mercoledì 24 giugno 2015

Kabul: Ramadan anno 1436 Hijri / 2015 d.C.

... la luna nel suo avvicinamento alla terra visibile dopo il tramonto dello scorso martedì 16, alle ore 17:05 di Makkah, e con la sua piena visibilità la notte del giorno successivo, ha aperto il mese del Ramadan, il mese "benedetto" per i paesi che vanno dall'Africa alla maggior parte dell'Asia, dall'America del Nord a quella latina. Il mese del digiuno, della costrizione, del raccoglimento,  dell'osservanza ancor più stretta di tutte quelle norme religiose che fanno di un musulmano un buon musulmano: 
" Aggrappatevi tutti insieme alla corda di Allah, non dividetevi tra voi, ricordate la grazia che Allah vi ha concesso: quando eravate nemici è Lui che ha riconciliato i vostri cuori e per grazia Sua siete diventati fratelli. E quando eravate sul ciglio di un abisso di fuoco, è Lui che vi ha salvati", così dal Corano (III, 103). Il mese di ramadan, il mese che invita tutti i credenti nella fede alla fratellanza, il mese della preghiera, di aiuto agli oppressi, ai deboli, agli emarginati, il mese della vittoria su se stessi. Ché questo è il Ramadan per un musulmano.
E nel mese di questo Ramadan, come già accaduto negli scorsi Ramadan di primavera da che gli "estremisti islamici", che l'occidente nella sua cronica ignoranza continua a chiamare islamisti come fossero studiosi di scienze islamiche, da che hanno preso ad agire e reagire secondo quel che, sempre l'occidente chiama "offensiva di primavera", dalla primavera del 2002, dopo l'ombra del nefasto settembre 2001, sempre in questi mesi le azioni si fanno più violente, cruente, in assoluta opposizione con quel che richiede l'osservanza della parola "benedetta", malgrado proprio i militanti estremisti, in quanto tali, dovrebbero essere radicali osservanti della Fede, protettori della stessa nel mondo. E noi abbiamo esaurito parole e  pensieri nel sottolineare, a questo stesso mondo, che nulla hanno a che vedere, ora, nei nostri tempi, queste bande armate, qualunque sia il nome di cui si fregino o che mostrino da anni più o meno recenti, con la questione Fede religiosa, a meno che non venga estremizzata per essere manipolata. Ma nulla serve a nulla, così si continua a sottolineare, tra i media d'occidente, la "recrudescenza di primavera" e bla bla bla, a proposito degli episodi fattisi stagionali come una semina o un raccolto sempre all'interno del Ramadan quale supposta risposta "all'infedele" o punizione perché ritenuto tale o traditore.
Così due giorni fa a Kabul, l'attentatore suicida, il commando, le bombe che scuotono il Parlamento, i tre morti, i trentuno feriti, la fuga di giornalisti, parlamentari, impiegati, la sicurezza che interviene, la diretta TV. Così ieri, notizia non riportata dai nostri media, il distretto di Baghlan-i-Markazi, provincia di Baghlan a nord di Kabul e i terribili scontri tra i Taliban e forze di sicurezza con, a detta di Jawhar Khan Baburi governatore locale, l'uccisione di cinque militanti taliban. Così, stamattina, sempre notizia non riportata, il distretto di Kisham nella provincia di Badakhshan, a nord-est di Kabul e il ferimento di Abdul Jabar Mosadiq, governatore distrettuale, ora in pericolo di vita, in un attentato suicida o esplosione di bomba, in questo caso senza alcuna rivendicazione, alcuna firma. Così le operazioni più o meno militari che hanno ucciso 37 militanti, così l'Afghan National Security che uccide decine di persone in un'azione di sequestro di ordigni esplosivi, armi e munizioni d'ogni tipo, tutto, senza tregua e in barba ad ogni osservanza coranica che categoricamente vieta di insanguinare il mese di Ramadan, in questo caso, del 1436 dell'Egira.
E mentre le strade afghane si insanguinano di combattimenti tra fratelli di fede per di più, prevalentemente, appartenenti ad una stessa etnia, la Pashtun, la Casa Bianca, frutto di Secessione fratricida, anziché riflettere, termine quanto mai arbitrario, sul proprio razzismo in atto e tutto quel che segue e sappiamo, trova il tempo di plaudire alle forze di sicurezza afghane che in meno di un'ora sono state in grado di rispondere all'attacco terroristico al Parlamento di Kabul. Accanto a tutto questo, nell'attuale scenario, entra a far parte anche un C-130, atterrato all'Hamid Karzai Airport, Kabul, a consolidare sempre più il partenariato con gli Usa, partenariato con chi li ha ridotti in questo stato di distruzione e morte, ma questa è routine a cui siamo assuefatti, così come il C-130 non è il primo C-130 ad essere giunto lì, è  il quarto, il primo giunse a Kabul nel 2010, altri due nel 2013, ora questo che dovrebbe essere l'ultimo a completare la flotta.
"Momento di grande importanza strategica", così è stato definito il completarsi della flotta dal colonnello Tyler Faulk, vice direttore del Security Assistance Office Transition, di comando in Afghanistan e ancora: " Questa flotta permette di trasportare rifornimenti e truppe in Afghanistan, e alle nazioni partner di eseguire missioni, corsi di formazione, esercitazioni, tutta una serie di attività internazionali", se qualcuno avesse ancora dubbi sulla permanenza americana senza limite in Afghanistan, che non è più un paese ma una base Usa.
A Faulk fa eco Muhammad Azimy, capitano dell'Air Force afghana nonché pilota del C-130 addestrato, come tutto il personale addetto ai C-130, dai piloti ai meccanici eccetera, negli Stati Uniti: " L'Afghanistan ha bisogno di svolgere più missioni, con la flotta di C-130, tutto quello che con gli elicotteri si faceva in più giorni, come lo spostamento veloce di truppe da un punto all'altro e rientro, ora sarà possibile in poche ore". 
Strana sensazione, tutto questo, per chi conosce, o forse conosceva, quella gente, per uno storico ancor più strana. Non si riesce a capire chi ci si trovi davanti, a chi ci si riferisca, di chi si stia parlando e chi stia parlando, non si riesce a distinguere se siano afghani o marionette di. Eppure altro ci risulta, ancora, oggi, ora, ci risultano intenzioni di libertà, ad esempio, nazionalismo, indipendenza, desiderio di emancipazione che sia nazionale, senza intrusioni esterne. E questo non per estremismi di fede o fac- simili, ma per consapevolezza di identità nazionale, patriottismo potremmo anche chiamarlo. E ci risulta provenire da forze giovani, di istruzione alta, di emancipazione alta, come in una nostra pagina di qualche mese fa abbiamo accennato a proposito del Partito Nazionale Afghanistan Unito, ma questo non si dice e forse neppure lo si sa, così come non si sottolinea la discrepanza, l'incoerenza tra le violenze compiute nel mese di Ramadan all'interno del circuito musulmano, per di più da studenti coranici che dovrebbero essere ligi all'osservanza delle parole coraniche riportate all'inizio di questa pagina, e il Ramadan tutto, i suoi contenuti. E interrogandoci sulla "recrudescenza di primavera" o "offensiva" come la si voglia chiamare, di cui sopra, proprio in concomitanza con il Ramadan, ci si chiede come sia possibile non rendersi conto che la logica usata nelle motivazioni di tutto questo è una logica occidentale, appartiene al pensiero razionale tipico d'occidente. Come avesse un marchio.
Ma forse la capacità di distinzione del pensiero, della sua logica, tra l'occidentale e l'orientale, è chiedere troppo, prevede una conoscenza del proprio pensiero, innanzi tutto, una consapevolezza che non risulta essere cosa comune tra noi, o almeno tra i più di noi, e richiede una conoscenza di quelle culture, che sono essenzialmente diverse dalla nostra, non arretrate, diverse con modi, storia, tempi diversi. 
Così continuiamo a muoverci, a riportare, a interpretare esclusivamente secondo noi stessi,  ma è un vizio antico di millenni tranne periodiche e singolari, pur se numerose, eccezioni, in tal guisa a credere alle innumerevoli fandonie che ci vengono propinate o che supponiamo di vedere o di capire, che poi si fanno opinione, a volte certezza, mentre continuiamo a non andare oltre il nostro stesso naso, per usare un'espressione gergale. 
Ma chiudiamo questa pagina con augurale rispetto verso questo mese del Ramadan ricordando anche tutti quei musulmani che giungono sulle nostre coste, in questo nostro mondo, anche dall'Afghanistan, che siano accolti, rifiutati o che, in fondo al mare, non giungeranno mai: 
Possa la Benedizione di Allah risplendere su di voi! 
Marika Guerrini  

domenica 14 giugno 2015

Usa Russia Europa: aggiornamento di un'analisi banale e complessa

...  all'accordo di Minsk, quello scaduto il 19 settembre del 2014, avevamo creduto, in un primo tempo ma avevamo creduto, il secondo accordo partito alla mezzanotte del 15 febbraio 2015, se non ci fosse ricordato, non lo ricorderemmo e non ci crediamo. 
I presupposti per un secondo fallimento ci sono tutti e tutti gli stessi del primo round, così, quando al G7 abbiamo sentito Obama affermare: "Putin sta portando il suo paese alla rovina nello sforzo di creare i fasti dell'impero sovietico", " Putin sta scegliendo di mandare in pezzi l'economia russa" e via dicendo per arrivare a: "La Russia sta ancora violando gli accordi sull'Ucraina e se sarà necessario inaspriremo le sanzioni" seguito, a questo punto, dalla Merkel e dal fanalino di coda Renzi, tutto  per noi è rimasto nella normalità, alcuna nuova. Ma poiché le cose dette e ridette si dimenticano per assuefazione all'idea o per noia, ripercorriamo in un arco i fatti.
Le autorità ucraine non hanno mai rispettato i punti dell'accordo, questo però non ci deve meravigliare, dato che il motivo d'esistere dell'attuale Governo ucraino, la sua formazione in seguito al colpo di Stato appoggiato dagli americani, ha avuto ed ha l'obiettivo di destabilizzare la Russia, quindi il Governo ucraino farà sempre sì che Minsk non venga rispettato, perseguirà sempre una strategia atta a provocare l'azione o la reazione dei separatisti, che sono tali a prescindere dalla presenza russa, checché affermino alcuni media italiani ed europei.  Questa dinamica di fatti è cosa che tutti conoscono, è il classico mercato di Pulcinella in cui il segreto passa di bocca in bocca, ma, continuiamo. Perché la faccenda risulti ancor più chiara, portiamo l'attenzione su di un'unica voce dell'accordo di Minsk, la quarta delle tredici presenti, voce focale da cui si diramano tutti i punti, siano essi amministrativi economici, politici e o militari: "Modalità temporanea dell'amministrazione locale nelle repubbliche di Donesk e di Lugansk", questa la voce. Il suo perché è nel Diritto all'autodeterminazione delle repubbliche di Donesk e Lugansk, con le rispettive sfaccettature: 
1) autodeterminazione linguistica, non dimentichiamo che l'80% dei cittadini in queste due repubbliche è russofona come in Crimea, quindi questione di identità storica;       
 2) autonomia nello sviluppo economico, sociale e culturale; 
3) libertà di collaborazione con le regioni russe; 
4) Istituzione di una milizia nazionale in accordo con il governo centrale;
5) abolizione di sanzioni, discriminazioni e persecuzione delle persone coinvolte negli 
attuali eventi, ovvero i separatisti.
Non a caso questa è stata una voce ballerina, approvata inizialmente da Poroshenko poi da lui ritirata perché: "i ribelli non hanno rispettato le condizioni", per essere sempre da Poroshenko riproposta con clausola, ovviamente la stessa: rispetto di Minsk.
A questo teatrino se ne aggiungono altri come il su citato G7 di Elmau, ma sappiamo benissimo, esperienza insegna, quanto questo teatrino altro non sia che il ripetersi di precedenti in altro loco, dalle false Primavere Arabe a  Saddam Hussain a Mohammar Gheddafi, alla destabilizzazione dell'Egitto e aree limitrofe, all'attuale azione sulla e nella Siria di al-Assad, dal permesso di aggregazione e armamento dell'Isis, all'azione sull'Iran,  benché qui si agisca con circospezione perché gli Usa non capiscono l'Iran, lo temono da che provocarono la caduta del sovrano Reza Pahlavi e l'avvento degli Ayatollah, ma di questo parleremo in altra pagina, in sintesi il calderone è sempre lo stesso, i motivi egemonici sono sempre gli stessi, e in questo calderone tra le cui conseguenze è da annoverarsi anche l'incubo della folla migratoria, da tempo si vorrebbe far entrare la Russia, anima orientale d'Europa, azzoppando a ruota anche il Brics, con esso le numerose intese in vari campi, compreso il militare, tra Russia e paesi che lo compongono. 

Che gli Usa siano in caduta libera e in quanto tali ancor più pericolosi, non v'è dubbio. Fino a quando la Russia di Putin potrà arginare il riscaldarsi di una guerra, quel che in fin dei conti sta facendo mentre gli Usa,  escludendo le sequenze storico-antropologiche di cui sono incapaci, hanno sbagliato il conto, non lo sappiamo, quel che sappiamo è che gli Usa con il colpo di Stato ucraino e i seguenti fatti, attribuendo all'antagonista la responsabilità, credevano d'aver provocato l'incidente storico debellante la Russia, ma la cosa non sta funzionando, ecco perché oggi l'attualità potrebbe farsi incandescente, per i colpi di coda di un drago alla fine della sua supremazia, forse. Non a caso mentre si accusano i separatisti di mancata osservanza di Minsk, si accusa la Russia di ingerenza eccetera eccetera, la Nato, strumento egemonico statunitense catapulta altri 3.000 uomini nei paesi dell'Europa dell'est e Philip Hammond, Ministro degli Esteri del Regno Unito, riprendendo un'idea del Pentagono vecchia di decenni che prevede la distribuzione di un numero di armi nucleari sul suolo britannico, riferendosi a questo e alla richiesta, specifica: " Per mandare un chiaro segnale alla Russia che non permetteremo loro di trasgredire le nostre linee rosse", testuali parole. Che poi nella storia e nella contemporaneità loro altro non abbiano fatto e sappiano fare che trasgredire le linee rosse altrui così come le Sovranità di Stato, questo, ovviamente, non ha alcuna importanza.
Ma quel che continua a porsi in noi come interrogativo, è la posizione della Merkel, ivi inclusa la faccenda greca, come prendere i suoi interventi  in apparenza volti all'europicidio, come un effettivo desiderio di distruzione dell'Europa, condividendo il celato, e neanche tanto, desiderio americano di impedire i fantomatici Stati Uniti d'Europa che da noi stessi, ancor prima che ci venga impedito, siamo incapaci di formare, o, come si spererebbe, quella del cancelliere tedesco è davvero un'azione machiavellica data l'economia europea dipendente da oltreoceano, vedi l'ex banchiere Draghi, e  l'infestazione di basi Nato di cui  soffriamo molto più che della recente scabia importata? Certo, l'affermazione della Merkel al G7 circa l'attuazione del Ttip, acronimo di Transatlantic Trade and Investment Partnership, vale a dire Partenariato Transatlantico per il commercio e gli investimenti, ci preoccupa non poco, sarebbe per l'Europa un vero cavallo di Troia, tanto per ricordare Grecia e Turchia, l'Europa perderebbe ancor più ogni autonomia in ogni ambito, persino nelle regole sanitarie e fitosanitarie, in quelle alimentari, degli appalti pubblici, eccetera eccetera, sarebbe la rovina che farebbe saltare ogni garanzia a tutela di ogni diritto dei consumatori con un aumento esponenziale di potere delle multinazionali, i cui unici diritti  contemplati sono quelli economici, di perforazioni e minerari, perché i diritti di uomini e natura, vegetale o animale che sia, non sanno cosa farne se non ad uso e consumo di quellii di cui sopra, unici che conoscono ed applicano. Ma anche questo è un segreto di Pulcinella mentre l'Europa si allontana sempre più dai valori dei suoi fondatori tra cui quello dell'indipendenza, nella sua guida, da intromissioni ad essa esterne. Ora, questo, ripetiamo, è machiavellismo a tener buono l'avversario-alleato o pura completa follia? E se così, cos'è questo soggiacere alla follia? E gli altri dove sono? Noi dove siamo? 
Non sarà che le sanzioni alla Russia sono in realtà sanzioni all'Europa?
Marika Guerrini


lunedì 1 giugno 2015

Australia: fuori da ogni Diritto Umano

... poiché la Storia lascia la propria impronta a prescindere dai corsi e dai ricorsi e con lo scorrere del tempo nel tempo fa sì che l'impronta si manifesti, si distingua e distingua i paesi, i popoli, non ci ha meravigliato lo scorso anno il "No Wai" pronunciato dal Generale Campbell, Comandante dell'Operazione "Sovereign borders", circa l'immigrazione clandestina in Australia. Né ci ha meravigliato il suo " You will not make Australia home" che nega ogni speranza di futuro a chi non ha null'altro che questo. E non ci ha meravigliato neppure il  presente suggerimento all'Europa dato da Andrew James Molan, ideatore del "Sovereign borders", che,  in accordo con il Primo Ministro Tony Abbott, si è espresso: " Se l'Europa vuole invertire questo status quo mortifero e disastroso, ritengo sarebbe bene studiare la lezione australiana" e ancora: " abbiamo salvato migliaia di vite umane e dato scacco matto agli scafisti trafficanti di uomini". Le parole indurrebbero ad un: che bravi, se non fosse per la realtà australiana sull'immigrazione non solo clandestina, realtà da sempre regolata secondo una mentalità di restrizione, schiavismo e razzismo che cozzano con  il favoleggiare su quella terra quale Paese "aperto a tutti" mentre è ben lungi dall'esserlo. Che l'Australia si erga ad esempio comportamentale, che si proponga  per una collaborazione con l'Europa, quando i suoi metodi hanno da sempre disatteso, ancor più ora fattisi manu militari, ad ogni Dichiarazione Onu sui Diritti Umani, ci induce a parlare di una grande fetta della realtà australiana di contesto. Parlarne perché sia  da esempio, sì, e storico anche,  ma a conferma di quanto detto, che la storia lascia sempre la sua impronta, in questo caso criminale, per cui scorriamo in sintesi l'intera faccenda immigrazione comprese le motivazioni storiche della politica migratoria di quel Paese, partendo da recenti dati ufficiali. 
2013, il flusso migratorio in Australia è di circa 20mila ingressi;  
2014, il flusso migratorio in Australia si è ridotto a 157 ingressi; 
2015, il flusso migratorio in Australia  si è quasi azzerato. 
Questo è un fatto. Una indubbia vittoria. Ma dove finiscono ora i migranti che non possono attraccare sulla costa del mini continente, dove vengono mandati a morire che non sia l'oceano, questo è da vedersi.
Dalla legge "Immigration Act", ottobre 1958, fino al 1975, in Australia si è seguita la dottrina della "White Australia", vale a dire: ingresso permesso solo ad europei, con preferenza e precedenza a britannici, nordamericani e neozelandesi.
Dopo il 1975, per motivi di scarsa popolazione, quindi inerenti lo sviluppo dell'economia del Paese, l'Australia inizia a permettere l'ingresso anche ai provenienti da altre aree geografiche, per di più asiatiche.
Punti cardine della dottrina australiana per ottenere il visto, lì non esiste e non è mai esistito il permesso di soggiorno è il visto a fungere da, sono le verifiche selettive che precedono l'ingresso:  controllo fedina penale e malattie infettive immediate, ma anche stato di salute fisica generale, il che rievoca antiche immagini di controllo della dentatura per gli schiavi tradotti dall'Africa ai mercati d'occidente. Ma qui c'è anche il turista o fac-simile, nel qual caso viene effettuata la verifica delle singole risorse economiche per valutare l'opportunità d'ingresso e si applicano poi, sempre in base alla possibilità economica, più o meno varie clausole temporali e formali, quali pacchetti per studenti, studenti-lavoratori, soggiorni datati etc. Altro fatto è che malgrado tutto questo sia noto, il favoleggiare sul novello "dream" che da "american" s'è fatto "australian", si è moltiplicato e si moltiplica, testimoniato anche da innumerevoli spot pubblicitari che affollano il web, con tanto di interviste che cantano, decantano, etc.
E' cosa questa da non sottovalutare perché il "dream" è una della cause che induce i disperati d'ogni recente distruzione, che non possono chiedere il visto in quanto non possono attendere, che non possono chiedere il rifugio politico perché l'Australia lo contempla sulla carta ma non nei fatti, a farsi clandestini, clandestini anche se, come nell'80 % dei casi, sono vittime di azioni armate, vedi bombardamenti, rivolte, genocidi, etc., o distruzione ambientale, vedi deforestazione, acidificazione dei fiumi quindi dei mari con seguente distruzione dell'ecosistema, esasperazione di fenomeni atmosferici già intensi ma... e via dicendo, situazioni, tutte, di cui l'Australia è   responsabile come altri e di più nel caso dell'inquinamento, ad esempio, con il più alto tasso di emissione di CO2, tutto questo comunque porta all'emigrazione dei disperati colpiti da questo o da quel fenomeno distruttivo,  vale a dire distruzione della possibilità di vita in vaste aree del pianeta per cui il "sogno" si fa speranza, la speranza si fa clandestinità, la clandestinità spesso si fa morte. Ma procediamo. 
La sconfinata Australia che ora spara a vista, ha già mandato negli scorsi anni, ora manda ancor più, a morire altrove, ovvero nelle carceri a cielo aperto dell'australiana Christmas Island, prima, Nauru e Manos Papua Nuova Guinea poi ed ora, ivi comprese decine di piccole isole disseminate nel Pacifico, e fattesi da paradiso, inferno. Luoghi tutti a bassissimo reddito, che l'Australia sovvenziona sì che facciano entrare i clandestini, bambini compresi, e ne facciano quel che vogliono. Poveri tra poveri. Non è un caso che questi luoghi, da miseria precedente la Rivoluzione Industriale in Inghilterra, questi luoghi degni dei "Miserabili" di V.Hugo, in cui ogni degrado è costante presenza nella vita dei "detenuti" i cui confini di deambulazione sono reti conficcate nel terreno, siano fuori da controlli internazionali, fuori da ogni sottoscrizione di rispetto dei Diritti Umani, luoghi in cui è negato l'accesso a tutte le  Organizzazioni Internazionali da Save the Children a Amnesty International, dall'Unesco a Human Rights a UNHCR, affiliate o non affiliate all'Onu i cui rappresentanti diretti sottostanno allo stesso trattamento: non possono entrare. Ma benché tutti lamentino la situazione, nulla si muove, nulla cambia. 
E non è un caso che questa regola sia stata chiamata " Pacific Solution", soluzione infatti che ha evitato all'Australia di fornire assistenza ed ospitalità salvando in apparenza la faccia,  anche se, prima dell'agosto 2014 con il suo "No Wai" seguito dal controllo militare dei confini, erano le navi della Marina Militare australiana a trasportare i disperati su queste isole dove ora giungono a suon di armi. La durata della detenzione isolana, allora, poteva essere di anni ed anni, anche dieci ed anche più, come poteva essere di mesi, alcuna regola in merito. Ora, dallo scorso anno, non v'è alcun tempo, ora non si sa, quel che si sa è che i "detenuti" disperati non metteranno mai piede in Australia, unica certezza sulla loro vita. 
E' questo che l'Europa dovrebbe imitare su consiglio del generale A. J. Molan, che ci riporta ad una diretta discendenza di quella feccia umana che l'Inghilterra rifiutava persino di tenere rinchiusa e giustiziare sul proprio suolo.
Ma cosa ne è di coloro che nonostante tutto, prima di questo giro di vite dell'agosto 2014, sono riusciti a mettere piede in Australia, sempre previo detenzione in qualche isola di cui sopra. L'organizzazione preventiva del Paese, mentre smistava nelle isole i disperati, faceva costruire una miriade di appositi centri di detenzione disseminati su territorio. Qui il periodo di detenzione poteva e può superare i quattro cinque anni, ma anche qui la durata   è  indefinita, quest'ulteriore soluzione ha nome "Mandatory Detention", e "Detenzione Obbligatoria" è. Con l'attuazione del "Mandatory Detention" l'Australia contravviene all'articolo 14 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani che sanziona le discriminazioni nei confronti di chi si rifugia in altro paese fuggendo da persecuzioni.
Innumerevoli sono i suicidi, i tentati suicidi, gli scioperi della fame, tra questa gente,  afghani  iracheni, pakistani, ma non solo, in gran numero presenti nel paese, tutti senza colpa, tutti trattenuti in stato detentivo  anche quando il Dipartimento dell'Immigrazione decide, alla fine dei lunghi controlli, di conferire ad alcuni di loro lo status di rifugiato, che in realtà resterà sulla carta senza alcuna effettiva applicazione.  A questo punto, colui che altrove sarebbe rifugiato politico, spesso con passaporto attestante la particolarità, libero anche di lasciare il paese che lo ospita nonché di lavorare e avvalersi di tutti i suoi diritti, in Australia non può che attendere come quando e se, e se se fino a quando, lo Stato gli conceda un qualche visto, con un qualche permesso di lavoro etc.etc. Intanto la vita trascorre e spesso, quasi sempre è la vita giovanile, quella della costruzione del futuro, della proiezione, della speranza, infatti, malgrado tutto, ci si può anche sentir dire: io devo sperare. 
Il Governo australiano che con il conservatore Tony Abbott è ulteriormente peggiorato rispetto al precedente laburista, corrisponde al rifugiato fattosi clandestino una somma quindicinale per le spese di sopravvivenza in un paese dove i beni primari quale acqua, elettricità, gas, hanno prezzi altissimi, ancor più vivendo nei sobborghi, perché è lì che andrà a vivere colui che altrove sarebbe un richiedente asilo, e i suoi vicini di casa saranno suoi connazionali nelle stesse sue condizioni. E la sua vita è comunque incerta e breve in quella terra dall'apparente magnanimità, infatti, in ulteriore contravvenzione alle norme internazionali, se e quando il rifugiato clandestino potrà beneficiare di un visto, questo sarà a breve scadenza, dai tre ai cinque anni, dopo di che espulsione. Questa regola altamente illegale e come sempre fuori da ogni norma internazionale, si chiama " Temporary Protection Visas". Il possesso di questa parodia di visto è inoltre soggetto a rinnovo periodico, sempre all'interno del tempo di scadenza e può essere ritirato da un momento all'altro a discrezione del Ministro. In questa perenne prigione al rifugiato sarà negata anche la libertà di poter tornare a casa con un foglio di via, a questa ulteriore e incomprensibile negazione di ultima libertà, sono legati gli innumerevoli suicidi di cui sopra mentre l'età si aggira quasi sempre sotto i trent'anni.
E la domanda nasce spontanea: perché prima di portare degli esseri umani per di più non colpevoli se non che di obbligata clandestinità, alle richieste di tornare nel paese d'origine, centinaia di richieste, il Governo, lo Stato non li lascia andare. Questo per lo Stato e questo Governo in particolare che ha basato la sua elezione proprio sulla rigidità delle regole sull'immigrazione clandestina, sarebbe un'ammissione di colpa, di fallimento. Accanto a questo c'è da aggiungere che, affinché fosse possibile qualcosa che ora come ora è impossibile, la libertà di rientro in patria, il disperato, che campa con gli spiccioli che gli vengono assegnati e senza possibilità di lavoro previo finire dietro le sbarre, dovrebbe, prima di lasciare il Paese, rimborsare allo Stato il denaro che lo Stato ha speso per lui da che ha messo piede sul suolo australiano.
Nel dicembre scorso in seguito al "No Wai" e al " You will not make australian home"  "L'Australia non sarà mai la tua casa", dopo l'approvazione al Senato con 34 voti favorevoli e 32 contrari, nel passaggio alla Camera con il sospetto di una forte pressione sui Deputati perché la legge passasse, Sarah Hanson-Young, deputato dei Verdi: "Sono sconvolta, il popolo australiano è sconvolto, usare i bambini come ostaggio è qualcosa che può fare solo uno psicopatico...". Non c'è altro da aggiungere.
Marika Guerrini