche quando verbalmente citato, si fece presente come non mai. A rinfrancare il cuore. 
Marika Guerrini    
foto dal web

venerdì 6 novembre 2015

la tragedia dell'A321 e il sacrilegio di Charlie Hebdo


resti dell'A321 schiantatosi sul Sinai
... quando lo scorso gennaio si impose al mondo l'attentato a "Charlie Hebdo" e i riflettori si accesero sull'univocità delle folle e dei canali d'informazione al grido "Je suis Charlie" e "Siamo tutti Charlie",  fattisi simboli di difesa della libertà di stampa e di solidarietà con il giornale, confondendo la parola libertà con vilipendio, blasfemìa, sacrilegio etc.  e in molti casi menzogna, noi dichiarammo senza mezzi termini "No, jamais, je ne suis pas Charlie! " *.  Da allora Charlie Hebdo da giornale che viveva alla giornata quasi sull'orlo del fallimento, si è arricchito di milioni di euro ricevuti in donazioni da decine di aziende, istituzioni, persone comuni. Da allora, dopo l'ospitalità nella sede di Libération vive quasi in incognito in una sede-bunker costata 1milione e 500.000 euro. Da allora è passato da una tiratura di 60.000 copie precedenti l'attentato alle 300.000 di quest'anno, da 7.000 abbonamenti precedenti a 210.000, senza contare la tiratura di 8 milioni di copie del numero subito successivo al 7 gennaio, che riportava la vignetta di Maometto in lacrime. 
Pur ricco e famoso, ora, Charlie Hebdo non ha mai smesso di ragliare, al contrario, visto che  il mondo continua ad alimentare la vita della sua carta straccia ritenendola portavoce di libertà d'espressione,  l'ha fatto anche in questi giorni, ha ragliato, no, non su Maometto o sulla Trinità o soggetti del genere, ha ragliato sulla morte di 224 persone, ha ragliato sul frantumarsi del Metrojet Airbus A321 russo partito da Sharm el-Sheik per San Pietroburgo e spezzatosi in due a pochi minuti dal decollo. Ha ragliato sulla tragedia. Tragedia senza un perché, un come, non ancora, dato che la versione del micro-ordigno nella stiva o in qualche altro luogo a bordo, non  convince, né lo fa la rivendicazione dell'Isis, entrambi le versioni fanno troppo gioco a favore dell'Isis e a sfavore della Russia, troppi gli interessi in campo, chi è saggio attende, vaglia, pensa e... attende. Ma Charlie Hebdo non ha atteso e a tre giorni dal disastro ha pubblicato le vignette sacrileghe che per scelta noi non pubblichiamo: " Daesh: l'aviazione russa ha intensificato i suoi bombardamenti" questa la scritta sulla prima in cui viene raffigurato un jihadista dell'Isis che si protegge il capo mentre dall'alto cadono pezzi di aereo e persino un corpo, e: " I pericoli del low cost russo" dice la scritta sulla seconda vignetta la cui illustrazione riporta un teschio con occhiali da sole semi fusi dall'incendio dell'airbus disegnato sullo sfondo, mentre il fumetto dice: "Avrei dovuto prendere l'Air Cocaïne", in riferimento alla vicenda dei due piloti francesi di recente accusati di traffico di droga dalla Repubblica Domenicana alla Francia.
Quel che sconcerta, ma neanche tanto, è che su quest'ennesima azione indegna di qualsivoglia giornale e di qualsivoglia satira anche se caustica come in Charlie Hebdo, la nostra stampa non abbia preso posizione o quasi, si sia pronunciata solo riportando le parole di sacrosanto sdegno di molti russi tra cui Dmitrij Peskov, portavoce del Cremlino, Maria Zakharova, portavoce del Ministero Affari Esteri di Mosca, Aleksandr Romanovich, vice capo della Commissione della Duma per gli Affari Internazionali, Konstantin Kosaciov, presidente della Commissione Affari internazionali del Senato etc. Si potrebbe continuare a comprendere l'intera Unione Giornalisti della Russia il cui  segretario Timur Sharif si è così espresso riferendosi a Charlie Hebdo: " Lo staff della rivista ha oltrepassato la linea di confine che separa il giornalismo libero a la libertà di parola dalla volgarità, dal cinismo e dalla provocazione criminale", parole che sottoscriviamo pienamente e senza dubbio alcuno, così come sottoscriviamo le parole di Dimitrij Peskov con cui chiudiamo: "Nel nostro paese questo si chiama sacrilegio e non ha niente a che vedere con la democrazia o la libertà di espressione". Anche nel nostro ci piacerebbe dire, ma ci limitiamo al personale: anche per noi e qualcun altro, dato che il silenzio nel condannare i ragli di Charlie Hebdo nella nostra stampa si fa sentire.
Marika Guerrini

* http://occiriente.blogspot.it/2015/01/liberta-o-verita-no-je-ne-suis-pas.html