martedì 8 ottobre 2013

Lampedusa

... non siamo entrati nel coro di pianto per la tragedia di Lampedusa.  Oh, no, non perché quei corpi abbandonati alla clemenza del mare siano indegni di lacrime, no, fiumi di lacrime andrebbero versate per loro, per la loro vita spezzata, che sia rimasta su questa terra o volata via. A fiumi per il calvario che hanno vissuto attraversato lasciato. Ce l'ha impedito il dolore questo pianto, il suo essere stato previsto predetto annunciato. Da tempo. Troppo. Ce lo ha impedito la nostra non azione, o l'aver agito poco o male o debolmente, a che il destino deviasse il corso. Qui, tra queste pagine, qui dove da tempo, troppo anche questo, ci si è percepiti come Giovanni nel deserto ad urlare genocidi in atto, stragi di civili in atto, soprusi in atto, violenze nella più totale assenza di Diritti Umani, tutto in atto, e in atto quei voli innocenti di bimbi sotto il tuono nemico, che varia nome colore patria ma non sostanza, qui dove la tragedia dei migranti è stata trattata più e più volte,  qui, tra queste pagine, non si grida "vergogna" così come il papa, si grida: mi vergogno. E   l'accusa va a se stessi. Innanzi tutto. Qui si assume su sé la colpa. Innanzi tutto. Va a se stessi la responsabilità, l'ignominia. Qui, tra queste pagine si è pianto nel silenzio del cuore, dove il dolore si raccoglie e tace. Ancor più tace per quella consapevolezza che sussurra: il coro lacrimoso di oggi, quello dei potenti non degli umili non dei puri, quello di coloro che sanno, che agiscono che potrebbero se volessero, lo stesso che ora, a caldo, si esibisce in acuti, domani si farà sommesso poi flebile fino a scemare, ad esaurirsi. A dimenticare. Vedi, hanno perso anche il nome ricevuto sulla terra, il nome che li distingueva, quei corpi racchiusi in legni neri, marroni. In legni bianchi. Il nome che li rendeva unici. E' questo che sussurra la consapevolezza, e, come non bastasse: non sono forse nostre le guerre evidenti e nascoste? E le false Primavere Arabe, le fomentate rivoluzioni, le aizzate guerre civili, non sono forse nostre? E le terre derubate delle loro naturali ricchezze non sono forse derubate da noi? E i falsi concetti di benessere, di civiltà di giustizia che illudono i popoli, non sono forse nostri? E, non sono forse racchiusi in questi legni neri marroni bianchi, questi legni numerati, i frutti di tutto ciò, i frutti che i paesi da cui provengono coloro  ora racchiusi in legni neri, marroni bianchi, vedono ogni giorno, che ogni giorno piangono? I frutti che ci viene dato di vedere, ora, qui, che ci verrà dato di vedere ancora e ancora mentre l'Europa gioca a scarica barile appellandosi ad iniqui trattati sottoscritti da Stati imprevidenti, incoscienti o venduti? L'Europa che non vuole esistere non è forse nostra?
Marika Guerrini

2 commenti:

  1. Condivido. Tutto. Un saluto dalla periferia del mondo. salvatore Ceraldi.
    (Ho fatto un errore. Ho postato anche sotto un blog di settembre).

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  2. ... ho letto solo ora il commento e, ancor più, la firma. Se il Salvatore Ceraldi è l'amico di giovinezza che suppongo, nonché fratello dell'amica Enza, sono più che contenta, direi felice. Grazie, Salvatore con un doppio abbraccio. Intanto chiedo scusa agli altri lettori per questa risposta personale resa pubblica, sono cose che accadono ed è bene che siano. La vita è bella anche per questo. M.G.

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