giovedì 18 settembre 2014

Europa Siria... esercizio bellico

... mentre l'occidente è catturato dalla sigla Isis o Isil, come dicono gli arabi, dalle immagini che incalzano in cui teste cadono al momento opportuno, riportando alle pagine di Lawrence d'Arabia, alle denunce di Kipling, agli orrori perpetrati nell'India coloniale britannica e fugando così ogni dubbio sulla loro origine e formazione, se mai dubbio ci sia stato, il reale pericolo continua ad animarsi  all'interno dei nostri confini in cui, in questo caso, includiamo la Siria a dispetto d'ogni geografia. La strategia è sempre la stessa, quella dal sapore stantio per gli avvezzi alle dinamiche un tempo anglo ora anglo-americane: deviare l'attenzione da quel che si vuole si consolidi in sordina o a mezza luce perché esploda quando il suo arrestarsi sia divenuto impossibile.
E allora noi riportiamo in asse il riflettore, qui, tra Europa e Siria, un'Europa imprigionata nei suoi stessi confini fisici dai presidi Nato lungo il suo perimetro e la Siria di Assad ma anche di Putin e della Cina e dell'Iran. Questo il collegamento. A noi europei basta uno sguardo d'insieme dall'alto per realizzare le sbarre, ai siriani, i pochi che ancora resistono agli attacchi dei "ribelli" alleati ed armati dall'occidente e ai bombardamenti Usa che come facciata usano l'Isis quale obiettivo, basta affacciarsi sulla loro stessa costa per scorgere gli schieramenti, per capire la realtà d'una guerra pronta ad esplodere. Così, mentre noi nella provincia ucraina di Leopoli vediamo carri armati tedeschi farsi testimoni dell'avvio alle esercitazioni  militari con 1200 soldati di ben 14 paesi, sotto la supervisione di Oleksandr Syvak, colonnello ucraino e il coordinamento Nato, cosa che sarà fino al 26 di questo stesso mese, mire e piano bellico permettendo, mentre, come da tradizione, pronunciamo il nome hollywoodiano della campagna: Rapid Trident 14 immaginando al comando un Tom Cruise di turno, lì, i siriani, sul loro mare vedono, a loro distruzione  la flotta americana e alleati vari, ma vedono anche a loro difesa cacciatorpedinieri, incrociatori lanciamissili, fregate, navi da sbarco con a bordo missili destinati alla Siria, navi da soccorso, da distanza, da ricognizione, corvette lanciamissili, motovedette, portaerei, incrociatori lanciamissili e sommergibili nucleari tutto  della grande madre Russia. E vedono unità navali cinesi con tanto di autorizzazione egiziana a navigare il Canale di Suez per affiancare la Russia, autorizzazione accordata immediata e di buon grado, cosa che dovrebbe far riflettere l'occidente europeo ché l'altro, accecato com'è da ignoranza e arroganza, di riflessione e pensiero non ha idea. Ed anche la flotta siriana vedono, con motocannoniere, corvette, unità da sbarco, pattugliatori eccetera, tutto un po' agé ma funzionante. L'Europa e la Siria vanno di pari passo, è tanto che lo diciamo, è tanto che le parole sono al vento. L'Isis o Isil a proposito di cui Ekrina Sabrì, capo della Commissione Islamica Suprema si è espresso: Chi sono questo Isil, da dove vengono... indossare un turbante nero non vuol dire essere islamici. Questo Isis  è la donna dello schermo dietro cui si cela quel che da anni ed anni è stato deciso, come ci risulta anche dalle pagine di " Vincere le guerre moderne" di Joint Chief e Wesley Clark, direttore di Strategia Politica l'uno, ex Comandante in capo della Nato in Europa, nonché ex generale pluridecorato con campagne dal Vietnam al Kosovo, l'altro. Ed è questo altro che in una pagina: "... nel novembre 2001, al Pentagono, ho avuto modo di fare una chiacchierata con uno degli ufficiali dello staff militare. Eravamo pronti ad andare contro l'Iraq qualche giorno dopo l'11 settembre, ha detto. Ma c'era di più. Oggetto di discussione era un piano di campagna quinquennale d'occupazione, con un totale di sette paesi a partire dall'Iraq, poi la Siria, poi il Libano, poi  Libia, Iran, Somalia e Sudan".      
La polvere del Ground Zero era ancora calda quando tutto era già pronto, deciso. Ma mai dubbio in noi ha sfiorato questa realtà.
I tempi si sono protratti, il quinquennio non è stato rispettato, incidenti di percorso, forze altrui non calcolate per questi signori della guerra da non confondere con quelli afghani che rispetto a questi sono mammole al vento. E sete di dominio in dismisura, esattamente ciò di cui accusano chi vogliono colpire o fingono di colpire. Come ora.
Così, mentre gli aerei bombardano la Siria, violando ogni diritto di Stato Sovrano, mentre l'incremento delle sanzioni piove sulla Russia e la Nato rifornisce di armi i combattenti dei filo-russi, dichiarazione del ministro ucraino agli Esteri, e Kiev firma un accordo con Washington per 34 milioni di dollari per lo sviluppo dell'economia ucraina, vendendo così un altro pezzo d'Europa all'oltre Atlantico, noi lasciamo all'ingenuità del popolo americano, tenuto sotto giogo, la sfilata dei cartelli su Washington di qualche giorno fa: " Stato islamico+raid Usa = più terrorismo" e lasciamo loro gli slogan urlati in aula Senato: " Gli americani non vogliono la guerra... gli Usa devono andarsene dall'Iraq e dalla Siria, fermateli". Fermateli. Lasciamo alla loro ingenuità che ci riporta ai tempi del Vietnam, quando non cartelli né slogan fermarono nulla, ma la sconfitta. Speriamo si ripeta se dovesse essere l'ultima spiaggia. 
Marika Guerrini
foto web

giovedì 11 settembre 2014

undici di settembre ancora

... stralci dal nostro "Rossoacero" per essere nel coro e fuori dal coro.
" ... Ore quindici, minuto più, meno... Un ristorante, qui, a Trastevere, l'esterno di esso... e tavoli rigorosamente vuoti... qualcuno poggia su quel tavolo una piccola radio portatile... sono lì, sto passando... Il volume è piuttosto alto. Rallento. Distinguo rumori, sirene. Una voce ansima, sovrasta i rumori, prova a farlo... Mi fermo.
New York colpita... Twin Towers... paura... ecco... Parole scollegate in un contesto sconosciuto.... Penso ad un racconto radiofonico. Di quelli che danno a volte sulla Rai. Sorrido. Cammino. La voce c'è di nuovo, continua nell'affanno. Retrocedo di qualche passo. Affanno, voce, rumori, sirene, troppo realistico. Tutto troppo. Sospetto. penso: reale.
Np. non è possibile. Ma ci credo. Subito.
L'atmosfera è ferma. Intorno silenzio... c'è un bar non distante... Vado verso il bar... un televisore acceso. Una delle Torri Gemelle di New York ha un aereo in un fianco, si vede la coda. Fumo nero fuoriesce dallo stesso fianco. L'immagine va a ripetizione. Fantocci volano dalle finestre. Sembrano corpi umani.
Mi guardo intorno. Immobile nella sua postazione, il barman ha un bicchiere vuoto in una mano. Nell'altra una fetta di limone all'estremità d'un coltello. Lo sguardo allo schermo.
Ho certezza delle immagini: sono reali, è una diretta. E' accaduto. Le parole dell'inviato neppure le sento... Una manciata di minuti, s'interrompe il replay, cambia il vociare, urla ancora in diretta, altra torre, altro aereo, altra facciata. Stessa dinamica. 
Ci guardiamo, il barman, le quattro o cinque persone, io. Nello scorrere dello sguardo scorgo due persone in più, alle mie spalle.... Sono americani, si vede, si sente dall'accento della lingua bisbigliata tra loro. Nessun altro parla né bisbiglia. nessuno si muove... Sguardi scorrono tra noi. Poi il crollo sul video in tempo reale. Le torri si sono afflosciate su se stesse. Hanno ceduto. 
Il simbolo economico d'occidente, della potenza, la modernità, della nostra civiltà è crollato su se stesso.
E la polvere. Bianca a imbiancare corpi umani vivi e morti. A imbiancare case, cose. E il rimbombo lontano come d'un tuono.
... E io non ho provato nulla. a quel crollo, quel vuoto, quel ground zero, come l'hanno chiamato, lo chiamano... Alcun pensiero che non fosse silenzio.
Poi sono uscita dal bar. Li ho lasciati lì, gli altri, ancora esterrefatti... i due americani erano andati via prima di me.
Era stato un film. Come fosse un film. Ancora un film. Di quelli visti, rivisti, sui disastri, le sciagure, le catastrofi. naturali o provocate, dagli uomini o dagli dei. Ce n'è una vasta gamma. Tutti hollywoodiani o di imitazione.
E tutti finiscono con gli eroi, l'inno nazionale... The day after. E la bandiera. E i protagonisti piangono, di dolore, di gioia, tra pacche sulle spalle e abbracci... E' la fiaba americana... 
... E quel giorno ho pianto l'assenza del dubbio in me. Ho pensato: andranno in Afghanistan. E ho visto. Quella gente. Ignara. lontana da quest'America che qui, ora, alla radio, sul video, stava piangendo... Lì bombe sarebbero state sganciate su chi non avrebbe saputo perché né dove fosse l'America...".
Marika Guerrini 
da M. Guerrini, Rossoacero, Citta del Sole, Reggio Calabria, 2013


martedì 9 settembre 2014

Afghanistan 1996-2014 la storia in una lettera

  ... riportiamo  qui la lettera integrale di Ahmad Shah Massoud agli Stati Uniti d'America perché la riteniamo ancora emblematica dell'attuale situazione internazionale.

"8 ottobre 1998- da Ahmad Shah Massoud Ministro della difesa stato Islamico dell'Afghanistan
per mezzo del
Comitato del senato degli Stati Uniti sugli Affari esteri
A riguardo degli eventi in Afghanistan
Nel nome di dio
Signor Presidente, onorati rappresentanti del popolo degli Stati Uniti d'America. vi mando oggi questo messaggio in nome della libertà e del pacifico popolo dell'Afghanistan, dei Mujaheddin che lottano per la libertà e che hanno combattuto e vinto il comunismo sovietico, degli uomini e delle donne che stanno ancora resistento all'oppressione e all'egemonia straniera e nel nome di più di un milione e mezzo di martiri afghani che hanno sacrificato le loro vite per aver sostenuto alcuni degli stessi valori e ideali ugualmente condivisi dagli Americani e dagli Afghani. Questo è un momento unico e cruciale nella storia dell'Afghanistan e in quella del mondo, un tempo in cui l'Afghanistan ha oltrepassato ancora un altro limite e sta entrando in un nuovo periodo di lotta e di resistenza per la propria sopravvivenza come nazione libera e stato indipendente.   
Ho trascorso gli ultimi venti anni, la maggior parte della mia giovinezza e maturità, insieme ai miei compatrioti, al servizio della nazione afghana, combattendo un'ardua battaglia per conservare la nostra libertà, l'indipendenza, il diritto all'autodeterminazione e la dignità. Gli Afghani hanno combattuto per dio e per la patria, a volte da soli, altre volte con il supporto della comunità internazionale. Contro tutte le aspettative noi, ossia i popoli liberi e gli Afghani, abbiamo arrestato e dato scacco matto all'espansionismo sovietico dieci anni fa. Ma il vigoroso popolo del mio paese non ha saputo conservare i frutti della vittoria. al contrario è stato spinto in un vortice di intrighi internazionali, inganni, strapotere dei grandi e lotte intestine. Il nostro paese e il nostro nobile popolo è stato brutalizzato, vittima di avidità mal riposta, disegni di egemonia e ignoranza. anche noi afghani abbiamo sbagliato. La nostra povertà è il risultato di innocenza politica, inesperienza, vulnerabilità, vittimismo, liti e personalità boriose. Ma in nessun caso questo giustifica ciò che alcuni dei nostri, così detti alleati nella Guerra Fredda, hanno fatto per minare proprio questa vittoria e scatenare i loro diabolici piani per distruggere e soggiogare l'Afghanistan. Oggi il mondo vede chiaramente i risultati di azioni così scellerate e malvagie. Il centro-sud dell'Asia è in tumulto. Alcuni paesi sono sull'orlo della guerra. Produzione illegale di droga, attività e piani terroristici stanno nascendo. Stanno avvenendo omicidi di massa etnici motivati religiosamente, migrazioni forzate e i basilari diritti degli uomini e delle donne, vengono impunemente violati.
Il paese è stato gradatamente occupato da fanatici, estremisti, terroristi, mercenari, trafficanti di droga e assassini professionisti. Una fazione, i Taliban (che non rappresentano in alcun modo l'Islam, né l'Afghanistan, né il nostro patrimonio culturale antico di secoli), ha inasprito questa situazione esplosiva, con la diretta assistenza straniera. Non cercano né desiderano discutere né vogliono raggiungere un accordo con nessuna delle altre fazioni afghane. Sfortunatamente questi oscuri avvenimenti non si sarebbero potuti verificare senza il diretto supporto di circoli governativi e non governativi del Pakistan. i nostri servizi segreti ci indicano che, oltre a ricevere appoggio e logistica militare, carburante e armi, incluso personale paramilitare e consiglieri militari, 28mila pakistani fanno parte delle forze di occupazione in varie parti dell'Afghanistan, al momento deteniamo più di 500 pakistani, che fanno parte del personale militare, nei nostri campi POW.
Tre grandi preoccupazioni: terrorismo, droga e diritti umani, nascono dalle aree conquistate dai taliban, ma sono istigate dal Pakistan, andando così a formare gli angoli interconnessi di un triangolo di crudeltà. Per molti Afghani, senza distinzione di etnia o religione, l'Afghanistan è un paese di nuovo occupato. Permettetemi di correggere alcune notizie fallaci che vengono diffuse dai seguaci dei Taliban e dai loro sostenitori in tutto il mondo. Anche nel caso di controllo dei Taliban nel breve e nel lungo termine, questa situazione non sarà favorevole a nessuno. Non porterà stabilità né pace né propsperità nella regione. Il popolo dell'Afghanistan non accetterà un regime così repressivo. Le varie regioni non si sentiranno più sicure, né al riparo. La resistenza non si fermerà in Afghanistan, prenderà dimensione internazionale passando per tutte le etnie afghane e per tutti gli stati sociali. L'obiettivo è chiaro. Gli Afghani vogliono riguadagnare il loro diritto all'autodeterminazione, attraverso un meccanismo democratico o tradizionale accettato dal nostro popolo. Nessun gruppo, fazione o individuo ha il diritto di dettare o imporre il proprio volere con la forza o procurare che siano altri a farlo. Ma innanzi tutto devono essere superati gli ostacoli, la guerra deve finire, solo dopo aver stabilizzata la pace e creato un governo di transizione ci potremo muovere verso un governo rappresentativo.
Vogliamo puntare a questo nobile obiettivo. Lo consideriamo come parte del nostro dovere, dovere di difendere l'umanità dal flagello dell'intolleranza, dal fanatismo e dalla violenza. Ma la comunità internazionale e le democrazie del mondo non dovrebbero perdere tempo, dovrebbero invece cercare, grazie al loro ruolo critico, di aiutare in ogni modo il valoroso popolo dell'Afghanistan a superare le difficoltà che vi sono verso la libertà, la pace, la stabilità e la prosperità. Dovrebbe essere esercitata grande pressione su quei paesi che si oppongono alle aspirazioni del popolo afghano. Vi esorto ad intraprendere discussioni costruttive e sostanziali con i vostri rappresentanti e con tutti gli Afghani che possono e vogliono far parte di un ampio consenso per la pace e la libertà dell'Afghanistan.
Con tutto il dovuto rispetto e i miei più sentiti auguri per il governo e il popolo degli Stati Uniti. 
Ahmad Shah Massoud"

Massoud attese invano una risposta che non giunse. Tutto gli risultò sempre più chiaro. Gli Usa continuarono a rifornire di armi non solo i mujaheddin ma molto più il Pakistan, a favorire qui i gruppi fondamentalisti, molti stranieri, attraverso i servizi segreti americani e pakistani. I Taliban, quello stesso anno, presero il controllo di Kabul.  La storia andò come andò. Massoud  a Strasburgo nel 2000: " Come potete non capire che se io lotto per fermare l'integralismo talebano lotto anche per voi e per l'avvenire di tutti". Molti lo derisero. Ma tutto questo l'abbiamo già detto in altre pagine. Ora lo ricordiamo.
Fu assassinato in un attentato compiuto da falsi giornalisti  macrebini suicidi due giorni prima delle Twin Towers. 
Era il 9 di settembre del 2001, a Khavajeh Baha od Din, nord dell'Afghanistan. Gli elicotteri non potevano decollare. C'era tanta polvere quel giorno. Ma anche questo è ricordo.
Marika Guerrini  
foto di copertina,  M. Guerrini "Massoud l'afghano il tulipano dell'Hindukush" Roma 2005



sabato 6 settembre 2014

promemoria d'una guerra di menzogna e malìa

... è qualcosa di più che il sonno delle coscienze, è una sorta di malìa che perfetta si sposa a quest'estate non estate trascorsa nel desiderio d'un tepore arso, senz'acqua, sì da poter liberare i pensieri, lasciarli andare per vie diverse che non siano quelle tracciate dalla storia di questi nostri giorni. Una sorta di malìa che fluttua nell'aria a spegnere le menti, far percorrere immagini obbligate, ripetere parole consumate. Le stesse, sempre le stesse, tutto sempre lo stesso. In verità non c'è nulla che ci interessi, non più, non a questo punto, di tutto quel che accade in relazione alla guerra frammentata che stiamo attraversando, nulla che ci interessi di questa guerra mai dichiarata nel suo insieme né nei frammenti, ideata da tempo, esplosa lontano, apparentemente lontano. E da tempo noi la seguiamo, da che, insospettata e insospettabile, invisibile, procurò la fine della potenza allora emergente nel cuore dell'Asia, la fine della sua espansione, la fine dell'Impero di Reza Pahlavi, lo Shah. Così da non incontrare ostacoli sulla via della futura regionale conquista. E da allora abbiamo visto serpeggiare ciò che al tempo era futuro, tracciato su volantini che passavano di mano in mano  nei corridoi e negli spazi esterni alle sedi universitarie, ora era Teheràn ora Mashàd. E l'abbiamo vista entrare ad Héràt e a Kabul l'abbiamo vista. E ancor più sfacciata l'abbiamo vista nella fine di quella sua sorella detta "fredda", molto molto di più l'abbiamo vista proprio lì dove s'era fatto credere che le tensioni fossero finite, crollate con il muro, a Berlino. No, serpeggiava in altra forma, libera ormai d'ampliare i suoi confini. E s'è affacciata nel Golfo, nelle armi procurate a Saddam Hussayn, in tutte quelle procurate a tutti i capi di Stato che sarebbero stati accusati, poi, dall'Asia all'Africa. Finché il volto non s'è mostrato dietro la maschera delle Twin Towers. E il bubbone di questa guerra bugiarda ha preso a frammentarsi e il nostro Afghanistan ha subìto tutte le sue menzogne, le sue torture, le sue atrocità, le sue malattie, la sua povertà, la sua distruzione fisica e morale, il proliferare di tutte quelle cellule del "terrore" che si sarebbero dovute spegnere, ma la cui proliferazione serviva e avrebbe servito questa guerra, sì che lo schiavo il suo padrone. E lo schiavo va alimentato perché possa servire il padrone, va addestrato, ammaestrato, armato perché possa attaccare sì che possa essere attaccato, distruggere sì che possa essere distrutto, accusare sì che possa essere accusato e più sono atroci le sue atrocità più il terrore ha motivo d'essere, più dilaga la paura. E più dilaga la paura più l'uomo si indebolisce, e la malìa dilaga con la paura che prende corpo sempre più, offende sempre più, lo sguardo, il cuore, l'animo, e l'uomo s'indebolisce sempre più e s'addormenta sempre più e si corrompe sempre più ed è manovrabile sempre più. E' questo il potere della malìa che avvolge questa guerra in quest'estate senza estate. 
Dalle pendici delle vette più alte del mondo, lì dove la terra scompare per unirsi al cielo, nel fragore delle vili armi velenose il bubbone s'è frammentato verso l'Iraq, verso il nord Africa con le false Primavere, verso la Siria, a sgretolare l'antica storia, quella delle origini, al suo passaggio, la Siria che si è vista rifiutare la collaborazione per liberare la propria terra dopo che chi ora la bombarda per "liberarla" dal terrore, ha armato, arma e controlla il terrore. Non v'è stata sovranità di alcuno Stato che abbia potuto fermare questa guerra, nulla, questa guerra  ha bisogno di Stati vassalli e di schiavi per essere ed agire. Ogni qualvolta qualcuno abbia provato a farlo è stato smentito, a torto o a procurata ragione, addizionata, moltiplicata, demonizzata. Oppure ha visto annientare il proprio popolo con l'uso di infiltrati, mercenari, assassini, o, accusato, è stato assassinato o fatto assassinare da schiavi. La guerra della liberazione, la chiamano, della protezione dai tiranni, la guerra della democrazia. Così la chiamano. Noi, come Platone, abbiamo un'altra idea di democrazia, e sappiamo di ripeterci. Ora, come volevasi dimostrare, questa guerra è qui ad abbracciare con la sua "sicurezza" l'Europa. Un'Europa, quella in qualche modo con un qualche valore, un'Europa che non vorrebbe essere abbracciata, ma non ha coraggio e lascia che l'abbraccio l'avvinghi, s'espanda con la sua morsa. Sempre più. Lascia che si attenti, circondandolo, ad un altro Stato sovrano, la Russia, accusato della stessa accusa nei confronti dell'Ucraina, lascia che in merito si diffondano un cumulo di menzogne smentite persino da agenti del Veteran Intelligence Professional for Sanity, in una lettera aperta alla Merkel, un'Europa che lascia sia la sovranità di questa guerra a regnare sulla sua "libertà". Eppure nulla ci dovrebbe interessare di questa guerra che siano accordi, disaccordi, vertici d'ogni tipo, non cambiando la matrice, come in un'equazione matematica, il risultato non può cambiare. Gli accordi di oggi saranno fatti tradire domani, i plausi di oggi saranno fatti zittire domani, qualunque sia il volere dei diretti interessati, qualcosa sarà provocato perché si spezzino o volgano comunque a favore degli interessi di questa guerra.
Da nulla dovremmo farci sfiorare, non più, non ci dovrebbe interessare neppure il parere della gente sulle nostre parole, i nostri intenti, il parere della gente dormiente,  ammaliata, sognante, incosciente, che sia per incapacità, assenza di obiettività o scelta d'inconsapevolezza per non vivere un incubo. 
Ma ora ci fermiamo qui. Era solo un promemoria che volevamo tracciare, un promemoria di superficie, mantenendo ben salda l'unica cosa che ci interessa di questa guerra intrisa, traboccante di menzogna persino nelle immagini dei più crudi orrori, l'unica cosa che vogliamo ci tocchi: il sacrificio di migliaia e migliaia di vittime innocenti e i bambini quelli morti e quelli vivi e il dolore di questo. Questo immenso dolore. E' l'unica cosa che vogliamo ci tocchi. Che vogliamo ci interessi. Che vogliamo custodire.
Marika Guerrini