domenica 17 maggio 2015

Palmyra tra storia e cronaca

..ieri 16 maggio 2015 alle 18,30 circa, ora italiana, il nero vessillo di quell' agglomerato che ci rifiutiamo di chiamare Stato e Islamico, ha preso a sventolare issato su di un edificio della cittadina di Tadmor, meglio conosciuta come Palmyra, la nuova Palmyra. Lì, a poche centinaia di metri dal sito archeologico, le postazioni si combattono, mentre il Governo di Damasco ha inviato truppe di rinforzo al già presente esercito, e, consapevole della massiccia fornitura di armamenti al Daesh, o Isis come dir si voglia, procurata dall'occidente, per voce di Maanum Abdelkarim, direttore governativo delle antichità in Siria, evoca la possibilità di una catastrofe internazionale, se la furia dei miliziani jihadisti dovesse raggiungere e travolgere l'antica storia. Così, dopo le città irachene di Ninive, Nimrud, Hatra, potrebbe essere la volta di Palmyra.Il sito testimone d'antica grandezza, si apre su una delle vie carovaniere che, relativamente al luogo di provenienza, se da occidente o da oriente, si poteva dire giungere dall'Eufrate, quindi dal Vecchio Continente verso la Persia e l'India per la Cina o giungere dal Golfo Persico, quindi da Cina e India per poi attraversare Iraq, Siria, Palestina, tuffarsi nel Mediterraneo ed approdare sul Vecchio Continente, sempre e comunque con i suoi carichi di  ricchezza e bellezza da condividere. 
La Siria, questa terra ora devastata e fino a poco fa ricca e moderna, che accoglie Palmyra, in antico era ancor più ricca e ancor più moderna, quando, avamporto di un oriente sconfinato, faceva fiorire le sue città fino al Mediterraneo appunto, in quella che, comprendendo anche la Palestina, sarebbe rientrata  per noi nella storica classificazione di Asia Anteriore. 
Il regno di Palmyra, governato da Arabi, benché di popolazione aramea fortemente ellenizzata, sin dal I secolo d.C., raccolte le eredità di Petra,  fu un' eccellenza di fioritura che si protrasse fino alla metà del III secolo, quando, morto il suo re Odennato che Gallieno aveva indicato quale " dux et corrector totius Orientis", ovviamente riferendosi all'oriente con cui Roma aveva rapporti diretti, la sua vedova e regina, con una politica di autonomia ed espansione,  suo malgrado provocò le ire di Roma, tanto che Aureliano, nel 272, procurò la distruzione della capitale Palmyra, con essa la fine del regno. Questo ieri.   
Oggi, ora, in questi nostri giorni, il tragitto del Daesh, su quel fronte, è esattamente lo stesso, lungo l'antica via carovaniera da est, anzi nord-est verso ovest, il che mostra un disegno a tavolino come da libro di storia, anche perché di storia si tratta, storia un tempo costruita ora sbriciolata. C'è da dire però che fino a questo momento, anche se il prossimo attimo non lo conosciamo, altri importanti siti siriani, se pur meno conosciuti, quali Rasafa, Dura Europos e Mari, benché siano stati saccheggiati dai miliziani del Daesh, non sono però stati distrutti.  Il motivo, quello ritenuto possibile, ci muoviamo con i condizionali come spesso in queste faccende, sarebbe da ricercarsi nella presenza, nei siti iracheni, di manufatti raffiguranti idoli e divinità, quindi il motivo sarebbe di iconoclastia, ma la nostra idea è che non si tratti di iconoclastia in senso stretto, bensì dimostrazione di iconoclastia, all'opinione pubblica, più che reale iconoclastia.  L'atteggiamento iconoclasta nei Jiahadisti, evidenzia infatti l'aspetto religioso degli atti sacrileghi quindi facilita l'attribuzione delle azioni belliche e distruttive a guerre interne di religione, deviando sempre più l'opinione pubblica di cui sopra, dalla verità, ovvero guerre procurate, fomentate nonché assemblate e addestrate, in specie all'inizio, dall'estremo occidente e dai suoi complici o alleati, la sostanza non cambia. Motivo che calza molto meglio dell'iconoclastia vera e propria, dato, tra l'altro, che l'80% dei miliziani del Daesh sono europei  indottrinati, eccetera eccetera. 
In contemporanea a questa situazione, Abu Sayyaf capo di uno dei siti petroliferi siriani, viene ucciso e sua moglie Umm, attivista all'interno dell'organizzazione, fatta prigioniera, in un blitz di cui il governo di Damasco era stato inizialmente tenuto all'oscuro, poi espressamente escluso, infatti Bernadette Meehan, portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale Usa: " Abbiamo avvertito il regime di Bashar al-Assad di non intervenire con le iniziative atte da parte nostra, contro lo Stato Islamico all'interno del territorio siriano, perché quel regime non può essere nostro alleato nella lotta".
Altra contemporaneità è dell'esercito siriano che, a sua volta in un blitz, uccide Abu al-Taym al-Saudi,  capo di quello che è il più grande sito petrolifero del paese, il campo di Omar, sempre nell'est della Siria.
Scenario a dir poco interessante, non tanto per i blitz attuati come in una competizione  in video game,  quanto per l'evidente approssimarsi di un' ulteriore manovra di defenestrazione di al-Assad e tutto il suo governo, sì da prendere potere sulla Siria, obiettivo nel mirino occidentale dal 2011 al cui raggiungimento è dovuta gran parte della formazione del Dash o Isis. Infatti le teste di cuoio americane elitrasportate fuori dall'Iraq per il blitz di cui sopra, stanno a significare truppe speciali americane ufficialmente su suolo siriano a scopo di attacco ai miliziani. Ma a questo si aggiunge la dichiarazione di Obama, da cui è partito l'ordine del blitz, di qualche ora prima, in cui senza mezzi termini rilancia il sospetto delle armi chimiche probabilmente usate dalle " truppe fedeli a Bashar al- Assad", è così che si esprime parlando dell'esercito siriano, come fossero i ribelli dell'altra sponda e non soldati legittimi di un governo legittimo e di elezione, tra l'altro riconfermato di uno Stato Sovrano che sta agendo per difendere la propria terra in casa propria, volutamente infestata dall'esterno da mercenari stranieri.
Sarebbe davvero una cecità non vedere l'intera manovra, tra l'altro ripetizione di precedenti,  il 2003 non va dimenticato con la menzogna sulle armi chimiche di Saddam Hussain, principio di una seconda strategia dopo la prima, prima bellica non politica strategica, quella dell'ottobre del 2001 in Afghanistan. Oggi, in queste ore è Palmyra ad indicare il passaggio della storia, chissà se la cronaca risparmierà per i posteri i segni della la sua storia. Della nostra. 

Marika Guerrini
immagini dal web

giovedì 14 maggio 2015

Mare Nostrum e Costituzione

... pronto, è la risposta allo squillo. Devo lassare avviso cassetta, al citofono parole stentate in una voce straniera, udibile poco più d'un sussurro, danno la risposta. Se si tratta di pubblicità, la prego di metterla nell'apposito contenitore esterno, vede, alla sua sinistra, c'è scritto PUBBLICITA'. E il tono è secco, molto. Silenzio, poi: va bene sinnora, si rassegna  la voce fattasi ancor più labile. 
E' a questo punto, in meno d'una manciata di secondi che pensi: non gli daranno un centesimo gli pseudo datori di lavoro, pensi: li fanno pedinare da altri poveri come loro, per controllare se  mettono i depliant nelle cassette della posta interne ai portoni o all'esterno, nella PUBBLICITA', sapendo che la gente non apre quasi mai, ha paura, sospetta, e se così, se il povero di turno non è stato abile o furbo o bugiardo annunciando a gran voce: POSTA!, niente compenso monetario, spiccioli. Tu lo sai. Ed è allora che quasi urli: aspetti, apro, li metta dentro, perché non puoi fare altrimenti. E il buon giorno s'è fatto tristezza.
Ed esci da casa, da lì a poco, per alleggerire la tristezza, perché oggi proprio non ti va di scrivere, e vai all'ufficio postale a spedire dei libri, e lì, all'uscita si avvicina un ragazzo con i calzini impacchettati, le tovaglie di plastica colorate e te le porge perché compri qualcosa e tu: no grazie non mi serve nulla, e vai oltre e senti lui che dice: prima non era così, da stamattina non ho venduto niente. E sai che è vero. E ti fermi, ti volti, torni indietro, dici: scusi, aspetti un attimo, e intanto hai preso dal portamonete due euro, no  quattro, no cinque, e porgendoglieli dici: vada a fare colazione, e sai che non è elemosina la tua, non è quello lo spirito, non lo faresti se fosse così. Lui ti guarda e vedi l'Africa nei suoi occhi e il passo delle gazzelle e l'odore del fieno e sconfinati orizzonti e odi suono di tamburi e vedi dignità. E dice: grazie signora, e vedi ancor più dignità e sorridi e t'allontani e l'Africa è ferma lì, nella piazza, senti  lo sguardo.
Il nostro quotidiano è immerso nella storia, no, non nella cronaca che sarà storia, come sarebbe ovvio, nella storia. Una mattina come troppe, mattina come settimana come mese come anno, questo stiamo vivendo, paghi di gesti che non dovrebbero esistere all'indirizzo dato, paghi di un'elemosina o non elemosina fuori luogo, comunque elemosina, e allora, tra l'orrore di alcuni, lo scandalo di altri, l'accusa di altri ancora, accusa alla memoria storica in realtà, tornano in mente delle parole, tornano estrapolate da ogni contesto, persino il loro stesso contesto storico, tornano nella loro attualità parole a sé stanti pregne di significato, di senso in ogni passaggio, tornano con la potenza della parola che attraversa l'etere e crea invisibili forme di suoni e colori, così tornano, libere, scisse da ogni cosa e ogni dove. Parole che suscitano ancora, nei pensieri non liberi, moti di diniego, non tanto per l'intrinseca sostanza, quanto per la voce che ne ha fatto pronuncia, ed ora le ascoltiamo.
Italia, Bari, 1934
L'emittente radiofonica di Bari trasmette in lingua italiana ed araba, la voce è dell'allora capo del Governo: ""Gli obiettivi storici dell'Italia hanno due nomi: Asia e Africa. Di tutte le grandi potenze occidentali d'Europa, la più vicina all'Africa e all'Asia è l'Italia. Nessuno fraintenda la portata di questo compito secolare che io assegno a questa e alle generazioni italiane di domani. Non si tratta di conquiste territoriali, ma di un'espansione naturale che deve condurre alla collaborazione fra l'Italia e le nazioni dell'Oriente mediato e immediato. L'Italia sta riprendendo il suo posto nel Mediterraneo, la sua funzione storica di collegamento fra l'Oriente e l'Occidente le dà questo diritto e le impone questo dovere".

La memoria che riportiamo non vuol farsi apologia ai tempi di Gabriele D'Annunzio, di Giovanni Gentile, di Giuseppe Tucci, e si potrebbe continuare, la cui ampia cultura storica ed oltre, nazionale e internazionale, nonché consapevolezza delle capacità di popolo, aveva creato ponti tra e con "l'Oriente mediato e immediato", vuole essere proprio questo,  memoria dell'esistenza di un popolo, ingovernabile sì, come sempre da sempre, ma  esistente, comunque esistente, ché se non vi fosse stata esistenza, non si sarebbe potuto tradirlo, poi, deviarlo, poi, corromperlo, poi, venderlo, poi, checché se ne sia raccontato, se ne racconti o se ne voglia raccontare, falsando ogni memoria storica e dato attuale.
Il fatto è che il popolo non c'è, quel che c'è è l'immagine riflessa, il popolo italiano ha smarrito il suo esserci. Il nostro. L'ha smarrito quando ha smarrito la consapevolezza di sé, della propria dignità, delle proprie capacità più profonde e vere, l'ha smarrito in seguito all'assassinio, da parte di indegni governanti, della propria Sovranità. Sovranità di Popolo, ci piace pensare e dire, ancor più che di Stato.
Sovranità che darebbe il coraggio quanto meno di rispettare, costi quel che costi, la Costituzione che da se stesso si è data, di cui l'articolo 11 che tutti nominiamo, a cui pochi si appellano, che nessuno osserva e che dice: 
"L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo".
Marika Guerrini

lunedì 4 maggio 2015

Droni: a Niscemi stazione americana di Back Up?

... era il luglio del 2011 quando per la prima volta abbiamo parlato di droni, di questi aerei un tempo solo spia, vedi Vietnam e confini della passata Unione Sovietica, mentre la diretta esperienza su terra afghana e pakistana, osservata da un'ottica politica di espansionismo  a mezzo bellico, quindi con droni armati, fugava ogni dubbio circa la loro imminente proliferazione, ben presto tradottasi in centinaia di attacchi e migliaia di vittime civili e innocenti. In Pakistan, ad esempio, la terra più colpita con la motivazione delle cellule terroristiche da distruggere che come altrove anche lì si moltiplicano, nell'arco di un decennio, (2004-2015)  sono stati effettuati 415 attacchi, strikes per dirla in lingua, di cui 51 sotto la presidenza di G.W.Bush e 364 sotto la presidenza di Barack Obama. Le vittime ad oggi, si aggirano intorno alla cifra di 3.949, di cui migliaia di civili adulti innocenti e centinaia di bambini. Si va poi a scalare con Yemen, Somalia, Afghanistan, anche se per quanto riguarda quest'ultimo, malgrado l'informazione diretta, non siamo riusciti a quantificare con esattezza le azioni dei droni, confuse nel caos di quella terra tra attentati e attacchi aerei spesso non ben identificati. Si pensi che in una serie di attacchi destinati ad eliminare 41 terroristi sono morti 1.147 civili oltre ovviamente i 41 di cui sopra ( The Guardian, novembre 2014). 
 Queste macchine da guerra coperte dai protocolli d'azione della Cia, il cui nome, lo ricordiamo, significa "ronzio", altrimenti chiamate Apr, Aeromobili a Pilotaggio Remoto,  azionate appunto a distanza e giustamente definite "di precisione", registrano, segnalano, trasmettono dove, cosa, chi, quando e quanto accade in un determinato momento e luogo, in tempo quasi reale, con variazioni di pochi secondi. Ma l'effetto chirurgico sparisce nei collaterali, ovvero nel campo d'azione dell'ordigno sganciato che risulta incalcolabile. Questo ci dice non solo che è impossibile che non si sappia chi e cosa sia e cosa avvenga in quel determinato luogo in quel dato tempo, ma che l'azione, ben lungi dall'essere  un'azione bellica, è una consapevole azione omicida, per cui le scuse sugli avvenuti "errori", vedi il recente caso Giovanni Lo Porto, ci indignano e ci indigna anche la diplomazia  usata nel credere ad esse e nel diffonderle, tra l'altro, cosa non detta, il Waziristan, luogo in cui Lo Porto operava ed è stato ucciso, è fuori dal circuito consentito dall'Onu ai droni, ovvero le Apr hanno bombardato un luogo fuori confine permesso, illegalmente, se mai di legalità si possa parlare.
In realtà l'uso dei droni, con l'assenza del pilota, toglie dignità persino alla guerra proprio per l'assenza dell'uomo pilota, se fosse presente all'azione, comunque assumerebbe su di sé la responsabilità di distruggere e uccidere, se non altro perché, vicino o lontano, assisterebbe al risultato del proprio gesto di sganciare l'ordigno letale direttamente su chi, cosa, dove e quando. L'esclusiva azione della macchina volante comandata a migliaia di kilometri da un agente segreto che segreto resta, forse anche a se stesso, toglie persino la possibilità di una sorta di coraggio, che, paradossalmente, frutto comunque d'una volontà umana resta nell'ambito dell'umano. Questo ci ricorda l'umanità sperata da Vittorio Arrigoni, il giovane giornalista ucciso a Gaza nell'aprile del 2011 e della sua richiesta "restiamo umani", perché questa è la china verso cui ci si sta indirizzando: la perdita dell'umano.
Ed è su questa china che l'Italia, non solo continua a contribuire alla guerra di Obama in Afghanistan, ma ha risposto e potrebbe continuare a rispondere alla richiesta statunitense di installare la seconda antenna in Europa per la trasmissione dei dati ai droni al confine tra Afghanistan e Pakistan. Non è un caso la recente visita del Presidente del Consiglio Renzi a Washington, dove, oltre a farsi burlare sul caso Lo Porto, ha ricevuto pressione sulla già avvenuta richiesta di permesso all'aeronautica statunitense per la costruzione della base, che poi ci sia stata o ci sia consapevolezza da parte di Renzi, questo proprio non ci interessa. Ma scorriamo i fatti.
Le basi americane, Creech in Nevada, Fort Gordon in Georgia, Cannon in New Mexico e così via, pare siano nove, da cui partono i comandi per le operazioni dei droni che, attraversando l'Atlantico, si rendono effettive in Afghanistan, Pakistan, etc., si appoggiano, per la trasmissione dei dati, alla base di Ramstein in Germania, da cui vengono proiettati ai teatri di guerra, senza la base in Germania, la guerra dei droni non sarebbe possibile. 
Con l'incremento delle varie guerre, diversamente da quanto assicurato circa l'azione debellatrice dei droni che secondo le parole avrebbero dovuto annientare ogni conflitto, una sola base d'appoggio e trasmissione in Europa si è resa insufficiente, bisogna ce ne sia un'altra. Il governo italiano, già nel 2011, ha sottoscritto, con gli Usa, un accordo per la partenza dei droni per il Nord Africa, dalla base americana di Sigonella, per cui la richiesta statunitense sull'installazione di un'antenna di trasmissione dati è stata più che logica. Per motivi territoriali, si è scelta la località Niscemi a 60 km. da Sigonella, malgrado i lavori iniziati, nel 2013 il Comune di Niscemi, però ha bloccato il tutto causa area protetta. Da qui il ricorso al Tar da parte governativa, ma il Tar ha convalidato il blocco, mentre il Ministero della Difesa, non contento, presentava ricorso all'amministrazione del Consiglio di Giustizia di Palermo, affinché sospendesse il blocco del Tar. Il fatto è che proprio il 17 aprile scorso, mentre Renzi era a Washington da Obama, il Consiglio di Giustizia di Palermo ha dato ragione al Comune di Niscemi, quindi il blocco continua. 
Potrebbe bastarci se non sospettassimo che la cosa potrebbe non finire qui, il motivo è semplice: in realtà l'insistenza del Pentagono va oltre la realizzazione a Niscemi del sistema di comunicazione satellitare a scopo militare più moderno sul pianeta, Niscemi sarebbe la valvola di sicurezza della guerra americana, quella che loro chiamano stazione di Back Up, vale a dire la postazione che impedirebbe di perdere le connessioni e far fallire le loro missioni militari. L'interrogativo resta.
Marika Guerrini