sabato 6 settembre 2014

promemoria d'una guerra di menzogna e malìa

... è qualcosa di più che il sonno delle coscienze, è una sorta di malìa che perfetta si sposa a quest'estate non estate trascorsa nel desiderio d'un tepore arso, senz'acqua, sì da poter liberare i pensieri, lasciarli andare per vie diverse che non siano quelle tracciate dalla storia di questi nostri giorni. Una sorta di malìa che fluttua nell'aria a spegnere le menti, far percorrere immagini obbligate, ripetere parole consumate. Le stesse, sempre le stesse, tutto sempre lo stesso. In verità non c'è nulla che ci interessi, non più, non a questo punto, di tutto quel che accade in relazione alla guerra frammentata che stiamo attraversando, nulla che ci interessi di questa guerra mai dichiarata nel suo insieme né nei frammenti, ideata da tempo, esplosa lontano, apparentemente lontano. E da tempo noi la seguiamo, da che, insospettata e insospettabile, invisibile, procurò la fine della potenza allora emergente nel cuore dell'Asia, la fine della sua espansione, la fine dell'Impero di Reza Pahlavi, lo Shah. Così da non incontrare ostacoli sulla via della futura regionale conquista. E da allora abbiamo visto serpeggiare ciò che al tempo era futuro, tracciato su volantini che passavano di mano in mano  nei corridoi e negli spazi esterni alle sedi universitarie, ora era Teheràn ora Mashàd. E l'abbiamo vista entrare ad Héràt e a Kabul l'abbiamo vista. E ancor più sfacciata l'abbiamo vista nella fine di quella sua sorella detta "fredda", molto molto di più l'abbiamo vista proprio lì dove s'era fatto credere che le tensioni fossero finite, crollate con il muro, a Berlino. No, serpeggiava in altra forma, libera ormai d'ampliare i suoi confini. E s'è affacciata nel Golfo, nelle armi procurate a Saddam Hussayn, in tutte quelle procurate a tutti i capi di Stato che sarebbero stati accusati, poi, dall'Asia all'Africa. Finché il volto non s'è mostrato dietro la maschera delle Twin Towers. E il bubbone di questa guerra bugiarda ha preso a frammentarsi e il nostro Afghanistan ha subìto tutte le sue menzogne, le sue torture, le sue atrocità, le sue malattie, la sua povertà, la sua distruzione fisica e morale, il proliferare di tutte quelle cellule del "terrore" che si sarebbero dovute spegnere, ma la cui proliferazione serviva e avrebbe servito questa guerra, sì che lo schiavo il suo padrone. E lo schiavo va alimentato perché possa servire il padrone, va addestrato, ammaestrato, armato perché possa attaccare sì che possa essere attaccato, distruggere sì che possa essere distrutto, accusare sì che possa essere accusato e più sono atroci le sue atrocità più il terrore ha motivo d'essere, più dilaga la paura. E più dilaga la paura più l'uomo si indebolisce, e la malìa dilaga con la paura che prende corpo sempre più, offende sempre più, lo sguardo, il cuore, l'animo, e l'uomo s'indebolisce sempre più e s'addormenta sempre più e si corrompe sempre più ed è manovrabile sempre più. E' questo il potere della malìa che avvolge questa guerra in quest'estate senza estate. 
Dalle pendici delle vette più alte del mondo, lì dove la terra scompare per unirsi al cielo, nel fragore delle vili armi velenose il bubbone s'è frammentato verso l'Iraq, verso il nord Africa con le false Primavere, verso la Siria, a sgretolare l'antica storia, quella delle origini, al suo passaggio, la Siria che si è vista rifiutare la collaborazione per liberare la propria terra dopo che chi ora la bombarda per "liberarla" dal terrore, ha armato, arma e controlla il terrore. Non v'è stata sovranità di alcuno Stato che abbia potuto fermare questa guerra, nulla, questa guerra  ha bisogno di Stati vassalli e di schiavi per essere ed agire. Ogni qualvolta qualcuno abbia provato a farlo è stato smentito, a torto o a procurata ragione, addizionata, moltiplicata, demonizzata. Oppure ha visto annientare il proprio popolo con l'uso di infiltrati, mercenari, assassini, o, accusato, è stato assassinato o fatto assassinare da schiavi. La guerra della liberazione, la chiamano, della protezione dai tiranni, la guerra della democrazia. Così la chiamano. Noi, come Platone, abbiamo un'altra idea di democrazia, e sappiamo di ripeterci. Ora, come volevasi dimostrare, questa guerra è qui ad abbracciare con la sua "sicurezza" l'Europa. Un'Europa, quella in qualche modo con un qualche valore, un'Europa che non vorrebbe essere abbracciata, ma non ha coraggio e lascia che l'abbraccio l'avvinghi, s'espanda con la sua morsa. Sempre più. Lascia che si attenti, circondandolo, ad un altro Stato sovrano, la Russia, accusato della stessa accusa nei confronti dell'Ucraina, lascia che in merito si diffondano un cumulo di menzogne smentite persino da agenti del Veteran Intelligence Professional for Sanity, in una lettera aperta alla Merkel, un'Europa che lascia sia la sovranità di questa guerra a regnare sulla sua "libertà". Eppure nulla ci dovrebbe interessare di questa guerra che siano accordi, disaccordi, vertici d'ogni tipo, non cambiando la matrice, come in un'equazione matematica, il risultato non può cambiare. Gli accordi di oggi saranno fatti tradire domani, i plausi di oggi saranno fatti zittire domani, qualunque sia il volere dei diretti interessati, qualcosa sarà provocato perché si spezzino o volgano comunque a favore degli interessi di questa guerra.
Da nulla dovremmo farci sfiorare, non più, non ci dovrebbe interessare neppure il parere della gente sulle nostre parole, i nostri intenti, il parere della gente dormiente,  ammaliata, sognante, incosciente, che sia per incapacità, assenza di obiettività o scelta d'inconsapevolezza per non vivere un incubo. 
Ma ora ci fermiamo qui. Era solo un promemoria che volevamo tracciare, un promemoria di superficie, mantenendo ben salda l'unica cosa che ci interessa di questa guerra intrisa, traboccante di menzogna persino nelle immagini dei più crudi orrori, l'unica cosa che vogliamo ci tocchi: il sacrificio di migliaia e migliaia di vittime innocenti e i bambini quelli morti e quelli vivi e il dolore di questo. Questo immenso dolore. E' l'unica cosa che vogliamo ci tocchi. Che vogliamo ci interessi. Che vogliamo custodire.
Marika Guerrini

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